Il mio primo giorno di scuola

(nell’articolo che vi state malauguratamente accingendo a leggere sarebbe stato presente reiterate volte l’aggettivo “bello”: per prendere le distanze da questa imperversante povertà lessicale che si manifesta in un inflazionato utilizzo del suddetto aggettivo, l’autore ha deciso di rimpiazzarlo con una parola casuale scelta dal dizionario tedesco, e cioè guglhupf)
La cosa davvero guglhupf di ricominciare la scuola a ventiquattro anni è che hai a disposizione un senso critico ormai formato, uno spirito tendenzialmente riflessivo e sopratutto una straordinaria capacità di essere in ansia. Contrariamente a quanto si può pensare, tutto ciò è abbastanza guglhupf perché ti permette di godere e di essere consapevole di quelle sensazioni che da piccolo negli anni Novanta non puoi percepire, probabilmente a causa del potere obnubilante della sigla di Solletico
È il primo giorno di scuola – il primo giorno della nuova scuola – e io sono emozionato come lo si è il primo giorno di scuola. Non è facile superare la notte: delle poche ore che ho dormito, ne ho passate svariate a sognare situazioni inquietanti tipo il mio amico che si lascia e io che gli urlo che non lo posso consolare perché è il mio primo giorno di scuola.
Ma finalmente arriva l’alba.
NAAAAZVEGNAAAAAA TARARI TARARAAAA
E io mi sveglio, se così si può definire quel momento in cui si ammette a noi stessi che non prenderemo più sonno quindi tanto vale alzarsi. Durante la notte mi ero appuntato nella mente che probabilmente avrei dovuto portare qualcosa per scrivere, così inizio a cercare un supporto decente per i miei appunti. E trovo solo fogliacci di brutta. E già mi figuro la scena “mi scusi signor Baricco ma proprio non ho avuto tempo ma davvero lei dice che è così importante il fatto che stia scrivendo sul retro degli scontrini della Lidl?”
Quando ho saputo di essere ammesso era Luglio: ho avuto svariati mesi per perfezionare l’outfit che avrei sfoggiato il mio primo giorno di scuola. Ora, nonostante sia stato capace di superare una selezione di ammissione a una scuola, rimango pur sempre un povero demente: non mi ha nemmeno lontanamente sfiorato il pensiero che a Ottobre, a Torino, avrebbe potuto fare freddo. Me ne accorgo quando apro la finestra e percepisco una simpatica brezza pseudo artica sfiorarmi la pelle e congelarmi i polmoni. La catastrofe. Per nulla guglhupf. 
Mi reinvento un outfit (Dio benedica le maglie a righine, adolescenziali ma distintive!) ed esco. Per poco non mi faccio investire da una Mini, passo alcuni secondi a sperare di non finire sulla colonnina di destra di Repubblica.it (studente ucciso da una Mini, il padre “almeno fosse stata una Golf”) ma poi realizzo di essere vivo. E arrivo a scuola.
Così comincia il mio primo giorno di scuola.
Mi piacerebbe dirvi come continua, ma non lo faccio, non adesso. Diciamo intanto che sono cazzi miei, e diciamo che c’è una frase, dipinta su un muro della scuola, che ci hanno spiegato che è importante. Ci hanno detto che alcuni non la capiscono nemmeno dopo anni, ma qualcosa mi dice che ha a che fare col fatto che per ora, la mia storia qui, la tengo per me.
Diciamo solo che è tutto meravigliosamente guglhupf.


Roba tragicomica sul mio trasferimento a Torino

Ebbene, è giunta l’ora di renderlo ufficiale: mi sono stabilmente insediato a Torino, e vi prego di notare il verbo “insediare”, lo stesso che i libri di storia enunciano per descrivere i Sumeri nell’atto di stanziarsi nella mezzaluna fertile. Se i Sumeri avessero scelto il Po al posto del Tigri e dell’Eufrate, sicuramente la mezzaluna fertile sarebbe stata la mia mansarda, un delizioso ricettacolo di polvere e fango in cui crescerebbe qualsiasi coltura possibile. In realtà amo la mia stanza, ora che l’ho disinfettata con l’acido muriatico e cinquecento Padre Nostro
I miei coinquilini sono dei ganzi, e non lo dico perché potrebbero leggere il mio blog, anche se è uno dei motivi. Uno lo chiameremo coinquilino biondo (perché è biondo) e l’altro coinquilino coi baffi (perché ha i baffi). Ho la vaga impressione che mi credano pazzo, forse perché canto la sigla di Ciao Belli mentre lavo i piatti o mi aggiro per la casa cercando dello spago – quello coi baffi mi ha chiesto con una certa apprensione se mi sarebbe servito per suicidarmi. 
Il coinquilino biondo invece ha deciso che la sua missione è farmi smettere di mangiare pasta. Ora, dovete sapere che le mie esperienze culinarie non sono molte, sono arrivato qui che sapevo giusto farmi i toast e mescolare i cereali nello yogurt, per cui farmi la pasta mi sembrava già un traguardo importante. E invece lui si è fissato che mangio solo pasta e devo imparare a fare altre cose. Quindi, a una settimana dal mio arrivo, so cucinare: pasta quasi in tutti i modi, insalata, uova sode, carote lesse, carote in umido, medaglione di carne, medaglione di carne con sottiletta, medaglione di carne con due sottilette, toast e yogurt coi cereali. Poi so aprire le scatolette di tonno, affettare il pane, versare l’acqua nel bicchiere e altre cose di pari livello.
Mercoledì sono stato all’Ikea. No, voi non potete capire la sensazione che si prova ad avere l’Ikea a pochi minuti da casa. Ragazzi, è meglio di Disneyland. Se stai a Lucca e vuoi andare a litigare all’Ikea, devi farti tre quarti d’ora di macchina fino a Sesto Fiorentino: QUI IN DIECI FERMATE DI METRO CI SEI, pronto a rovinare ogni tua eventuale relazione sentimentale con una discussione riguardante questioni etiche decisive come ad esempio l’utilità dei paraspigoli Patrull. Dio, l’Ikea. Ho speso trenta euro e non so cosa ho comprato. L’Ikea ha un fascino pericoloso: ti illude di essere economica ma alla cassa ti ritrovi con trenta euro in meno e una saccata di graziosi ganci Bygel (due a un euro, ragazzi, due a un euro). Il mio amico mi ha trascinato via mentre piangevo perché volevo tutto: “Lorenzo, ma non capisci, io ho BISOGNO dell’affettamela Spritta!!!”.
Il tempo non è proprio dei migliori, sembra di stare a Londra, solo che non ci sono Starbucks. Il cielo è coperto da questa pellicola grigia e pare che fino al prossimo mercoledì non vedremo uno straccio di azzurro – questo secondo l’ottimistica app del coinquilino biondo. Nell’attesa (cioè speranza) che spunti il sole, faccio cose, vedo gente, vado al mercato, giro in bici, compro robe, e tutto canticchiando i Beatles.

Pensieri sulla bontà

Mondo. Europa. Italia. Piemonte. Torino. Borgo Dora. Io che sto seduto su un panettone stradale osservando l’Arsenale della Pace, vestito come quando non me ne importa niente, al collo una macchina fotografica e in mano una Moleskine e una penna blu. Io che rifletto perché non ho altro da fare – la nostalgia genera mostri cerebrali, la nostalgia rende più forti, la pelle più dura, la nostalgia è una specie di Nivea al contrario. 
Rifletto su quanto sia cretino il detto Piemontese falso cortese. Sono pochi giorni che sono a Torino, e finora ho trovato solo persone genuine e gentili. Beh, a parte quando la bici si è infilata nei binari del tram facendomi perdere l’equilibrio e tutti gli automobilisti hanno iniziato a strombazzarmi contro, e in effetti è stato un gesto un po’ antipatico perché c’ero io a rischiare la morte, mica loro. A parte questo episodio, i contatti che ho avuto coi torinesi sono stati sorprendentemente calorosi. Sono stato all’Informagiovani dove ho trovato delle ragazze amichevoli che mi hanno aiutato a risolvere varie questioni e mi hanno anche fatto fare una carta per cui accumulo punti ogni attività a cui partecipo, così ora sono ansioso di partecipare alle attività più per i punti che per altro.
Tutto questo mi ha fatto pensare che la gentilezza è una cosa bella. Sempre più frequentemente percepisco l’acidità come valore positivo sempre più accettato; l’essere stronzi è uno dei pregi della società 2.0, e la gentilezza, le buone maniere e i sorrisi stanno diventando sinonimi di sconfitta. Forse esagero, ma ho come l’impressione che la saccenza, il cinismo e la cattiveria siano i nuovi requisiti per essere accettati come vincenti. 
E sto riflettendo su tutto questo quando, all’improvviso, Torino mi risponde.

Elenco di soggetti probabilmente peggiori di te

Tutti hanno il diritto di sentirsi fighi.
Ho notato che esiste una specie di culto della presunzione, i cui adepti tendono ad informare gli altri riguardo al loro status di superiorità che peraltro si autoattribuiscono. Non ho studiato psicologia, ma ho come l’impressione che queste persone siano soltanto creature molto insicure, che cercano di nascondere (e nascondersi) le proprie insicurezze ostentando un’immagine vincente che in qualche modo li fortifica. Si ripetono – e ci tengono a ripeterlo anche in pubblico – di essere fighi, forti, migliori, come in una specie di mantra, col risultato che appaiono effettivamente nel modo sperato. E noi ci crediamo, che sono dei giusti, e in qualche modo, magari in maniera inconscia, li invidiamo.
Noi: noi gente incapace di adottare lo stesso meccanismo, noi che ci concentriamo sui nostri difetti invece che sui nostri punti di forza, noi che non ci andiamo mai bene, noi che non ci piacciamo e così facendo diamo un’immagine che non piace nemmeno agli altri – ma che bello che è, quando troviamo le persone che vanno oltre le apparenze e trovano quei pregi che nemmeno noi vediamo, vero?
Ecco, siccome è qualche tempo (più o meno ventiquattro anni) che vivo in questa condizione di assurda carenza di autostima, ho avuto modo di provare anche qualche sporadico momento in cui ho magicamente pensato di essere un ganzo. Ed è per questo che dico che tutti hanno il diritto di sentirsi fighi. Per aiutarvi, ho fatto un breve elenchino di soggetti che sono probabilmente peggiori di voi. A me non aiuta. Io mi sento costantemente una merda. Ma chi lo sa, magari a qualcuno strappo un sorriso, che è già una piccola, enorme soddisfazione.

Caterina Balivo
la mano sana di Capitan Uncino
chi scrive su facebook “palestra time”
Lucius Malfoy
Pippo Franco
Erika
Omar
il mostro di Firenze
la madre di Miley Cyrus
Molly, Milton, Monty, Margot, Maude e Maggie, che sarebbero i sei carlini di Valentino
Valerio Scanu
l’inventore del gelato al puffo
il giornalista che dopo l’uscita del Principe Mezzosangue ha scritto un articolo con scritto chi muore
la signorina Trinciabue
il professore coi baffi che in tv si dichiarava favorevole alla riforma Gelmini

Mariastella Gelmini
chi scrive i ritornelli di Britney Spears
quello che ha tradotto Eternal sunshine of the spotless mind con Se mi lasci ti cancello
l’assassino di Laura Palmer
i vicini di Erba
i politici corrotti

chi non ha cambiato il rotolo di carta igienica di cui ora avresti bisogno
il ghostwriter di Guido Barilla

[ in continuo aggiornamento ]


Quasi Mister Internet

Quando Antonella Elia perse l’Isola dei Famosi, nessuno si aspettava che sarebbe arrivata fino alla semifinale. Certo, tutti sapevano che prima o poi sarebbe stata eliminata, dato che è oggettivamente scema, ma tanto fu lo stupore di vederla arrivare quasi in fondo. Stesso stupore che ho provato quando ho saputo di essere arrivato quinto ai Macchianera Italian Awards 2013. È come essere l’Antonella Elia dei blog, solo che non ho tirato i capelli ad Aida Yespica e questo un po’ mi manca. 
È vero, non ho vinto, ma se c’è una cosa che il PdL mi ha insegnato è che esiste una moltitudine di simpatiche tecniche comunicative con le quali si può evitare di ammettere la propria sconfitta. Per esempio, posso dire che è il primo anno che vengo candidato ai MIA, e che per essere un esordio mi sono classificato benissimo, e che mi hanno candidato praticamente a mia insaputa – questa nel PdL va forte. Che i miei avversari sono mostri sacri del web, con una media di trentamila seguaci contro i miei cinquecento. E poi, Cristo, mi avete votato in 1853. Milleottocentocinquantatré. 
Avevo fatto qualche calcolo strategico e avevo concluso che mi avrebbero votato in più o meno trentadue, considerando i due indirizzi di mio papà e il fatto che qualcuno si sarebbe confuso con Diego Bianchi, portandomi voti di gente che voleva votare Zoro ma non si ricordava il suo vero nome. Tutti quelli con cui non ho voluto fare sesso avrebbero votato Azael, e questo credo sia il vero motivo per cui Azael ha vinto
In ogni caso, grazie. Stiamo parlando dei MIA, voglio dire: cazzate. Ma chissene, i vostri voti mi scaldano un pochino il cuore, quella parte di cuore che di solito riservo a Adam Levine (a proposito, lo sapete che si dice Levìn, e non Levain come ho sempre detto nei miei sogni erotici nei quali comunque non si è mai lamentato nessuno della mia pronuncia?). Oggi quella parte di cuore è tutta per voi, che mi avete votato, supportato, sopportato, retwittato, condiviso, mipiacizzato, stellinato, commentato, e ora ho finito i social network per cui andrò con le parole a caso, tipo lampone, aikido, tungsteno.
Grazie, grazie, grazie. Vi avevo chiesto di fare in modo che questo fosse l’universo parallelo in cui vincevo Mister Internet, e ci siamo andati vicinissimi. Questo è l’universo parallelo in cui sono Quasi Mister Internet.

Quasi Mister Internet 2013 davanti allo specchio.

Pronto? Sì, sto tornando

Sì, tutto bene. Sono sul treno adesso. Tranquillo, posso parlare. No, non sono solo nel vagone: c’è un’unica italiana sulla quale eviterò ovviamente di fare considerazioni, ma per il resto la compagnia è composta da due americane delicate come la contessa De Blanck e una giapponese che incarna perfettamente lo spirito della giapponesità: ringrazia unendo le mani a preghiera e facendo un mezzo inchino con la testa. E ovviamente sorride. Mi ricorda un po’ una versione meno idiota di me. Niente in confronto col viaggio di andata, comunque: ero su un intercity Salerno – Torino pieno zeppo di napoletani agitati. Nulla contro i napoletani, ma tendono a interagire urlando.
Sì, Torino è favolosa. Orientarsi è semplicissimo, è un reticolato di strade, cioè le vie sono fatte tipo le calze di Rihanna, quelle a maglia larga per intenderci. Le piazze sono enormi, i palazzi alti. Si respira l’aria di una grande città, ma senza tutto il caos di Milano o di Roma. È come se tu non fossi obbligato ad avere una vita frenetica, nonostante la città lo permetta. E anche i torinesi mi piacciono: mi erano stati descritti come degli italiani freddi, e invece ovunque andassi ho trovato scherzi e sorrisi.
Casa mia? È in pieno centro, è vicina a tutto. La posizione è eccezionale, l’altra sera sono sceso e mi sono trovato in mezzo a un concerto. I miei coinquilini sono dei ganzi – uno è della Valle D’Aosta e appiccica adesivi di baffi ovunque, e l’altro è di Bolzano e parla tutto buffo, sì, praticamente io sono il terrone della casa. La mia stanza è fantastica. Sì, lo so, ho esaurito gli aggettivi a connotazione positiva e adesso mi tocca ripeterli. Oddio, diciamo che la mia mansardina è diventata un gioiello adesso che non sembra più l’ambientazione di un romanzo di Lovecraft. Ho passato due giorni a pulire tanto che adesso trasudo Lysoform. Sì, ho pulito col Lysoform. Sarebbe stato più utile il Necronomicon, te lo dico io. 
L’unico problema della camera è che non va la luce, ma ho risolto comprando una abat jour. Ma te lo sapevi che esistono diversi tipi di lampadine? Sono andato a comprarla, e il commesso mi ha chiesto se ne volevo una grande o piccola. Grande, dico io, ché nel dubbio uno punta sulle dimensioni. Ma è chiaro che invece ci voleva quella piccola: tutto l’universo cospira affinché tu faccia la scelta sbagliata quando hai il cinquanta per cento di probabilità di fare quella giusta. 
L’inaugurazione della Holden è stata quanto di più figo ci si possa immaginare. C’era la musica, i fuochi d’artificio, i giochi di luce, i palloni giganti, mancava giusto Regina Miami ma insomma c’era Baricco, direi che ci può stare. Ti rendi conto che negli ultimi anni sono andato a ballare in continuazione e che la festa migliore a cui abbia mai partecipato sia stata organizzata da una scuola di scrittura? Hanno capito tutto, sti intellettuali. C’avevano pure il vino senza solstizi. No, solfeggi. No, no, solfiti, il vino senza solfiti, che significa che lo puoi bere e il giorno dopo non c’hai il mal di testa. Hanno capito tutto ti dico, gli fa una sega Paris Hilton a sti qua.
Sono quasi a Genova, ci sono le gallerie tra poco. Torno giù per qualche giorno, il tempo di salutare tutti e di sbrigare le ultime cose e poi riparto stabilmente. Mi mancherete un sacco sai? Sarà proprio tutto diverso senza di voi, senza cenare con la mia famiglia e litigare sul fatto che ho troppe paia di Converse tarocche, senza le prove di martedì, che sono l’unico momento in cui mi concentro, che sono il mondo di persone con cui sto bene, senza tutti quei rituali televisivi da guardare insieme al mio amico e a mia sorella, senza i messaggini su cosa fare il sabato sera, senza la mia famiglia, senza i miei amici, senza tutto il resto.
Ma devo partire, capisci? E non perché a Lucca non c’è niente, e nemmeno perché giù non trovo lavoro. E sai, forse non è nemmeno perché scrivere è la mia vita, perché certo che lo è, ma sai, se uno vuole scrivere scrive, sulla carta igienica piuttosto, sui muri, sul retro dei francobolli, sui sassi con altri sassi, se uno vuole scrivere scrive e gli va bene qualsiasi posto, ma io non lo so se è per quello. È tutto un pretesto per dimenticare, ho questa urgenza, quella di dimenticare. Non lo so se è un discorso a cazzo, ma te lo dico: a un certo punto bisogna distruggere, prima di costruire. E io ho un mucchio bisogno di questo, di distruggere e ricominciare a costruire qualcosa di mio, senza fantasmi a violentarmi la mente, e questa è l’opportunità che ho per farlo, e vediamo come va, e mi mancheranno tanto le cene le Converse le prove guardare la tv insieme i messaggini tutto il resto ma sarà bello, per una volta, per qualche tempo, sentire la mancanza per qualcosa, sentire solo quella mancanza, la mancanza di qualcosa che invece c’è, e non la mancanza di qualcosa che effettivamente non esiste.
Non mi hai capito, vero? Sono troppo contorto. Mi dici di sì ma in realtà mi lasci solo sfogare, o forse non senti niente per via delle gallerie. In ogni caso ascolta, quello che assolutamente evitare nella vita è lasciarti tentare dalla pasta Combino della Lidl: costa poco, okay, ma fa schifo.

Non puoi stare simpatico a tutti, e vi spiego perché

Che non potevo stare simpatico a tutti l’ho intuito durante le scuole medie, quando mi odiavano tutti.
Ne ho la conferma anche oggi, quando mi capita di odiare tutti. Ma forse quella è sociopatia, che è un po’ diverso, ha poco a che fare con la simpatia, è più una cosa genetica che riguarda il DNA, praticamente come avere i capelli biondi o essere omosessuale, solo che sui sociopatici non fanno campagna elettorale, e questo è un po’ ingiusto. In compenso ci fanno un sacco di serie tv.
A un primo superficiale ragionamento potrebbe sembrare che un mondo dove tutti si stanno simpatici sarebbe un mondo perfetto. Penseremmo subito a un ambiente assolutamente pacifico e sereno, in cui udiremmo tanti uccellini fare cip cip, tanti gattini fare miao miao, tante mucche fare mu mu, tanti pikachu fare pika pika, tutti sorridenti, liberi, spensierati, e neanche l’ombra di un attacco tuonoshock
Ma non è così. Un mondo dove tutti si stanno simpatici sarebbe terribile, e adesso mi accingo a spiegarvi i motivi.

1. L’odio è il motore dell’evoluzione. Se finora avete pensato che sia l’amore a creare la vita, beh, scordatevelo. È il conflitto che genera le situazioni non banali e che aggiunge il sale alle nostre giornate, ed è sempre il conflitto che ci permette di crescere e sviluppare un senso critico. Non so se purtroppo o se per fortuna, ma ci evolviamo grazie all’odio. Tutto il resto sono sentimenti accessori eventualmente gradevoli.

2. L’odio è il motore di ogni storia interessante. Poniamo che tutti ci stiamo simpatici – ipotesi plausibile se si assume perlomeno l’inesistenza di tutta la famiglia Ghedini – poniamo che ci stiamo tutti simpatici, dicevo: ecco, in questo caso non esisterebbe proprio il concetto di simpatia. Probabilmente non riusciremmo nemmeno a immaginarci come sarebbero la simpatia e l’antipatia. Ne consegue che ci sarebbero tutta una serie di sceneggiatori disoccupati, che non avrebbero potuto scrivere i film che si basano sulla contrapposizione tra personaggi buoni e cattivi, quindi praticamente tutti, e anche se questo ci avrebbe risparmiato dalle interpretazioni di Nicolas Cage sarebbe davvero brutto un mondo senza film.

3. L’odio è il motore dell’amore. Sì, beh, questa è un po’ tirata, lo ammetto, più che altro la volevo scrivere per il titoletto scenico “L’odio è il motore dell’amore”, WAAAA, che cose fighe e accattivanti che scrivo, mi compiaccio di me stesso. Ad ogni modo, quello che intendo è che non potrei capire chi amare se non sapessi chi odiare. Questo vale anche per quanto riguarda l’amicizia, le relazioni, gli interessi, le passioni, e vi prego fermatemi perché sto diventando melenso.

Infine, mi preme ricordarvi che l’odio è anche il motore di questo blog, che non esisterebbe se io non fossi così oscenamente antipatico da dover criticare e giudicare e sparare pretenziose sentenze su praticamente tutto, ma siccome poi mi leggete, se volete questo blog abbiamo bisogno di qualcuno che mi stia antipatico. A proposito, se volete starmi proprio simpaticissimi, ricordatevi che potete votarmi come Mister Internet ai #MIA13. Ecco, l’ho detto.

I tacchi

La mattina era iniziata in modo tranquillo. La luce del sole che filtrava dalle finestre, il cielo terso, io sdraiato sul mio letto a contemplare il soffitto, inebriato da dolci pensieri di morte, gli uccellini che si godevano la bella giornata cinguettando ed emettendo altri irritanti versacci, la poesia degli ultimi giorni d’estate.
E poi tutto cominciò a tremare. Subito le nuvole coprirono il sole, e l’oscurità avvolse la Terra. Gli uccellini non cinguettavano più, erano auspicabilmente tutti morti. Terrificanti rumori provenivano dal salotto. 
TONF, TONF, TONF, TONF. 
Si avvicinavano sempre più, mi sentivo perduto. 
TONF, TONF, TONF, TONF. 
Un gigante? 
Un Tirannosaurus Rex? 
Godzilla?
No: mia sorella sui tacchi.
Insomma, stamani mia sorella si è comprata il primo paio di tacchi, in occasione di un matrimonio. Siccome è particolarmente sagace, ha cominciato col tacco 12. Le conseguenze principali sono che quando si muove sembra un robot e poi è altissima. Se si tinge d’oro e inizia a parlare a scatti sarà tale e quale a C-3PO, o a Lady Gaga.
Non c’è niente da fare, donne: io vi stimo, nella maniera più assoluta. Non solo avete dovuto affrontare un mondo che vi ha sempre considerate inferiori, schiave, deboli, non solo avete dovuto combattere e state ancora combattendo le battaglie per il diritto di voto e le pari opportunità, non solo vi trovate in questo occidente tendenzialmente maschilista nel quale non è raro sentire perle d’intelligenza come “se si mette la minigonna poi è chiaro che la violentano”, non solo talvolta appare quasi scontato che siate voi a dovervi occupare della casa e della famiglia, non solo dovete fare i conti con altri individui di sesso femminile che cercano di boicottarvi dall’interno (penso alla Biancofiore, per dire), ma dovete pure subire tutte quelle mini-pressioni sociali della femminilità, quindi niente cellulite, niente rughe, essere sempre a posto, essere sempre un passo avanti, niente fidanzati troppo vecchi sennò ti vuoi approfittare della loro ricchezza, niente fidanzati troppo giovani sennò ti vuoi approfittare della loro bellezza, 
ma soprattutto dovete imparare ad andare sui tacchi.
Io vi amo comunque, sia sui tacchi che con le Converse, sia che ci teniate alla vostra femminilità sia che ve ne freghiate, sia quando vi imparanoiate sulla vostra apparenza sia quando decidete di sbattervene altamente.
“Pronto, nonna, ciao, come stai?
Sì, io bene, sai stamani 
mi sono comprata i tacchi.
Eh. Quando cammino insomma, 
se sto ferma bene.

#votefor13

Questo è un manifesto programmatico creato con l’apposito scopo di sfrantecarvi le palle.
Adesso cercherò di concentrare tutte le mie capacità grammaticali per organizzare il migliore riassunto della questione: i Macchianera Italian Awards sono gli oscar della rete. Quest’anno, non si sa bene come sia potuto accadere, ho una nomination per la categoria Mister Internet, che so cosa significhi ma a idea è una presa di culo. Ora, le possibilità di vincere sono irrisorie, visto che gli altri concorrenti sono immensamente più popolari di me, ma tanto per prendermi sul serio come mio solito*, faccio un po’ di propaganda, che avrete modo di subire sulle mie pagine facebook, twitter, instagram e se mi ci incastra vado pure a Porta a Porta. 
*ironia
Per votare dovete compilare la scheda che vi metto qua sotto. Serve un indirizzo mail valido (che non verrà usato per spam o altre cose terribili), un nick (che potete benissimo inventare, non è importante), cliccare sulla clausola Ho capito, e poi bisogna votare in almeno 10 categorie
Quando vedete scritto, alla categoria 29, Mister Internet Alessandro Bianchi, ecco quello sono io.

Per confermare, basta cliccare il tastino Invia, in fondo alla scheda.
Se ci tenete proprio tanto alla mia causa, potete aiutarmi spargendo la voce, condividendo questo post sui vari social, votandomi con la mail di vostra zia, insomma, come vi pare.

Vi ricordo che se vincerò mi impegnerò a: indossare magliette a righine, scrivere scemenze, farvi scegliere il mio outfit del sabato sera con un rapido tweet, rassettare la scrivania ogni tanto (capito mamma?), abolire l’IMU e combattere l’evasione (tanto lo dicono tutti), impedire a Ben Affleck di interpretare Batman; ma comunque, qualsiasi premio potrò mai vincere, rimarrò sempre il blogger più sfigato della rete.
Esiste almeno un universo parallelo in cui vinco io: fate in modo che sia questo.
A parte le cazzate: grazie a tutti, davvero, di cuore.

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