Dove cazzo siete

Se avesse vinto il partito che ho votato, io starei esultando; se il mio movimento politico che era dato per sconfitto riuscisse a rimontare così tanto, fino al punto da praticamente eguagliare gli avversari (quelli che avrebbero dovuto stravincere, viste le condizioni di partenza), io mi starei sperticando in lodi nei confronti della grande rimonta, e magari lo scriverei su facebook, su twitter, sui social, e forse andrei in giro a parlarne, chiamerei i miei amici per dir loro quanto sono contento che il mio Paese ha scelto bene, il mio senso civico sarebbe gioioso e carico e felice, sarei orgoglioso di appartenere a una forza così importante,
e invece voi niente, neanche un mezzo commento, neanche un Sì l’ho votato perché mi toglie l’IMU / ha comprato Balotelli / è un grande comunicatore / tanto fanno tutti schifo, voi niente, non vi esprimete, non vi esponete, sembra quasi che vi vergognate, non dite niente, state zitti, ma esistete? e io non posso fare a meno di domandarvi, 
CARI ELETTORI DEL PDL,



MA VOI



DOVE CAZZO SIETE?




Siamo fatti della stessa sostanza dell’ansia

Mi laureo tra 16 ore, 31 minuti e 14 secondi, sempre che sia esatto il conto alla rovescia sul computer, che ho impostato io stesso in quanto sono una persona affatto masochista e ansiogena. Okay, lo sono, e tento di rovinarmi l’umore in qualunque modo. Ma non ce n’è affatto motivo, invece! Per esempio, sapete che tempo fa domani? No?, ecco, NEMMENO IO. I siti meterereolorolorologici sono impazziti, tutti mettono un’immaginina diversa. Per uno domani piove a dirotto. Un altro dice che nevica. La mamma di Ciuffo dice che migliora.
Ho fatto una bruttissima presentazione in Power Point, molto in stile anni ’90, sembrava la grafica delle pubblicità dei gioielli che danno sui canali dopo il 10, quelli che nessuno guarda mai a meno che non debba comprarsi degli anelli giganti da cartomante o al limite Ambrogio, che sarebbe un tosaerba automatico e schizofrenico che ti gira per il giardino a potare roba. Comunque adesso ho risistemato la presentazione usando un modello predefinito ed è abbastanza figa.
Quasi quasi adesso vado in piscina, almeno mi scarico da tutta questa tensione negativa. Con un po’ di fortuna potrei anche annegare. Prima dell’esame di maturità un mio amico genio mi consigliò di ascoltare un album per rilassarmi. Questo.

Da questa parte del sipario

Cinque anni fa ero dentro il corpo di una persona che credeva che la cosa più eccitante che gli potesse capitare durante la giornata fosse costituito dagli sviluppi della storia d’amore tra Ross e Rachel, o scoprire che il paziente del Dottor House non era affetto da lupus come credono tutti in ogni puntata.
Non è che non avessi niente da dire, è che non avevo mai trovato il modo per farlo. Questa buffa cosa di parlare con le persone, interagire, relazionarsi, avere una vita normale, non mi è mai andata troppo giù. Non riuscivo a gestire la mia timidezza, e diciamo che vivevo in un ambiente che non mi aiutava ad esplodere. Perché è questo che bisogna fare: esplodere. Una bomba non ha senso fintanto che è spenta.
E poi venne il teatro.
Non c’era nessun motivo plausibile per cui il corpo della persona dentro cui vivevo dovesse accettare di fare teatro. Un amico regista aveva bisogno di un attore per una parte e pensò a me, e io -non so come mai- accettai. Forse accettai per la stessa indole passiva a cui ero abituato.
Mi ritrovai in un mondo completamente diverso. L’impressione iniziale che ne ebbi era che i teatranti (non tutti, ma tanti) aspettavano di conoscerti, prima di giudicarti. Conoscere prima di giudicare è una cosa bella quando hai di fronte una persona timida, che non riesce a tirare fuori subito il bello di sé. L’ascolto degli altri è fondamentale su un palco: conoscere le tue battute non è sufficiente, devi sapere anche cosa dirà l’altro per poter recitare.
Ed è così che sono esploso. A volte è necessario che qualcuno ti accenda la miccia, perché da solo non ce la fai. Non sto dicendo che sono un bravo attore né tantomeno che sono la persona più brillante e migliore del mondo, ma almeno sono qualcosa, e mi piaccio come sono. Potrei stare a scrivere per ore di come sono grato al teatro per avermi fatto uscire da quell’involucro in cui sopravvivevo.
Adesso ho smesso di sedermi in platea (metaforicamente parlando, s’intende, perché il teatro è anche da vedere). Vivere da questa parte del sipario è bello, emozionante, e ti carica in un modo incredibile. Ti fa venire voglia di urlare, ridere, ti dà quel senso di onnipotenza che ti fa sentire un superman. È tipo l’eroina, perché crea una specie di assuefazione intellettuale e ti fa sentire invincibile. 
E questi siamo noi.
Ho preso una foto di scena perché l’effetto è più grandioso, ma dovreste vedere come siamo quando siamo tutti, non solo gli attori, ma anche tutte le persone che lavorano dietro le quinte, alla scenografia, al trucco, ai costumi, alle luci, ai suoni, affinché tutto sia perfetto, dovreste vedere allora come siamo belli e vivi.

L’uomo che sussurrava ai cruscotti

È cominciato il periodo in cui le persone mi incontrano e iniziano a parlarmi di cose per poi vederle scritte qui sul blog. Non posso negare che mi faccia piacere tutto questo interesse, però dovete sapere che prima di partorire un post io subisco una specie di illuminazione mistica assimilabile agli effetti allucinogeni degli acidi. No mescalina no party, come dice George Clooney quando è strafatto. La scorsa settimana, per esempio, mi avete chiesto:
• perché non racconti sul blog di quanto era difficile trovare Mew nel giochino dei Pokemon?
• ahahah hai visto, abbiamo chiamato la cameriera di questa pizzeria al telefono anche se siamo a dieci metri da lei, raccontalo sul blog!
• guarda, ho fatto alcune tartine quadrate e altre tonde, chissà quanto materiale per il tuo blog!
Ora, a parte l’ultimo punto su cui ero quasi pronto con svariate metafore sull’esistenza, sul resto non mi è venuto in mente niente. Per questo sto per raccontarvi di qualcosa che non c’entra nulla con quello che è capitato a voi: sto per raccontarvi qualcosa che è capitato a me. Purtroppo.
( inutile video musicale fuori contesto
con lo scopo di spezzare il post in due parti )
Una volta ero un ragazzo ingenuo e mi sentivo molto strano. 
Conobbi in piscina un tizio che chiameremo affettuosamente il tizio pazzo. Per la cronaca: non mi capita spesso di fare conoscenze in piscina. Vado apposta in piscina perché non si può socializzare molto, perché se uno parla poi gli va l’acqua in bocca e auspicabilmente affoga. Comunque il tizio pazzo aveva voglia di discorrere e in qualche modo catturò la mia attenzione: ci sono alcune tematiche che mi incuriosiscono troppo e lui lo capì. E mi chiese se avevo voglia di parlarne la sera.
– ti ha chiesto di parlarne stasera?
– sì, amica G, non mi sembra ci sia nulla di male
– mh. E quanti anni ha?
– mah, tipo centomila
– andate a fare un giro, non farlo salire in macchina tua per nessun motivo.
La prima cosa che il tizio pazzo fece quella sera fu salire in macchina mia. Dicendo: “Posso? Ti porterò in un posto pieno di vibrazioni“. Ricordando le parole della mia saggia amica G, iniziai subito a sudare freddo. Tante minuscole amiche G sbucavano dalla mia mente e mi lanciavano avvertimenti tipo Adesso ti squartaaaa o Sei la sua vittima di staseraaaa o Colleziona il pene di chi conosce in piscinaaaa
Mi inventai che dopo dieci minuti avrei dovuto vedere un mio amico, quindi era meglio se andavo. La cosa buffa è che cercò invano di recuperare parlandomi del suo rapporto con gli oggetti. Praticamente lui aderisce a questo pensiero secondo cui le cose hanno un’anima con cui noi dobbiamo interagire. Disse che il motore della sua auto aveva smesso di funzionare da quando lui le aveva lanciato un’imprecazione. Dopodiché accarezzò il cruscotto della mia macchina e gli chiese come andava la vita.
Da quella volta sono cambiato: sono ancora un pochetto ingenuo, forse. Ma mi sento molto meno strano.


La mia personale e discutibile opinione sui contestatori dei matrimoni gay in Francia

Ora, al di là del fatto che uno possa essere favorevole o contrario – perché sì, ognuno ha le sue opinioni, e anche quelle di merda, bigotte e mentalmente limitate sono pur sempre opinioni – io non capisco una cosa.
Cioè cioè cioè. Carissimi eterosessuali, forse non avete capito: non è che vi tolgono qualcosa. Non è che danno a qualcun altro qualcosa in più di voi. A voi non cambia assolutamente niente. 
Cioè cioè cioè, in pratica succede che voi state scendendo in piazza per protestare contro un diritto che stanno dando ad altre persone. Magari non li vedrete neanche mai, in vita vostra, i gay (cosa che sarebbe auspicabile, chi vi vuole vedere?). 
Voi non c’incastrate una mazza, e però protestate.
Ragazzi, ma non c’avete proprio un cazzo da fare. Voglio dire, se lo sa mi madre vi dà della roba da stirare. Ma insomma, ma chi ve lo fa fare di odiare così tanto della gente che non conoscete? Ma insomma, ma trombate, ogni tanto. Trovatevi un amico di sesso su Ruzzle. Iniziate un corso di cucito per corrispondenza, non so.
Ad ogni modo, oggi la notizia è questa.
E io sono felice e speranzoso.

Campioncini emozionali

Non c’è niente da fare: le donne saranno sempre un passo avanti agli uomini. Forse non sapranno le regole del fuorigioco (a parte le lesbiche), e magari non sapranno apprezzare la differenza che c’è tra una Tennent’s e una Peroni (a parte le lesbiche), ed è molto probabile che non sappiano indicare i componenti meccanici di un’automobile (ma quello nemmeno i maschi, dai, forse giusto giusto le lesbiche più convinte), ma per il resto le donne ci sono superiori in tutto e per tutto. Hanno alcune regole che sono di un’importanza vitale.
A cominciare dal dogma fondamentale dell’esistenza femminile: mai rifiutare i campioncini.
Qualche anno fa dovevo comprare un regalo per una mia amica, e un’altra mi accompagnò. Il regalo in questione consisteva in una crema corpo, che è una cosa che io ho scoperto esistere proprio in quell’occasione: è una poltiglia che ti metti addosso dopo la doccia per renderti la pelle più profumata e idratata e tutti questi tattici participi passati che si trovano sulle confezioni dello shampoo.
Entrai in questo negozio chiamato L’Erbolario – attenzione: MAI dare il vostro numero di telefono a quella profumeria, io molto ingenuamente compilai un modulo e da allora mi arrivano pubblicità in continuazione. Lunedì scorso mi invitavano alla “settimana degli agrumi” e io mi sono immaginato di affogare tra le arance e faccio ancora gli incubi – e presi questa crema corpo alle spezie orientali. Dopo aver pagato, la commessa mi chiese se volevo dei campioncini gratuiti. Io la guardai un po’ attonito, come per dire Grazie ma che me ne faccio?, e dissi Grazie ma che me ne… ehm, no, grazie.
Quando sono uscito dall’Erbolario l’amica che mi aveva accompagnato mi distrusse psicologicamente: bisogna sempre accettare i campioncini. Che ne sai di com’è un prodotto se non lo provi? Che ne sai se non t’innamoreresti di quel profumo, o di quella crema? Che ne sai che quel campioncino non sia proprio ciò che fa al caso tuo? 
Vi avviso che adesso inizia il trip, cioè la parte dei miei post in cui svalvolo e dico stronzate.
Mi è venuto in mente che ci vorrebbero dei campioncini per tutte le cose. Anche per le emozioni, dico. Voglio dire, abbiamo una vita sola, e non lo so mica se basta per provare tutte le emozioni, belle o brutte che siano. Ho sempre pensato che provare un certo sentimento aiuti a formarsi un’opinione su di esso quando ricapiterà. 
Provare le emozioni aiuta a essere intelligenti, penso. Però per forza di cose non possiamo provarle tutte. Non c’è tempo, e comunque la vita ci forma in un certo modo, con questi pregi e questi limiti. Per questo sarebbe bellissimo se esistessero i campioncini emozionali. Tipo Essenza di Rihanna, per sentirsi una scostumata popstar, o anche Materia Grigia di Einstein, e per cinque minuti saremo in grado di risolvere diseguazioni logaritmiche di ottantesimo grado, e poi non lo so, Neurone di Gattuso, per perdere l’uso del congiuntivo e riuscire a interagire con le veline, e poi uno che non saprei come chiamare, per farti capire cosa provo quando ti vedo ridere.

La leggenda del terzo rospo

Esistono delle ragazze che hanno una morbosa passione per i peluche. Entri nelle loro camerette e ti senti come stranamente osservato: per forza, perché da dietro ogni mobile sbucano le malvagie testoline di orsetti, elefantini, uccellini, gattini, cagnolini, topolini, sticazzini, e tutti colorati con quelle inquietanti tonalità pastello. E le ragazze ti fanno eheheh sai, ho la passione dei peluche, e tu lentamente arretri e sorridi e annuisci, e segretamente elabori un piano per uscire vivo dalla camera di quella psicopatica. Ché te lo immagini già il momento in cui lei, con gli occhi iniettati di sangue e violenza pazzoide, ti chiederà di “fare un gioco”. Un gioco dove tu sei il suo pupazzetto. E il pupazzetto finisce squartato da un coltello da macellaio che lei ti conficca reiterate volte nel petto.
Sto scherzando, in realtà mi stanno simpatiche le persone che collezionano i pupazzi. Meglio pupazzi che cazzi, come si suol dire. Dio, questa era volgare, mi sa che ho perso una buona percentuale dei miei lettori più discreti e rispettabili, tipo quelli che ascoltano Povia. Vabbè. Ad ogni modo, pur non avendo mai avuto il pallino dei peluches, io ne posseggo diversi.
C’è Ted, che è quell’orsetto giallo che ti davano coi punti della benzina, quando ancora esistevano le raccolte punti dei distributori, che oggi è già tanto se ti danno la benzina. E di questo ho una foto su Instagram. Poi c’è Mr Pinco Pop, che è un tenerissimo orsetto arcobaleno, e anche di questo ho una foto su Instagram. Su Instagram ho anche il voodoo per allontanare gli ex (utilissimo questo, da quando ce l’ho si sono fidanzati tutti) e il neurone. In effetti, su Instagram ho foto di quasi tutti i miei pupazzi, ma insomma, meglio delle vostre Converse o di quel che mangiate a colazione. E poi ho Pippo, Flounder, Ciop (quello di Cip e Ciop ma senza Cip) e il maiale di Angry Birds.
Ma l’ultimo arrivato mi è stato regalato per Natale dalla mia amica Effe, quella figa e single di cui parlavo qua. Si tratta di un piccolo rospetto – che non somiglia affatto ad un rospo, sembra più un palloccorino verde con le zampe e la testolona dolce, ma sul bigliettino c’era scritto che è un rospo, e mi fido. Effe mi ha raccontato della leggenda che ruota attorno ai rospi di peluche: pare infatti che quando una persona riceve il terzo rospo troverà il Principe Azzurro.

Ovviamente è solo una leggenda. Una stupida leggenda. Tzé, chi ci crede. Stupida leggenda. Impossibile. Mica ci credo. Non sono vere queste cose, è chiaro. Rospi, pfui. Non funziona mica così.

Comunque oh, nel caso funzionasse, ma non funziona eh, ma dico nel caso funzionasse, io sono già al primo rospo. Non si sa mai.

Io e il rospetto (io sono quello a destra)

Cronaca acida di uno spaccato bibliotecario

Sono in biblioteca ed è appena successa una cosa gravissima: il distributore di merendine si è mangiato i miei sessanta centesimi senza darmi il pacchetto di schifezze che volevo legalmente acquistare, così ho dovuto sborsare altri preziosi sessanta centesimi e adesso queste patatine hanno l’amaro sapore della delusione.
Ho bisogno di distrarmi per non pensare al tragico accadimento. Potrei fare come questi due alla mia destra che si stanno sfidando a Ruzzle, o queste due alla mia sinistra che si stanno sfidando a Ruzzle, MA PERCHÉ NON CHIUDETE RUZZLE E ANDATE A SCOPARE? Scusate, sono le patatine che me lo fanno dire, scusate, scusate.
Niente Ruzzle per me, non mi va la rete sul cellulare. Allora potrei fare come questo qui davanti che studia, ma indossa sia la sciarpa che la maglietta a maniche corte, che è un po’ particolare come combinazione, no? Nel senso, faccio bene a non considerare che esiste per questa SCELTA ASSURDAMENTE IDIOTA, NO? Scusate, le patatine.
Mi concentro sul tavolo dei fighetti più in là, quelli che vengono qui non tanto per studiare, quanto per mostrare i loro maglioni attillati della Fred Perry e sbatterti in faccia il fatto che vanno in palestra. Bellini, sì, tutti ugualini, IL NUMERO SERIALE DOVE VE L’HANNO STAMPATO, SUL CERVELLO? ‘ste patatine, Dio, potenti.
Oh, ma ecco che la stragnocca si avvicina al tavolo dei fighetti. Tutti i fighetti si risvegliano e a turno cercano di fare una battuta per attirare l’interesse della femmina. Posso scorgere nei loro occhi la competizione per la conquista della di lei vagina. C’è quello con la felpa della Hollister (fighetto #1025) che è in clamoroso svantaggio, invece il finto nerd (#042) sembra recuperare punti rispetto a capelli-a-caschetto-in-stile-one-direction (#1D), che è dato per vincitore. Ma… aspettate… colpo di scena! Lei si va a sedere da sola, rispettando effettivamente la regola per la quale una lucchese non la dà mai. NON IN BIBLIOTECA, ALMENO. Patatine, sì.

Siamo tutti bipolari

Tempo fa sono uscito con un ragazzo che si autodefiniva bipolare. A dirla tutta si autodefiniva anche bisessuale, e questo mi ha fatto pensare che fosse inconsciamente attratto dalle parole che iniziano per bi, e magari indagando meglio avrei scoperto che si sarebbe autodefinito anche bimensile, bilocale, bimotore, binocolo, biossido di carbonio e bidet
(se non l’avete già capito: non è andata, e questo mi dà il permesso di parlarne malissimo e sputtanarlo in tutti i modi in tutti i luoghi e in tutti i laghi)
Ad ogni modo mi incuriosì questo suo rivelarmi, dopo appena mezz’ora di appuntamento, di essere affetto da una sindrome psichiatrica che può essere molto grave. Per carità: è vero che nel gergo comune si usa la parola bipolare come sinonimo di lunatico, ma questo tipo (che ricordo essere pelato, basso e brutto, l’ho già detto che non è andata?) studia Medicina, e ho pensato che un aspirante medico dovrebbe utilizzare la terminologia clinica un pochino più propriamente.
Per sincerarmi che non avrebbe avuto bisogno di un ansiolitico di lì a poco, gli ho chiesto cosa intendesse per “bipolare”. Eh – mi ha risposto – che cambio umore facilmente
Sì ciao. Tu non sei bipolare, tu sei lunatico, tu sei instabile, tu hai bisogno di recitare in un musical per sfogare il tuo smisurato egocentrismo, ma non sei bipolare. Non è andata, vi rammento, abbiate pietà. Gli ho detto: beh, senti, ne riparliamo dopo che hai dato Psichiatria.
Questo appuntamento mi ha fatto riflettere riguardo varie cose: intanto che un sacco di gente photoshoppa esageratamente le foto che ti manda in chat. E poi che c’è una differenza tra l’essere interessanti e il volerlo essere. Se sono costretto a inventarmi di avere un disturbo psichiatrico per attirare l’attenzione, ho davvero bisogno di una flebo di autostima. 
Nel senso, meglio aprirsi un blog.

Uccelli acidi

Il 2013 è iniziato da una decina di giorni, abbiamo stilato la nostra lista di buoni propositi e abbiamo anche già fatto in tempo ad infrangerli tutti. Le nostre vite sociali stanno subendo un processo di lento disgregamento grazie soprattutto al diffondersi di Ruzzle e siamo anche vicini al completo atterrimento morale causato da una propaganda elettorale la quale, come direbbero i francesi, ci ha già disintegrato i coglioni. Questo è il mio ottimistico report riguardante i primi giorni di Gennaio.
Per quanto mi riguarda, sono stati nove giorni particolarmente intensi. Ho dato il mio ultimo esame prima della laurea in informatica. Questo esame consisteva in un progetto che ho chiamato Acid Birds, sì esatto: Uccelli acidi, tanto per dimostrare al mondo che sono stato proprio io a realizzarlo: in parole povere si tratta di un giochino il cui unico scopo è far esplodere delle palline contenenti la faccia di Lady Gaga, Silvio Berlusconi o una persona di cui l’utente può caricare una foto. Tipo i tuoi ex, per fare un esempio fantasioso. 
Non è stato semplice, specialmente perché a quattro giorni dalla discussione tutto il lavoro di mesi ha iniziato a non funzionare. Avreste potuto assistere a scene altamente melodrammatiche come quella in cui ero in biblioteca, solo, che piangevo ascoltando le canzoni più tristi di Elisa e intanto visualizzavo mentalmente l’unica soluzione che mi pareva possibile e cioè la cocaina.

Devo ringraziare i miei amici e colleghi, in particolar modo Alan e Lore, per tutto il sostegno – informatico e morale – che mi hanno elargito. Devo ringraziarli anche per il tatto con cui mi hanno spiegato che il mio codice sembrava copiato dal Necronomicon e che no, Ale, effettivamente non torna un cazzo, ma stai calmo.

Ma tutto è bene quel che finisce bene. O, più propriamente, che non dà errori a tempo di esecuzione. E il professore mi ha passato ed è stato devo dire molto corretto. Mi sono premiato regalandomi un giubbetto di jeans che fa un pochino troppo anni ’90, ma l’ho sempre voluto un giubbetto di jeans, ed era a saldo, e comunque se mi ci vedete per strada vi offro la possibilità di non salutarmi, se proprio vi vergognate di farvi vedere con uno che pare uscito da Beverly Hills 90210.

Il 2013 è iniziato da una decina di giorni, forse abbiamo già infranto tutte le promesse che ci eravamo proposti, e forse Ruzzle fa davvero parte di un complotto per distruggere l’umanità, ma io sono deciso a non farmi abbattere. Non come le palline del mio esame, almeno.