«Il vero motivo per cui molte persone trovano la parola femminismo spaventosa è che il femminismo è una cosa spaventosa per chiunque goda del privilegio di essere maschio. Il femminismo chiede agli uomini di accettare un mondo in cui non ottengono ossequi speciali semplicemente perché sono nati maschi.»
Laurie Penny sul Guardian, 7 ottobre 2013
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Circa una settimana fa ho impiegato una delle mie sere di isolamento perdendo tempo su un video in cui venivano presi in giro due youtuber che parlavano di questioni legate al femminismo (nel caso specifico, si trattava del bodyshaming). Forse per caso, o forse no, il video era condotto da due uomini bianchi etero, e non augurerei a nessuno la tortura di ascoltarli, ma poiché sto praticando il difficile esercizio di cercare il risvolto positivo in tutte le esperienze, voglio pensare di aver appreso due cose: la prima è che il seguito di questi due tizi era composto da oltre centomila iscritti, tutti apparentemente concordi nel definire le tematiche femministe come grandi fesserie, e questo mi ha fatto pensare che non sia possibile dare la colpa soltanto alla loro palese ignoranza in materia, no, ci deve essere qualcosa che non funziona nel modo in cui comunica una parte di attivismo.
La seconda cosa che mi ha colpito è che, a un certo punto, uno dei due ha pronunciato una frase che all’incirca era: “Beh diciamo la verità, per parlare di astrofisica serve uno scienziato. Ma per parlare di femminismo e questioni etiche non serve avere competenze.”
Ecco: è vero? No.
Certo, chiunque può formulare un’opinione, altrimenti non esisterebbero i terrapiattisti, o quelli che credono che Paul McCartney sia morto nel 1966 e sostituito da un sosia. Ma il valore che diamo all’opinione del primo arrivato che parla su youtube, o apre un blog (esatto, tipo me), o ordina un macchiato al bar, non può essere lo stesso di quello dato a chi ha studiato una certa materia, scientifica o meno.
Giulia Cuter e Giulia Perona si occupano di questioni di genere da diversi anni. Nel 2016 hanno realizzato il podcast Senza Rossetto, per raccontare la figura femminile nel corso della storia, prodotto poi diventato anche una newsletter che ogni due settimane si concentra su un argomento specifico dell’universo femminile e femminista. Per me è un appuntamento imperdibile.
Esattamente un mese fa hanno pubblicato per HarperCollins Le ragazze stanno bene, dove parlano delle sfide che deve affrontare la donna di oggi, di quelle che ha già passato per arrivare dove si trova adesso e di quelle che la aspettano in futuro.
È interessante perché nel libro ci sono entrambe le anime di Senza Rossetto: ogni capitolo è dedicato a un tema specifico, e le Giulie partono da qualcosa che hanno vissuto in prima persona: quando una si è trovata a fare un test di gravidanza nei bagni della biblioteca dell’università pontificia di Salamanca, ad esempio; o di quando si è sentita chiamare “signorina”, accanto al collega di pari livello che era stato appena definito “dottore”. Come ricordano le autrici, sono esperienze che le donne vivono quotidianamente, e il fatto che vengano riportate sono la semplice dimostrazione che una lotta per la parità ha senso di esistere.
Insieme ai loro racconti, le Giulie hanno fatto un enorme lavoro di raccolta di statistiche, informazioni e riflessioni, che accompagnano lettori e lettrici nel capire come mai, oggi, la donna sia a questo punto. La bibliografia finale è impressionante e comprende ricerche scientifiche, TED Talks, studi ufficiali, editoriali di politici, filosofi ed esperti, e trovo che sia il grande valore aggiunto di questo libro. Di fronte a una mole di dati del genere, è molto difficile sostenere la tesi che le questioni etiche, di genere, femministe, possano essere trattate da tutti come se non fosse necessaria una preparazione al riguardo. Ci sono tante cose da sapere prima di essere sicuri di poter teorizzare qualcosa di sensato.
C’è tuttavia una notizia positiva per coloro che vogliono parlare di femminismo con cognizione di causa: Le ragazze stanno bene è un bel punto di partenza per recuperare ciò che potrebbe essersi perso tra un macchiato e l’altro. Non solo: trovo che sia anche un modo di diffondere cultura che porti avanti una comunicazione educata ed efficace, un’ottima risposta alla mia iniziale domanda su come dovrebbe comunicare l’attivista che vuole arrivare anche agli youtuber più ostinati.
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