• Jareth (Labirinth, 1986)
• Lo zingaro (Lo chiamavano Jeeg Robot, 2015)
• Nunzia Lo Cosimo (Lo chiamavano Jeeg Robot, 2015)
• Scar (Il Re Leone, 1994)
• Jafar (Aladdin, 1992)
• Ursula (La Sirenetta, 1989) (esplicitamente ispirata a Divine)
• Be’, quasi tutti i cattivi Disney, se ci fate caso, dall’Ade di Hercules a quello di Pocahontas. La Disney se n’è accorta, e infatti nei live action del 2019, Jafar e Scar diventano due antagonisti masc for masc, lion for lion
• Raoul Silva (Skyfall, 2012)
• Norman Bates (Psycho, 1960)
• Qualche altro oscuro personaggio di Hitchcock
• Ozymandias (Watchmen, 2009)
• James del Team Rocket (Pokemon, …..)
• Aro (The Twilight Saga: Breaking Dawn, 2011)
• Buffalo Bill (Il silenzio degli innocenti, 1991)
• Commodo (Il gladiatore, 2000)
• Percy (Il miglio verde, 1999)
• Xerses (300, 2007)
e, ovviamente, il Joker dell’omonima pellicola in sala in questi giorni. Il film mi è piaciuto molto, ma mi infastidisce il luogo comune per cui si continuano a rappresentare personaggi negativi e deviati facendoli sembrare, hi hi hi, un po’ gay.
Il queer coding è quando uno sceneggiatore tace sull’orientamento sessuale di un suo personaggio ma, in maniera consapevole o meno, gli conferisce caratteristiche che la società riconosce come tipiche del genere opposto. In breve: maschi effeminati e femmine mascoline.
Il queer coding non è sempre un male. Se viene fatto su un cattivo, però, ha la conseguenza di creare nello spettatore un’inconscia associazione tra l’essere queer e la malvagità o il disturbo mentale. Lo stereotipo più frequente è un uomo dalla voce suadente, molto attento al corpo e all’aspetto, esuberante nei modi, spesso vanesio, che accavalla le gambe e sbatte spesso le palpebre; e contemporaneamente è il terribile capo di una banda criminale che sgozza gente. Negli anni Quaranta poteva anche essere una cosa accettabile, oggi no.