Disagio
Per fortuna che ci sono io, che esprimo la mia irrilevante opinione con cognizione di causa.
Bisogna che vi dica una cosa riguardo allo spot: è stato diretto da Pupi Avati. Un Pupi Avati chiaramente devastato dalla demenza senile, oppure il suo apprendista scemo. Il video comincia con un bambino vestito come in una qualsiasi fiction Rai che corre tra i binari.
È in ritardo, tutti i suoi amichetti sono già arrivati e lo salutano gioiosamente, ignari del fatto di essere con tutta probabilità diretti verso un campo di concentramento.
Il bambino li guarda. È evidente che stia mentalmente smoccolando in aramaico.
Ma attenzione, perché silenzioso come un ninja d’acciaio arriva da dietro il prestigioso Frecciarossa 1000.
Ora, parliamone: perché l’hanno chiamato Frecciarossa 1000? Perché 1000? Frecciarossa 100 sarebbe stato un richiamo troppo evidente a Iva Zanicchi, d’accordo, ma perché 1000 e non 2000? O non 3000, come Novella 3000. Non è una domanda così scontata. Inserire nel nome di un nuovo modello di un treno il numero 1000 mi fa immediatamente pensare a quella logica che andava tanto di moda negli anni Novanta, quando si aggiungeva sempre un numero in più, e poi uno zero, ma è un meccanismo che adesso suona arretrato, ridicolo, vecchio. Provoca lo stesso effetto di quei cinquantenni che vanno nelle discoteche coi pantaloni a zampa di elefante zebrati.
Ho sempre pensato, e lo vorrei pensare ancora, che la stazione sia uno dei posti più belli del mondo. Sarà perché lo ricollego a dei momenti speciali della mia vita, ma non mi vengono in mente dei luoghi con quel preciso, specifico romanticismo, quella densità di nostalgia, quel brulicare di umanità. Trenitalia, davvero: cosa stai facendo? Stai togliendo la poesia all’immaginario della stazione, e te ne vanti. Certo, te ne vanti. È un preciso intento quello di trasformare il treno in una macchina futurista, un serpentone aerodinamico che riluce di rosso e bianco, un’astronave; altrimenti, perché permettere questo spot in cui il contrasto tra il passato e il futuro è così evidente?
Ma il video sta andando avanti. Le porte si aprono da sole.
Il bambino sale, e nelle inquadrature successive noi possiamo ammirare quanto sia pulito il treno, una lucentezza che molto probabilmente è stata aggiunta in post-produzione perché io quando ci sono salito non ho avuto l’impressione di trovarmi sull’astronave di Mastro Lindo.
Il giovane criptoebreo continua a esplorare il mezzo, che grazie al formato cinemascope del video sembra che abbia una larghezza sconfinata, e incontra l’unica dipendente gentile di Trenitalia. O forse è un’attrice.
Il bambino solleva lo sguardo, e uno potrebbe pensare che stia di nuovo imprecando contro Dio perché si è appena reso conto che un posto su quel treno costa 100 euro, oppure che abbia sentito uno di quei simpatici messaggi acustici che danno regolarmente sulle Frecce che neanche Spotify, oppure che stia controllando come mai l’aria condizionata non funzioni.
E invece il bambino solleva lo sguardo perché è meravigliato.
Io me lo ricordo bene, un bambino meravigliato dai treni. Mi ricordo come conosceva a memoria tutte le parti che lo componevano, come poteva stare un’ora intera alla stazione a guardarli passare, indicandoli col ditino e ricercando il tuo sguardo per controllare che anche tu provassi la stessa emozione. Quel bambino non sarebbe di certo stato attratto dalle luci del soffitto, o dalla classe Business con la sala riunione, o dal wifi.
E alla fine del tunnel, vediamo lo schienale di una poltrona ruotare, in perfetto stile da cattivone di telefilm anni Ottanta. E invece a sedere nella cabina di comando c’è un modello di intimo vestito da capotreno, che sorridendo inquietantemente lo invita in quella stanzina – proprio come avrebbe fatto un cattivone di un telefilm anni Ottanta. “Vuoi che li raggiungiamo?” chiede al piccolo, come se fosse alla guida di un taxi.
“No, non voglio scendere mai più”, replica il bimbo.
Un cretino di bambino, diciamo.
Avrei voluto esporre tutto questo al vecchietto della stazione, quello pagato per passare l’intera giornata al banco di Frecciarossa per non fare niente. Quando ho osato chiedere informazioni, mi ha chiesto di aspettare che finisse la conversazione con il suo amico, per favore. “Certo”, ho risposto io, che in fondo ho un animo gentile e ci tengo all’educazione.
Mi ha detto che non sapeva se mi convenisse l’abbonamento o il carnet. Io, che ero dunque più informato di lui, ho risposto che poiché le offerte per i pendolari sono inesistenti, l’unica maniera per spostarmi era pagare il prezzo esorbitante dell’abbonamento. A quel punto, il loquace signore ha detto che noi giovani non vogliamo svegliarci presto, altrimenti pagheremmo meno.
Perché? Perché uno sconosciuto si dovrebbe permettere di dirmi una cosa del genere? Perché una persona appartenente a una generazione che non ha di certo dimostrato di tenerci al futuro dei suoi figli, dovrebbe arrogarsi il diritto di conoscere la mia situazione, quella di tutti i miei coetanei e arrivare perfino criticarla?
A me non è mai piaciuta questa moda di criticare i giovani. Pensano che non sappiamo pensare, stare al mondo, preoccuparci delle cose, pensano che non sappiamo faticare.
Ho lasciato la stazione con dentro un senso di amarezza, mentre una voce molto familiare si scusava per il disagio.
Da pendolare seriale…ha tutta la mia comprensione…. Anche io costretta all'abbonamento, anche io costretta al disagio! 🙂
Per fortuna non sono l'unica che ha pensato che questo fosse uno spot da film horror. Quella musichetta poi, inquietante.Gli spot di Giovanni Rana sembrano da Oscar in confronto a questo scempio.Disagio è la parola giusta. Ogni volta che vado in stazione sono pronta a tutto, come se dovessi combattere una guerra, quindi non mi sorprende più ascoltare la vocina che mi dice che il treno (guarda caso quello che serve a me) farà due ore di ritardo, o ascoltare le persone che giustamente imprecano perchè hanno importanti appuntamenti di lavoro che per forza di cose dovranno rimandare. La settimana scorsa il regionale mi ha anche offerto una sauna gratis.Questo per loro significa prendersi cura della clientela.
io l'ho trovato uno spot incredibilmente classista. anche a me ha colpito per la bruttezza, tra l'altro
Io penso che se un bambino triste è vestito come il figlio di Benigni ne La vita è bella, prende un treno da solo per poi comfessare al capotreno di non voler scendere mai più, non si stia godendo proprio nessun viaggio.