Considerazione scema sull’ordine alfabetico (e anche sullo spremi limone spray)

Ogni tanto mi trovo a pormi quesiti dalla natura apparentemente inutile che tuttavia suscitano il mio interesse. Qualche giorno fa sono stato almeno un’oretta a ragionare riguardo lo scopo dello spremi limone spray che tra l’altro adesso è nel catalogo dei premi dell’Esselunga e lo si può vincere con un ammontare di punti tutto sommato irrisorio se si pensa alla notevole quantità di tempo che si risparmia e all’incredibile sollazzo che se ne ricava. Ovviamente dovete essere quel tipo di persone che apprezzano il gusto del limone sul cibo, altrimenti non ve ne fate niente. Per quanto mi riguarda, non lo metto nemmeno nel thè, però vi confesso che l’idea di avere un aggeggino che ti spreme il limone e te lo spruzza sul piatto in tempo reale mi diverte, farei minestre intere di succo di limone che poi però non mangerei.
Signor Esselunga se mi vuoi assumere come responsabile del marketing, sono qua. 
Comunque, mi stavo chiedendo: chi è che ha deciso l’ordine alfabetico? Nel senso: chi ha deciso che la prima lettera è la a, la seconda è la b, la terza è la c e così via? C’è un motivo o è stato fatto a caso da quello che ha inventato le lettere? Perché per l’ordine numerico è facile: prima c’è lo 0 perché hai zero biscotti, poi c’è l’1 perché hai un biscotto, poi c’è il 2 perché hai due biscotti e così via, aggiungendo sempre 1, è facile, si capisce, anche grazie alla gustosità dei biscotti, insomma non è che qualcuno ha dovuto decidere un ordine. Per l’ordine alfabetico invece no, e diamo per scontate un sacco di cose riguardo a questo. Per esempio, se la B non venisse subito dopo la A, ma venisse che ne so venti lettere dopo, io non avrei dovuto sostenere l’orale della maturità il primo giorno, con la conseguenza che forse avrei potuto ripassarmi la Rivoluzione Civile Spagnola e forse non avrei fatto scena muta quando il commissario esterno di Storia mi ha chiesto la Rivoluzione Civile Spagnola e forse ancora oggi non mi sognerei la Rivoluzione Civile Spagnola e nemmeno mi sveglierei nel cuore della notte gridando Francisco Franco signor commissario la risposta è Francisco Franco!, e questo è solo un esempio sulle conseguenze dell’ordine alfabetico.
Da grande voglio fare quello che decide gli ordini delle cose. Se non mi prendono all’Esselunga come responsabile del marketing.

17.5.2013 – IDAHO

International Day Against Homophobia, Biphobia and Transphobia
(ne avevo fatta anche un’altra con l’effettino diverso,
ma mia mamma ha detto che è più bellina questa)
(quella dell’anno scorso è qui)

Gino

Anche se il titolo è un nome maschile che potrebbe farvi pensare che io abbia trovato un uomo buono, onesto, che mi voglia bene e auspicabilmente con un animo di venti centimetri, devo precisare subito che Gino non è il mio nuovo fidanzato. Anche perché ultimamente gli unici uomini che hanno a che fare con me sono mio papà ed Enrico Mentana, che è praticamente ovunque e direi che è il caso di rivedere le regole del prepensionamento.
Gino era il mio professore di matematica del liceo. Ora, la cosa straordinaria del mio cervello è che di tutte le informazioni che quell’uomo cercava di trasmettermi, io mi ricordo solo dei particolari più idioti. Tra parentesi, questa è una cosa che mi succede praticamente con tutto: guardo centinaia di film e leggo svariati libri e non ricordo niente, ma il balletto di Asereje e il testo di Barbie girl li so a memoria
Comunque, dicevo di Gino. Uno dei migliori insegnanti che abbia mai avuto, perché non era solo bravo nella sua materia, ma sapeva anche spiegarla. E sono convinto che se qualche anno fa mi aveste chiesto di farvi uno studio di funzione avrei saputo benissimo appellarmi ai suoi insegnamenti e partire a disegnare un grafico; invece, oggi, riesco a ricordarmi solo poche cose. Tra cui questa storiella, che mi accingo a riproporre.
LA  STORIELLA  DI  GINO
(stacchetto musicale,
direi che Barbie girl può andare)
Ci sono due fratellini, Tizio e Caio. Tizio è molto intelligente e ha una grande memoria. Caio no. Un bel giorno la mamma di Tizio e Caio dà loro delle commissioni: dice a ciascuno di andare a comprare dieci oggetti. Tizio, essendo molto intelligente e avendo una grande memoria, parte subito. Caio, invece, prende un foglietto e si appunta tutto. Come finisce la storiella? Che Tizio torna con nove degli oggetti da comprare, mentre Caio con tutti e dieci.
Tizio è stato indubbiamente molto bravo, perché si è ricordato di nove elementi della lista. Ma nessuno gli vietava di scriversi dei promemoria, come ha fatto Caio, che li ha riportati tutti. Quindi pochi cristi, gente, Caio ha stravinto. Tizio sarà anche un genio, ma Caio, cioè quello scemo e senza talento, a Tizio gli ha spaccato il culo.
Gino ci raccontò questa subdola storiella per convincerci a scrivere il compito sul diario (avevamo la tendenza a, ehm, dimenticarci di farlo), io ci vedo anche qualcosa di più: che la perseveranza, la volontà, l’impegno, la tecnica, l’applicarsi contano di più dell’intelligenza e del talento. 
Fine. Grazie Gino, a volte è giusto ricordarlo. Secondo stacchetto.

Sesto potere

Ho scoperto una cosa: la vita, senza facebook, è possibile. Anzi, no, questa la sapevamo tutti. Ho scoperto una seconda cosa, ancora più elettrizzante: la vita, senza facebook, è migliore. E mi sento di aggiungere che si vive bene anche senza twitter, instagram, tumblr, blog, youtube e perfino la colonnina a destra di Repubblica.it.
Internet ci mette ansia, e non lo sappiamo neppure. Non lo vogliamo ammettere, ma ci sentiamo come costretti ad apparire virtualmente. Voi sicuramente non lo ammetterete mai, perché siete dei falsi farisei e nei commenti vi sperticherete in articolate osservazioni su come io sia tonto ad averci messo così tanto a capirlo. Vedete, c’è un problema. Che lo scopo di questo blog, oltre a essere il catalizzatore delle mie stronzate che altrimenti andrebbero perdute nel mondo delle stronzate, oltre anche ad essere una valvola di evasione e sfogo delle paturnie che il mio animo negativo e irreversibilmente malato produce in maniera naturale, lo scopo di questo blog è anche cercare di rendersi visibili al malaugurato editore anonimo che, metti caso che il giorno in cui mi visita stia particolarmente male, potrebbe propormi una collaborazione. 
Questo spiega anche tutto il resto delle diavolerie virtuali collegate al blog: la pagina facebook, l’account twitter, quello su instagram, i vari profili sparsi nel mondo dei social network. Ma in realtà odio tutte queste modalità di proposta dei cazzi miei. Questo doversi imporre per essere visibili. Vorrei che le persone scoprissero i cazzi miei perché mi vogliono bene, perché interessati a sapere come sto, non per uno spirito voyeuristico che li porta al blog. O meglio, vorrei che non fosse sottinteso che tutto quello che mi capita fosse scritto sul blog, perché non è così: anzi, io riporto solo una piccolissima parte della mia vita e dei miei pensieri, e anche quella che riporto la narrativizzo per renderla più divertente.
In questi giorni, per vari motivi, ho sentito il bisogno di allontanarmi da Internet. Non sopportavo più l’ansia, la mania di controllo, l’onnipresente necessità di apparire e, soprattutto, la paura di scoprire qualcosa. E allora sono uscito. Sono andato in biblioteche in cui non c’è la connessione. La biblioteca statale di Lucca è un luogo meraviglioso, poi. Uno stanzone enorme, e insieme a me solo altre quattro persone, e migliaia di libri antichi. In questi giorni ho scritto, ho letto, ho ascoltato, ho nuotato, ho pedalato. Sono stato al concerto dei Baustelle, ho partecipato a un seminario sul cinema, ho fatto cose. Okay, tutto il tempo guadagnato l’ho poi perso a giocare, infatti vorrei indire una giornata di preghiera cumulativa affinché Dio punisca corporalmente i creatori di Candy Crush Saga.
Ho deciso che ho bisogno di dare il giusto peso al mondo virtuale. Non posso disiscrivermi del tutto da tutto, come ho pensato in questi giorni, perché alla fine mi è comodo, per i motivi che ho scritto sopra, e poi mi piace. Ma l’altro mondo non mi crea ansie, e un cervello libero da brutti pensieri è quello di cui ho bisogno ora. Insieme alla completa disintegrazione degli autori di Candy Crush Saga.

Chi sono

È tempo di ristrutturazioni grafiche per il blog. Un mio amico sta lavorando al nuovo header, ché mi ha detto che questo che ho sembra quello di un blog di natura o videogiochi; ho anche deciso di approfittare della pagina Chi sono di Blogger, già che ero in vena di cambiamenti. La trovate qui a destra, nella colonnina Social, insieme ai contatti Twitter, Instagram, Facebook, Bloglovin e sticazzissimi. Oppure qui sotto, ve la copio. Boh, ciao.
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Sembra che debba usare questo spazio per descrivermi.

Si tratta di fornire qualche informazione sufficientemente generica da non cambiare nel tempo, e questo non è semplicissimo: se c’è una cosa che ho imparato su di me, è che gli aggettivi che mi do spesso cambiano. Non lo so se è una cosa positiva o negativa. All’inizio pensavo che fosse un bene, cambiare. Ora non so. Butto lì qualcosa a caso.

Mi piace scrivere.

Spero sempre troppo.

Metto le maiuscole quando ci vogliono, l’accento acuto su perché, l’apostrofo dove serve, uso il congiuntivo e non le k, e tendenzialmente uso la grammatica italiana in maniera corretta. Se lo fanno anche gli altri mi fa piacere, ma riesco anche a passarci sopra.

Non piaccio a molta gente.

Virtualmente sì, ma è perché mi so vendere bene. Nel mondo vero no.

Sono timido. Mi piace così.

Sono buono.

Non sembra, mai.

Mi piacciono le mele cotte, la pasta, il mare, il teatro, recitare, mangiare (non sembra), comprare cose, la musica, avere idee, quando rido, non essere solo, Glee, i jeans, Darkroom dei Baustelle, i biscotti, guidare, i Florence and the Machine.

Mi piaceva essere innamorato.

Partorisco cazzate.

Sono paranoico.

Non mi so esprimere tanto bene a parole.

Mi servo dei social network per cercare di avere più visibilità (oggigiorno se vuoi fare quel che voglio fare io serve essere qua), mi racconto sul blog e narrativizzo i miei pensieri, ma la verità è che vorrei che le persone mi conoscessero davvero. Piano piano. La mia versione di ciccia.

Vorrei imparare a sognare.

Non sperare, non illudermi: sognare.

Almeno quello.

Amo i miei amici.

Amo scrivere.

Vorrei mettere una foto qui sotto, ma non ne trovo di decenti.

Vabbè. Facciamo che può andare.

Io sono quello a sinistra.

Regina Padre

– Parigi duemilaTredici –
#7

Sì, questo è il post che parla di Queen Father, uno dei miei blogger preferiti.
Ora, tanto per fare un dispetto a tutte le sue fan psicopatiche che da due settimane mi assillano con richieste di narrar loro il nostro incontro, e tanto per fare un dispetto anche al mio amico che non vedevo da un mese che la prima cosa che mi chiede su Parigi è stata Ma davvero hai visto Queen Father?!, brutta troia guarda che esisto anch’io, ecco, tanto per fare un dispetto a tutte queste persone, adesso farò una piccola premessa. A Parigi non cercavo risposte, solo suggerimenti. Spero che quelli che ho riportato in questi post vi siano piaciuti: per me raccontarveli è stato strano, perché di solito sono molto meno intimo nello scrivere i post sul blog e filtro i pensieri con un po’ di fantasia.
Ma veniamo a Queen Father: non vi racconterò di quello di cui abbiamo parlato, perché insomma saranno anche cazzi nostri. Non era un’intervista ad una celebrità, era un incontro con una persona della blogosfera che stimo. Tra l’altro sono arrivato con svariati minuti di ritardo perché era il giorno del checkout e non si chiudeva il divano letto, tra l’altro poi la padrona di casa nippofrancese ha creduto che lo avessimo rotto, tra l’altro voleva farci pagare 85 euro per un divano letto non rotto che tra l’altro varrà 12 euro, brutta deficiente nippofrancese non ci torno più nel tuo appartamentino con le docce accanto al piano cottura.
Queen Father è una persona meravigliosa. Quando leggi il suo blog, hai l’impressione che sia simpaticissimo, affettuoso e che abbia uno spirito critico intelligente. E sì, è così davvero, ma c’è un’altra cosa che mi ha colpito, e cioè che è davvero un padre, che il suo sguardo giovane è lo sguardo di un padre. In uno Starbucks di Parigi abbiamo parlato di Londra (e di Italia, e di Real Time, e di zie squartate, e di amore, e di vita, e di priorità, e di altre scemate). Se davvero i gay, superati i Quaranta, li mettono tutti su un’isola a uccidersi l’un l’altro per il mascara, forse lui riuscirà a scampare da questa triste sorte.
Ah, ho il suo numero di telefono. Rosicate, fan psicopatiche, rosicate.

Post su Parigi duemilaTredici

Il posto più bello del mondo (dopo gli abbracci tuoi)

– Parigi duemilaTredici –
#6

So chi sei
vicino al mio cuor ognor sei tu
So chi sei
di tutti i miei sogni il dolce oggetto sei tu
Anche se nei sogni
è tutta illusione e nulla più
il mio cuore sa
che nella realtà
da me tu verrai
e che mi amerai
ancor di più


Ci sono alcuni desideri che nemmeno il genio della lampada può esaudire.
Uccidere qualcuno, resuscitare i morti, dare altri desideri, far innamorare.
Comunque può sempre fare questo. Ecco.  

A dream is a wish your heart makes 
When you’re fast asleep 
In dreams you lose your heartaches 
Whatever you wish for, you keep 

Have faith in your dreams and someday 
Your rainbow will come smiling thru 
No matter how your heart is grieving 
If you keep on believing 
the dream that you wish will come true

…e se il mondo coi suoi guai
alle spalle lascerai
le nubi puoi guardar:
puoi volar
puoi volar
puoi volar
puoi volar
puoi volar
puoi volar

Volerò,
volerò,
ed il cielo toccherò.
Volerò,
ed il cielo toccherò.
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Il monumentale cimitero di Père-Lachaise

– Parigi duemilaTredici –
#5

C’è una canzone, nell’ultimo album dei Baustelle – un album meraviglioso che si chiama Fantasma e tra le altre cose è l’unico disco che sono riuscito ad ascoltare per settimane perché tutto il resto mi dava fastidio – che si chiama Monumentale. Parla del cimitero (viva l’allegria, insomma). Ti invita a lasciare le cose futili, solo per un pomeriggio, e andare a visitare un cimitero. 
È in quest’ottica che sono andato a visitare il cimitero del Père-Lachaise, sempre in compagnia di Ciuffo (il mio amico dai capelli che si contorcono sulla sinistra, un po’ come Bersani), che prende in giro il mio gruppo preferito cantando cose come “Siamo i Baustelleeeee e facciamo canzoni tristiiiii perché siamo i Baustelleeeee e il sasso e la fontanaaaa”. Io lo lascio fare, tanto mi diverto e so che dopo torna ad ascoltarsi la discografia dei Jutty Ranx.

Al Père Lachaise sono seppellite millemila persone famose: è un posto gigantesco, che contiene le tombe di personcine come Marcel Proust, Edit Piaf, Chopin, Modigliani, Maria Callas, Jim Morrison, Honoré De Balzac, una quantità imprecisata di poeti romantici e un giornalista il cui pene riprodotto sulla statua previene dalla sterilità (o almeno così sembra, io nel dubbio una toccatina gliel’ho data).
Ma, soprattutto, al Père-Lachaise è seppellito Oscar Wilde. Dovete sapere che durante la mia complicata ed innarrabile adolescenza, io sia stato colpito dal concetto di arte predicato da Wilde. L’arte, tutta, è completamente inutile, è una frase che riassume tutto quello che penso e che mi ha influenzato per anni. Ancora oggi io sono molto legato all’artista e forse è per questo che vedere la sua tomba mi ha fatto un effetto strano, che adesso non so rendere a parole, perché non sono mai capace di rendere a parole quello che provo davvero. Il mio amico mi ha consigliato di lasciargli una penna. Mi sembrava un gesto bello, e l’ho fatto, consapevole che quella bic sarebbe stata probabilmente rubata da una prostituta che l’avrebbe usata per sniffare la coca, ma non importa. Quello è stato il mio omaggio a Oscar Wilde: un po’ come la sua arte, completamente inutile.

Post su Parigi duemilaTredici
     #1 Minuit à Paris
     #2 Liberté, egalité, fraternité
     #3 Tutti quanti voglion far gli snob