Il cinema è un mondo mostruoso, e non mi riferisco a Cinquanta sfumature di grigio.
Mi piace molto guardare film perché, oltre al fatto che mi ritrovo in tutti i personaggi complessati dallo sviluppo drammatico, mi succede spesso di concentrarmi sulle cose che ho trovato belle, più che sui difetti. Nella vita non mi accade mai, nel senso che se un avvenimento comporta quasi tutte conseguenze eccezionali io mi concentrerò sull’unica impercettibile sfumatura negativa della situazione. Ma al cinema no, al cinema se c’è anche solo una scena o una battuta di dialogo che mi fa vibrare qualcosa dentro, allora so che i soldi del biglietto sono stati ben spesi.
Comunque, qualche mese fa ho accettato di fare il social media manager per un cortometraggio di alcuni amici, che in parole povere significa che dovevo gestire la pagina facebook. L’esperienza è stata dura ma interessante, e mi ha dato la possibilità di essere sul set nei giorni delle riprese.
Per questo posso affermare che il cinema è un mondo (meraviglioso ma anche) mostruoso: dovreste vedere la quantità di persone che lavorano insieme per girare una scena. Sono tantissimi, tra attori e tecnici, e tutti quanti che vogliono giustamente avere il loro riconoscimento, e tutti quanti che vogliono fare i registi. Persino io che mi trovavo lì solo per documentare il backstage avrei voluto mandare in culo qualcuno, così, giusto per sentirmi più integrato nel gruppo.
Tra i vari professionisti c’era una donna che non credo di voler nominare, nel caso le venisse in mente di cercarsi su Google, trovare il mio blog e conseguentemente assoldare un sicario per uccidermi nel sonno. Il suo ruolo era quello di casting director, cioè doveva dirigere gli attori bambini del corto. Niente da dire, era molto brava nel suo lavoro. La sua tecnica principale, tuttavia, consisteva nel pronunciare le parole molto lentamente a un tono di voce sorprendentemente alto, un po’ come faccio io quando spiego ai miei nonni come funziona il telecomando, o come fa mia mamma nelle chiamate interurbane.
Ma la cosa che mi è rimasta più impressa della casting director era il modo con cui chiedeva ai bambini di assumere un atteggiamento gioioso. Dovete sapere che la scena prevedeva che dei marmocchi vestiti da scout facessero il saluto dei lupetti con un grandissimo sorriso stampato in faccia; il problema era che a Gennaio, sulle colline torinesi, la temperatura non era esattamente confortevole, pertanto questi poveri figlioli tremavano come gli orfani sfortunati dei romanzi di Charles Dickens.
E la casting director, una volta dato il ciak, urlava loro di essere felici. «Felicità! Felicità!!!» ripeteva prima che partisse l’azione, con gli occhi iniettati di sangue e la voce che assumeva una lieve inflessione germanica. «Felicità vera!» li ammoniva. Eh sì, perché non bastava fare finta di essere felici. Si doveva fare finta di essere felici in maniera autentica. «Martina, cos’è quella smorfia? Superfelicità! Dennis, Dennis, insomma, pensa a qualcosa di bello! Martina, ridi, RIDI, Martina vuoi ridere, eccheccavolo?!»
Stacco. Cambio scena.
In questi giorni sto leggendo un libro di Kurt Vonnegut. Me l’hanno regalato Ciccio, il mio amico che scambia il sale con lo zucchero; Pippi, la mia amica che scambia la salvia per la marijuana (e non vi dico quanto è saporita la sua variante del pollo con patate); e Davide, che è il mio amico da cui è bello andare a cena.
Il libro si chiama Quando siete felici, fateci caso e sono andati a comprarlo Ciccio e Pippi. In questo momento sto ridendo perché sembra una storia di Topolino. Dicevo: il libro si chiama Quando siete felici, fateci caso e sono andati a comprarlo Ciccio e Pippi. Posso distintamente immaginarli alla cassa della libreria, che non si ricordano il titolo.
– Scusi, stiamo cercando un libro.
– Certo, il titolo?
– Mmm, credo Non siate infelici, non è il caso
– Non è in catalogo, siete sicuri che sia questo il titolo?
– Provi con Quando siete felici, siete felici
– Niente.
– Se siete felici è solo un caso?
– No
– Siate felici ma mai a caso
– Nemmeno
– Il caso vuole che siate infelici
– Nisba
– Pippi, lasciamo perdere, prendiamogli la biografia di Beyoncé che è contento uguale.
– In copertina c’è il disegno di un gelato…
– Ah, ma certo: Quando siete felici, fateci caso, di Vonnegut!
– Sì ecco!
Comunque, lo sto leggendo. È una raccolta di discorsi motivazionali che Vonnegut ha letto alla cerimonia di laurea di alcune università americane. C’è un episodio narrato in molti discorsi, e riguarda Alex, lo zio dello scrittore, che nei momenti di più assurda semplicità, come quando era sotto l’ombra di un albero a bere limonata insieme alle persone a cui voleva bene, interrompeva la loro conversazione per dire: «Cosa c’è di più bello di questo?»
La differenza tra me e lo zio Alex è che io ho bisogno di una casting director che mi ricordi che sono felice, felice davvero.
Mi sono immaginato la lieve inflessione germanica: Tremo ancora! Roba che ti lascia il segno per tutta la vita. Ma ti rendi conto?
Molti anni fa un'amica mi disse:Cavolo Mara sei di un deprimente. Te sei di quelli che quando qualcuno dice che è mezzogiorno gli rispondi: veramente il sole non è ancora esattamente allo Zenith. O se dicono, ma che bel tramonto: veramente il sole è ancora troppo alto sull'orizzonte.Mia replica, a conferma di quello che diceva: Veramente ora c'è l'ora legale(era estate) quindi sarebbe ovvio che il sole non sia sullo zenith a mezzogiorno. E durante i tramonti io non parlo. :-PInsomma ero stata accusata di soffermarmi solo sulle cose negative.Ma secondo il mio personalissimo punto di vista solo chi sa vedere le cose negative apprezza quelle positive. :-D(Ma sicuramente fossi meno pignola rompiscatole sarebbe meglio. 😉 ) Poveri piccini.
Ma nooo, amarezza la fine. So che sai accorgertene da solo, ci devi crederCi però! Fidati di zio Cervy! (anche se son più piccolo di te)
era tanto che non passavo dal tuo blog…mi sono reso conto della grandissima cazzata che ho fatto in tutto questo tempo :*