“MAMMA, sono in finale ai #MIA13 !”

“Sì va bene ma ora metti in ordine la scrivania”.
Questa è stata la risposta di mia madre, che probabilmente sarebbe stata la stessa anche se le avessi detto di aver vinto il Premio Strega. La mia amica G invece mi ha chiesto se può accompagnarmi al festival, perché vuole conoscere Selvaggia Lucarelli. Mia sorella mi ha detto molto tranquillamente che non mi ha votato, che tenera ora la uccido, mentre mia nonna mi ha chiesto cos’è un blog. Va bene.
Ma affrontiamo la questione in ordine. I Macchianera Italian Awards sono gli oscar di Internet: in pratica, ogni anno premiano i migliori siti italiani appartenenti a varie categorie, tipo Miglior blog di cucina, Miglior sito di podcast, e così via. Nella prima fase si vota per segnalare i siti: quelli che ricevono più voti finiscono nelle nomination della seconda fase. A questo punto chi riceve più voti vince il premio della sua categoria. Capito, nonna?
Stamani ho trovato il link delle nomination, appena uscite. Ci clicco, dico “Toh, vediamo chi è in nomination”, e intanto che aspetto che la pagina si carichi ho il tempo di mangiare una brioscina, prendere gli integratori alimentari, spolverare alcune foto, leggermi la ricetta della pasta alle vongole e gamberetti e fare la cacca. Finalmente riesco a leggere le nomination. Mi compiaccio di alcune scelte, sbuffo per altre, e poi arrivo qui.
Mister Internet, Alessandro Bianchi. 
Aspetta un attimo, come mi chiamo io? 
ODDIO: IO MI CHIAMO COSÌ.
Ma è impossibile, sarà un mio omonimo. Però l’indirizzo del blog è il mio. Ma è impossibile, sarà uno scherzo, c’è un errore. Non mi sono nemmeno fatto pubblicità, se non per due o tre link sulla pagina facebook. Rendiamoci conto, sono tre righe sotto Selvaggia Lucarelli, quell’amore. Avete presente quando Lindsay Lohan diventa la reginetta della scuola al ballo di fine anno in Mean Girls? Ecco, sono io, uguale uguale. 
All’inizio ero terrificato. Poi l’ho presa a ridere. Poi ho pensato a quella puntata di Glee in cui Kurt viene nominato Miss qualcosa: lui mica si è fatto scoraggiare dagli altri concorrenti, no, si è battuto per conquistare il premio. Ecco, ecco, nemmeno io devo farmi scoraggiare da tutte le webstar che concorrono con me. Non importa se tutte loro hanno una media di 30mila follower su Twitter mentre i miei follower sono 457. Senza il “mila”, non so se mi spiego. 
Quindi, nel dubbio, votatemi, ecco.
COME VOTARE
Non è difficile: basta avere un indirizzo mail valido ed andare qua, sulla pagina delle nomination. Bisogna per forza esprimere almeno 10 preferenze, altrimenti il voto viene annullato. Potete tirare a caso, ma ancora meglio è se andate a leggere i vari blog: alcuni sono interessantissimi e ti fanno pisciare addosso dalle risate. Se proprio non sapete chi votare io vi consiglio: Signor Ponza (Miglior rivelazione) e The Queen Father (♥! Miglior sito per genitori e bambini) e Spora o Marco Goi (Miglior Articolo). E beh, me
PERCHÉ VOTARE ME
– sono giovane, carino e disoccupato. Per dire, quelli di Radio 105 ce l’hanno già un lavoro
– sono nuovo, voglio rottamare chi è attaccato alla poltrona ma sono più simpatico di Renzi
– sono bravissimo a consigliarvi quando fate shopping
– so fare i toast
– Dio, se esiste, ti vede
– esigo solo videocassette originali Walt Disney Home Video
– perché io valgo
– vi saluto sempre se vi vedo per strada
– scrivo sempre perché con l’accento giusto
– vi amo abbastanza.
Comunque, a parte tutto, ragazzi… Grazie ♥

Ma buon Ferragosto COSA?!

Trovo perfettamente naturale fare gli auguri di buon compleanno, così come quelli di buon anno nuovo, e quelli di una pronta guarigione. Passino anche gli auguri di Natale indistintamente dalla religione professata, ci mancherebbe, non stiamo a guardare il capello. Gli auguri di buona Pasqua già mi perplimono di più, mentre quelli di buon appetito, di buona giornata e di buona notte li considero normali saluti della quotidianità. 
Quest’anno però diverse persone mi hanno fatto gli auguri di un buon Ferragosto. Per carità, grazie, ed ehm, auguri anche a voi, un sacco proprio, ma mi sfugge il motivo di questi auguri. Okay, ho capito che Ferragosto è una festa religiosa, ma fino all’anno scorso era solo una giornata in cui affogare i bambini irritanti con la scusa dei gavettoni. Improvvisamente adesso c’incastra qualcosa la Madonna: devono averci fatto una domanda all’Eredità, sennò non mi spiego. 
C’è da dire che io sono di parte. Amo l’estate e tutto quello che riguarda l’estate – le albicocche, andare al mare, le vacanze, gli amici fuorisede che tornano in città, gli spettacoli di teatro in piazza, il cinema all’aperto, i concerti, girare in bici nel parco fluviale, i feromoni nell’aria, i tormentoni idioti, indossare le magliette a maniche corte, il balletto del mamamia, sbrodolarsi col cocomero, gli aperitivi, gli occhiali da sole, fare il bagno, le stelle cadenti e tutto il resto – amo l’estate e tutto quello che riguarda l’estate, dicevo, però credo di fare parte di quelle persone che sono geneticamente preimpostate per non essere così completamente spensierate durante questa stagione.
Amo l’estate, però non sono di quelli che se la godono e passano di festa in festa e pensano solo a vivere e che io invidio molto. Pur amando l’estate, mi trovo molto più in sintonia con le stagioni autunnali. È come se l’autunno fosse un vestito che si abbina meglio al colore della mia pelle, che ne so. Questo non significa che non mi piaccia anche il vestito dell’estate, ma gli altri mi cadono in modo più naturale. 
Ad ogni modo volevo specificare che il solo fatto che Ferragosto sia passato non autorizza nessuno a chiedermi cosa si fa per Capodanno.

Berlusconi chi è?

Viviamo in Italia, una piccola Nazione a forma di stivale appartenente al pianeta Terra. L’Italia, ma anche il pianeta Terra, ha attualmente moltissimi problemi di cui elenco solo i più banali:
– disoccupazione
– lavoro
– femminicidio
– mafia
– questione vaticana
– immigrazione
– diritti civili
– omofobia
– xenofobia
– istruzione e università
– ricerca
– sanità
– tasse
– carceri
– smaltimento rifiuti
– abusivismo
– criminalità
– giustizia lenta
– droga
– fondi alla cultura
– finanziamenti alle missioni militari
– corruzione
– crisi economica
Praticamente ogni giorno, da circa diciannove anni, noi ci svegliamo e viviamo una realtà in cui i nostri problemi non sembrano quelli del suddetto elenco, bensì quelli di
Silvio Berlusconi
e questa cosa, lo capite, non va bene.
Io non dico che lui è la causa di tutti i problemi. Io non dico che se lo togliamo di mezzo tutto tornerà bello magicamente. Io non dico che le altre parti politiche sarebbero in grado di risolvere i problemi dell’Italia.
Ma questa persona ci costringe a parlare di lui sempre e continuamente. Lui è sulle prime pagine dei giornali, lui è il primo servizio dei tg e in radio, lui è il primo, sempre. Ed è inutile che si lamenti che è perseguitato, perché lui VUOLE essere perseguitato. La persecuzione è un modo che ha per far parlare di sé e per rincoglionirci tutti.
Io faccio un appello: salvatelo, assolvetelo, prescrivetelo, lasciatelo libero, dategli tutti i soldi che vuole e tutte le puttane minorenni che vuole, e in privato fategli cantare tutte le canzoni e raccontare tutte le barzellette squallide di cui è a conoscenza. 
Ma smettiamo di parlare di lui una volta per tutte. Io voglio che le prime pagine dei giornali siano dedicate ai problemi veri, non a una persecuzione giudiziaria che non mi riguarderà mai e non riguarderà mai nessuno di noi (forza, alzi la mano chi di voi conosce qualcuno che è perseguitato dalla giustizia).
Io voglio che sia dato spazio a TUTTI gli argomenti, dalla crisi economica (che sì, è importante) ai diritti civili (che sì, sono altrettanto importanti), passando per tutto il resto, e questo sia per quanto riguarda le notizie riportate dai mass media sia per quanto riguarda l’ordine del giorno in Parlamento. Io voglio che Mentana e Vespa e Santoro facciano meno speciali di quattro ore sulla sentenza dei diritti Mediaset, come se fosse una partita di calcio, e ne facciano di più su tutto il resto.
Vorrei che pronunciare il suo nome non presupponesse la stessa scontatezza dei nomi di, che so, Giulio Cesare, Leonardo Da Vinci o Garibaldi, che tutti conoscono. Vorrei che qualche volta, solo qualche volta, succedesse che un giornalista dice il suo nome in tv, e da qualche parte, in Italia, qualcuno chiedesse

BERLUSCONI  CHI  È?

Scrivo (a me, a F. e a tutti voi)

Qualche sera fa mi trovavo in spiaggia a festeggiare la laurea di un mio caro amico. È stata una di quelle serate in cui sei contento della vita e in cui scegli abbastanza consapevolmente di lasciare da parte per un momento tutte le varie problematiche che possono turbarti e per qualche ora puoi goderti il mare, la sangria e i tuoi amici. Verso fine serata – dopo i giochini alcolici, dopo i discorsi a bischero, dopo le risate, dopo il regalo e il discorso di laurea – la dolcissima C. mi ha chiesto se non avevo paura che il mio blog potesse diventare troppo personale. Durante questi anni io ho avuto modo di pensare spesso riguardo a questo, ma la domanda di C. e ciò che è successo qualche giorno dopo sono stati lo spunto di nuove riflessioni.
Non ci sarebbe da parlarne a lungo: dopo aver fatto alcuni errori, ho deciso di non scrivere sul blog (né su facebook, né su qualsiasi altra piattaforma pubblica) niente che non voglio che la gente sappia di me. Ho deciso di tenere il blog mettendoci la faccia, pertanto devo filtrare alcune cose, romanzarne altre, evitare di scrivere in maniera troppo personale. Spesso mi trovo a dire ad alcune persone di non pensare che io sia soltanto il Tredici del mio blog: quella è solo la parte di me piatta, narrativizzabile e pubblicabile, e a volte nemmeno troppo veritiera. Così come non si conosce una persona da un avatar, così non si può dire di conoscere me dal mio profilo.
Ma volevo andare oltre questo concetto, stavolta. Perché mi sono trovato a pensare che non tutto quello che si ottiene dalla vita virtuale sia necessariamente povero. Per esempio, quando qualche mese fa sono sparito per un periodo, qualcuno dei miei lettori – cioè persone che mi conoscono soltanto attraverso le mie parole – mi ha scritto per chiedere se andasse tutto bene. C’è S, che ogni tanto mi contatta per chiedermi come va; c’è M, che in privato si sfoga e mi racconta di sé; c’è G, che mi chiede di più sul teatro, perché anche lei vorrebbe tanto essere una bomba che esplode; ormai non mi ricordo più in quanti in chat mi hanno chiesto se ero proprio io quel blogger che scrisse quegli auguri di buon anno nuovo o quel post sul ragazzo dai pantaloni rosa; c’è G, che trovò il coraggio di congratularsi per la mia laurea in informatica, ma che sapeva che io nella vita dovevo scrivere, e poi iniziò a parlare di sé, della sua situazione che non gli permette di vivere la sua sessualità in modo aperto, mi parlava, G, e io capivo che in qualche modo si fidava di me, che io, con questo blog di cazzate, l’avevo convinto a contare su di me.
La settimana scorsa c’è stato F, che ha scelto di scrivermi una lettera pubblica, nei commenti, una lettera lunghissima che credo gli sia costata diverso tempo. Mi fa piacere quando le persone spendono il loro tempo per me: mi fa capire che ci tengono, perché il tempo è una cosa preziosissima, no? E insomma F mi ha scritto un sacco di cose, e sembrava mi conoscesse da una vita, e invece aveva solo letto il mio blog (peraltro tutto in una notte, non imitatelo a casa!). Ha scritto riferimenti a dei miei post che io stesso avevo dimenticato, e mi ha fatto capire che in qualche modo questo mio stile di scrittura gli era stato utile, gli aveva portato conforto e lo aveva fatto sentire meno solo.
È buffo, perché ho sempre pensato di scrivere per me, e di non dover rendere conto a nessuno di ciò che scrivo. Questo continua a valere, nel senso che il mio primo lettore sono proprio io, e sarà sempre così. Però, forse, considerando tutte queste cose e considerando le opportunità che pare si stiano per concretizzare nel mio futuro, forse posso provare a scrivere anche per qualcun altro. Certo, con tutta l’umiltà del mondo: probabilmente su cento persone, quelle che mi apprezzeranno e che mi troveranno valido/bello/utile saranno una o due, ma questo non è già sufficiente?
L’affetto di qualsiasi lettore non sostituirà mai quello dei tuoi amici durante una serata al mare e con la sangria; sono due cose diverse, e sono belle entrambe. Ora, poiché questo post è pallosissimo e sinceramente adesso che l’ho finito mi accorgo che non c’era tutta questa urgenza di scriverlo ma ormai l’ho scritto e mi rompe non pubblicarlo, cercherò di sviare l’attenzione di tutti postando un video pop.

Cerco casa disperatamente

Come forse sapete, d’altronde è solo la notizia più popolare in questi giorni dopo la nascita del Royal Baby, a inizio autunno mi dovrò trasferire a Torino per studiare (e possibilmente lavorare). La cosa mi elettrizza oltremodo e, nonostante abbia iniziato questa frase solo per poter scrivere “oltremodo” che è un avverbio desueto ma molto chic, non vedo l’ora di cominciare questa nuova avventura. Certo, lascerò qua alcune persone a cui voglio un kappa di bi, ma direi che alle cose melodrammatiche ci penserò più avanti: prima ci sono alcune terrificanti problematiche da risolvere. Per esempio, trovare casa.
Ora, dovete sapere che io sono proprio inesperto in questo campo. Avendo fatto l’università a Pisa, mi è sempre convenuto pendolare da casa alla facoltà tutti i giorni, tanto i mezzi pubblici lucchesi fanno solo quei quaranta minuti di ritardo che ben concorrono al nobile scopo di farti integrare in una società di proletari incazzati.
Affronterò la questione suddividendo tutte le mie turbe in pratici paragrafetti.

TIPO DI ALLOGGIO
Coabitare con altre persone comporta necessariamente la condivisione di alcuni spazi comuni, come il bagno e la cucina, e il rischio di -udite udite- dover socializzare con esseri umani. Tali esseri umani potrebbero essere antipatici, sporchi, irrispettosi, omofobi, saccenti, casinisti o, infine, ingegneri. D’altro canto, vivere in un monolocale per conto mio significa avere più spese da non poter dividere, oltre al fatto che sarei sempre solo e che in una mansarda di quindici metri quadri rischio di sclerare. Perciò, coabitazione o monolocale? Ho deciso che mi vanno bene entrambe le opzioni e do la priorità al risparmio. Attualmente mi sto concentrando su una camera singola ma in una casa con altre persone.
TIPOLOGIA DI COINQUILINI
Nel caso, più probabile in effetti, in cui mi trovassi a valutare una casa per coabitare, le mie amiche esperte in coinquilini di merda mi hanno fornito alcune dritte per identificare la fauna umana migliore. Hanno cominciato a snocciolarmi informazioni che riporto:
– no più di cinque per casa
– no musicisti
– no coppie
– no disoccupati
– no matricole
– no over 30
– no americani
– no prostitute ucraine
– no mammoni
– no cagacazzi
Praticamente devo rivolgermi a un’agenzia di casting.
ZONA DELLA CITTÀ
Attualmente sto dando la priorità alla zona della città in cui abitare. Ci sono zone più o meno care, zone più o meno tranquille, zone più o meno pericolose, come in ogni città. Inizialmente un parametro di scelta era quello della distanza, ma poi ho scoperto che la mia scuola si trova nel baricentro preciso dei nuclei criminali di Torino, come possiamo vedere dalla seguente mappina.
Ora, i vantaggi di abitare in quella zona sono molteplici: sarei vicinissimo alla scuola e le case costano di meno. D’altra parte, c’è da tenere presente l’importantissimo coefficiente PARA. Vedete, ogni essere umano ha dentro di sé un valore variabile che misura la sua tendenza ad essere paranoico. Per esempio, uno può sbattersene altamente se sotto casa due rumeni si stanno accoltellando oppure può trovare la cosa più preoccupante. 
Vediamo dove mi colloco io nella scala di paranoia:

Come potete vedere, per quanto mi piacciano gli scambi culturali, le esperienze adrenaliniche e i rischi del mestiere, tendo ad una certa prudenza. Per cui sto optando per un alloggio un po’ più lontano dalla scuola ma che non mi faccia impazzire.

Questo è quanto. Se avete consigli, suggerimenti, contatti, sono tutti ben accetti.

La mia personale e discutibile opinione sui guidatori di SUV

Mi considero una persona che non ama generalizzare. Quando lo faccio di solito è per scherzare, perché bisogna ammettere che alcune battute sulle bionde o sugli ingegneri sono spassose. Dentro di me non ho bisogno di razionalizzare, perché pensare che gli stereotipi sono stupide generalizzazioni mi viene naturale. Sarà perché per forza di cose mi trovo a vivere continuamente le discriminazioni, o anche perché ho un sacco di amiche bionde non oche e amici ingegneri non tonti. 
Non discrimino praticamente mai e ciò non mi costa alcun sacrificio: come ho detto, mi viene spontaneo. Non devo sforzarmi assolutamente niente per vedere che non esistono differenze tra bianchi e neri, tra cristiani e musulmani, tra nord e sud Italia, tra gay e etero. O meglio, la diversità c’è, ma non è qualcosa che divide una categoria migliore da una peggiore. Non discrimino nessuno, nemmeno i leghisti, per quanto facciano di tutto per sembrare dei totali dementi; nemmeno i vegani, anche se poverini, qualche volta mi viene voglia di andare da loro con le salsicce e nutrirli a forza; nemmeno le maestre che votano PDL, perché boh, magari non hanno capito; nemmeno le fan di Moreno di Amici, che insomma, chi cazzo è.
Se c’è una categoria per la quale devo proprio impegnarmi tanto per non stereotipare, è quella dei guidatori di SUV (anche quella dei calciatori, ma ne ho già parlato qua). Badate bene, mi ci impegno, perché mi piace pensare di essere un bimbo dalle libere vedute. Però, ecco, mi pare che tutte le volte che ho a che fare con uno col SUV, questi si dimostri un cafone arrogante minidotato (ma l’ultima è un’impressione che effettivamente non trova riscontro nella scienza per quanto sia considerata molto attendibile dai detti popolari). 
Vi racconterò della mia ultima esperienza a riguardo. Prego la regia di mandare il jingle. 
I simpatici ma istruttivi aneddoti di
♪♫ Treeeediiiiciiii ♪♫

Sì, ehm, bene, grazie. Dunque, era lo scorso Giovedì, mi pare. Dovevo fare delle commissioni e, preso da un’improvvisa passione per l’ecologia, decido di andare alla Coop con la bici di mia madre. Scopro lungo il tragitto che la suddetta bici ha i freni rotti quindi il viaggio verso il supermercato si fa anche più avventuroso ma che me frega della morte, dico, c’ho le cuffie alle orecchie che mi creano una specie di colonna sonora, tra l’altro ascoltavo i Within Temptation perché avevo preso il lettore mp3 vecchio, quello che risale al tempo in cui ascoltavo il metal e Ligabue – un giorno andrò da uno psicanalista che mi dirà quante turbe mi ha provocato quel periodo. 
Fatte le commissioni, torno a casa, con le macine e un melone nel cestino della bici e la solita musica dell’era tardo-adolescenziale nelle orecchie: TI BRUCERAAAAI PICCOLA STELLA SENZA CIEEELOOOOO, Dio ma la ascoltavo veramente ‘sta roba?, quando a un tratto il lettore decide di morire per sempre e lasciarmi da solo con le macine e il melone, in quello che non sembra più un film d’avventura, ma solo un’inquietante vita vera.
Adesso abbiamo bisogno di un contributo fotografico che prego la regia di mandare.

Ecco, grazie. Come si può notare dalla accurata ricostruzione satellitare, io avevo bisogno di svoltare a sinistra alla fine del ponte per tornare a casa. Mi sembra perfettamente normale, dunque, guadagnare il centro della carreggiata, ovviamente dopo essermi assicurato che non passassero macchine. Ebbene, il SUV inizia a suonarmi (non so se avete presente il clacson di un SUV, un pochino di paurina la mette), poi mi supera passando dalla sinistra e il soggetto sul sedile posteriore mi grida qualcosa che suonava come vagamente offensivo.

Ora, vi garantisco che la mia reazione avrebbe tanto voluto essere quella di un ragazzo calmo e riflessivo che con pazienza e moderazione intavola una pacata conversazione sul fatto che, non trovandoci a Gotham City, loro non erano legittimati a spiacciucarmi sull’asfalto, e vi garantisco anche che io avrei tanto voluto mostrarmi come una persona assolutamente diplomatica proseguendo la suddetta pacifica discussione sul perché la loro cazzo di automobile di merda avrebbe dovuto darmi la precedenza, e invece ho avuto soltanto il tempo di mandarli a fanculo.

Ma ho appena scoperto che una mia amica bionda si è messa con un mio amico ingegnere e questo mi diverte molto.

Il destino

Qualche anno fa non credevo nel destino. Una delle mie scrittrici preferite diceva che più che nel destino dovremmo credere nel rimboccarsi le maniche e sudare. Probabilmente sono stati anche i miei studi scientifici a influenzarmi: quando il mondo in cui vivi si basa sul provare l’esistenza del caso e smentire ogni altra forma di entità soprannaturale non dimostrabile scientificamente – sia essa il destino, il mostro di Lochness, il fantasma formaggino, Dio, Allah, l’invisibile unicorno rosa – sei portato a formarti un pensiero ben preciso su ciò in cui credi e ciò in cui non credi. 
Ma è così facile non credere nel destino, se non ci hai mai avuto a che fare.
Cominciai a simpatizzare per il destino quando dovetti interpretare questo ruolo a teatro. La commedia parlava di due streghe che rischiavano di perdere la loro immortalità, e il mio personaggio era un eccentrico signore che si divertiva a giocare con loro mandando profezie a destra e a manca. Io ero il destino, e passavo il tempo sul palco a parlare di passato, presente e futuro, dicevo di stare attenti perché ogni piccola nostra azione fa parte di un fitto intreccio di eventi concatenati, “come in un mirabolante centrotavola galattico”.
Qualche tempo fa è uscito un film di animazione che si chiama Brave, la protagonista è una ragazza dai capelli rossi e per una curiosa coincidenza io ho un debole per le ragazze dai capelli rossi così andai a vedere il film coi miei amici. Forse ci sarei andato comunque, anche se la ragazza fosse stata bionda, mora, o pelata anche, ma il punto è che l’ultima frase del film è Il nostro destino vive in noi: bisogna soltanto avere il coraggio di vederlo.
Negli ultimi x mesi mi sono successe un po’ di cose. Ho sempre il timore di dire che mi sono successe delle cose brutte, perché le vere cose brutte sono altre e bisogna saperci dimensionare, è vero; però è anche ingiusto sminuire un problema che ci riguarda solo perché non è la fame nel mondo o una malattia o un lutto. Diciamo che ci sono state cose che mi hanno fatto stare male, con tutto il rispetto. Non sarò mai felice per tutto quello che mi è successo, non dirò mai che alla fine è stata una fortuna, non mi sentirete mai essere solo anche minimamente contento per quel dolore, e il motivo è che fa ancora male. Ma non posso evitare di notare che si stava creando una rete di cause e conseguenze che mi ha portato a fare delle scelte importanti.
La sto facendo troppo lunga, non so se capite dove voglio andare a parare. Diciamo che c’è una cosa che vi devo dire, ed è una cosa bella. Io non lo so se il destino esiste o no, però adesso comincio a farmi qualche domanda.
Il proiettile corre e non sa se ammazzerà qualcuno o 
finirà nel nulla, ma intanto corre e nella sua corsa 
è già scritto se finirà a spappolare il cuore di un uomo 
o a scheggiare un muro qualunque. Lo vede il destino? 
Tutto è già scritto eppure niente si può leggere.
A. Baricco, Castelli di rabbia