I tredici buoni propositi di Tredici per il duemilaTredici

Ciao, sono Charmeleon. No, scherzo, è che il mio barbiere deve avere un difetto alla corteccia cerebrale per il quale quando gli dico il classico: mah-scorciameli-un-po’-ovunque-basta-che-mi-fai-bellino lui invece intende: fammi-la-cresta-cosicché-io-sembri-un-deficiente
Comunque, volevo farmi vivo e comunicare pubblicamente che non sono morto, che non ho dovuto vendere le dita per sopravvivere alla crisi, che Bersani stranamente non ha ancora chiesto il mio aiuto per la propaganda elettorale – e scusate ma non ne afferro la motivazione – e che quindi posso ancora scrivere.
La domanda è: cosa scrivere. Oh, Tredici, non vorrai mica fare il solito, classico, banale, noioso, lunghissimo, palloccoroso, esorbitantemente logorroico, prevedibile post sui buoni propositi del 2013?
Sì.

I tredici buoni propositi di Tredici per il duemilaTredici
– si scrive buoni, si legge inmantenibili, o anche idioti –
1. Prometto che mi impegnerò moltissimo a non essere così imbranato da far cadere per terra il deodorante stick, che poi si rompe e tutto il liquido si spalma bene per terra provocando un intenso alone di Nivea For Men Dry Impact E Altri Fighissimi Termini Inglesi che mi farà effetto allucinogeno.

2. Prometto che mi impegnerò moltissimo a stellinare di meno e retwittare di più.

3. Prometto che mi impegnerò moltissimo a comprare la roba su asos.com perché mi piacciono i vestiti, e non i modelli che li indossano. 

4. Prometto che mi impegnerò moltissimo a non correggere i leggeri errori grammaticali. In fondo, non è una catastrofe scrivere un po’ con l’accento, oppure verbo senza, oppure perché con quello grave. 
5. Come corollario al punto precedente, prometto che mi impegnerò moltissimo anche a non correggere gli errori grammaticali più gravi. È vero che se il mondo presto finirà, buona parte sarà per gli sbagli sulla grammatica, ma io non sono un eroe e questa è una guerra troppo grande per me.
6. Prometto che mi impegnerò moltissimo a non inarcare il sopracciglio con fare palesemente saccente ed antipatico ogni volta che qualcuno sbaglia un congiuntivo. Devo cercare di ricordarmi che c’è un motivo se quando penso a me da vecchio mi immagino solo e con tanti gatti.
7. Prometto che mi impegnerò moltissimo a non criticare gli stili di scrittura altrui né l’uso spregiudicato, scorretto e soprattutto antiestetico della punteggiatura. Tipo. Scrivere. Così. Perché. Mi credo. Più. Interessante. Oppure… così… ecco… sembra… che stia… affogando… aiutoooo… Ma non devo criticare apertamente queste cose, d’ora innanzi le terrò per me in modo tale da non sembrare così tanto bisognoso di sesso.
8. Prometto che mi impegnerò moltissimo a non considerare patetico chi usa i vari social network come mezzo per sfogare il proprio ego insoddisfatto o per raccontare i fatti più personali o per fotografare le parti del corpo più intime. Anche se lo è, Dio Santo se lo è.
9. Prometto che mi impegnerò moltissimo a crescere. Ho un estremo bisogno di sentirmi in costante crescita, e il fatto che a ventitré anni sia abbastanza maturo sotto vari aspetti non significa che io sia arrivato. La strada per l’Olimpo è ardua, e bisogna impegnarsi molto prima che le Muse mi cantino Ieri era zero di Hercules.

10. Prometto che mi impegnerò moltissimo a non fare le solite dieci parole su Ruzzle. Che orsa, rosa, arso, orse, ore, ora, sa, se, raso, reso, resa, re, aro, era ed ero ormai le metto sempre.

11. Prometto che mi impegnerò moltissimo a non rinunciare al trash, ad Anna Dello Russo, a Pippo e Paperoga, al socontendadefastasfilata, alle canzoni di Non è la Rai o del pop più leggero, e a tutto quello che mi fa vivere prendendomi poco sul serio.

12. Prometto che mi impegnerò moltissimo a scrivere post meno idioti di questo. Anzi no, di più.

13. Prometto che mi impegnerò moltissimo a svegliarmi e a sentirmi bono, figo, issimo, ganzo, rock, giusto, supersimpa ed incredibilmente meraviglioso.

T’appartengo ed io ci tengo
e se prometto poi mantengo
M’appartieni e se ci tieni
tu prometti e poi mantieni

Auguri di Natale post sbornia

Scrivo questo post ora che non devo passare il mio tempo a staggarmi da quelle ottocentomila foto di facebook con l’alberello, la scritta auguri, il bimbo che ride con il berretto di Babbo Natale, foto in cui sarò inserito insieme ad altri settanta miliardi di vostri amici a me sconosciuti. Lancio un CONTEST NATALIZIO: quest’anno non usate le classiche foto, siate creativi, originali, ironici. Taggate responsabilmente.
Scrivo questo post a tema natalizio e lo scrivo adesso che i postumi della sbornia stanno passando. Ieri sera sono andato a ballare – sorvolerei sul mio outfit azzurro e blu che mi faceva assomigliare a un puffo. Puffo Zara tipo, quello che vuole essere più biondo di Puffetta – e mi sono divertito. Nel senso che dopo due Negroni si divertirebbe anche il Papa, che peraltro farebbe molto meglio a impiegare il suo tempo a scolarsi intere bottiglie di Martini invece di dire minchiate tutt’altro che pacifiche.
Stamani mi sono svegliato con un mal di testa allucinante e con una voce che parevo Bane doppiato da Filippo Timi. Vagavo per casa in modalità zombie-style in cerca di caffè o acqua, con chiunque che mi faceva un qualche appunto non richiesto su quanto fosse pessima la mia voce e io che radunavo le ultime energie rimaste per replicare NON VOGLIO IL MIELE DATEMI ACQUA, ACQUAAAAA.
Il mio sentitissimo regalo di Natale per voi è un video di YouTube che mi ha passato un amico stamani, quando la mia testa stava esplodendo e il dramma di mia madre era se col dolce di oggi ci stessero meglio le forchettine o i cucchiaini. Praticamente insegna tutti gli accorgimenti per evitare o ridurre i postumi della sbornia. Tipo non bere.

A parte gli scherzi, ci tengo a farvi tantissimi e zuccherosissimi e sintatticissimi auguri di Natale. So che non sono un granché, ma sempre meglio di… non so, dell’ultimo libro di Bruno Vespa.
Dio Santo, non esiste augurio peggiore.

Sipario (cinque minuti di nero)

Ho sempre pianto spesso. Da bambino piangevo in pubblico, senza neppure vergognarmene quando si trattava di questioni altamente drammatiche come mamma che non mi comprava il librino. Quella è stata anche l’unica volta che mi ha tirato due scapaccioni, e ancora al giorno d’oggi, ai pranzi di Natale pieni di parenti, viene ricordato quell’evento come l’unico caso in cui non avevo fatto il bravo.

Anche da adolescente piangevo, ma avevo paura a farlo in pubblico. Io, ragazzino influenzabile succube di tutte quelle norme sociali che se non seguivi ti portavano ad essere emarginato, norme come Non piangere, alzavo la musica e mi chiudevo in camera, rannicchiandomi sul letto con le ginocchia vicine al mento, e i palmi delle mani sugli occhi, per cinque minuti di nero. Cinque minuti di nero, e poi cinque minuti in cui strusciavo le mani sul piumone per assorbire le lacrime che lo avevano bagnato.

Poi, sapete, si cresce, si impara a sfogarsi in altre maniere. Ognuno ha le sue, e per esempio, che ne so, uno può scoprire che gli piace tanto scrivere, e che scrivendo gli riesce abbastanza bene dire quello che a voce proprio non gli viene. Quanti complessi, anche per questo. Ma perché non ho capito subito che dovevo fregarmene di quello che è normale fare? Normale. Il fatto è che mi veniva detto che io delle cose dovevo parlare, parlare a quattr’occhi, che le altre forme di comunicazione erano strambe.

Così ho imparato a parlare. Magari all’inizio posso apparire un po’ distaccato, o riservato, o timido, o remissivo, o introverso a livelli patologici, ma poi mi sciolgo e sostengo conversazioni anche brillanti. Il teatro, signori, è la migliore medicina per la società. La migliore lezione di psicologia è contenuta in un copione. La drammaturgia è la più intelligente concentrazione di studi sull’umanità. E così ho imparato a parlare, e così ho imparato a stare nel mondo, insegnamento che tutto sommato non me la sento di rinnegare.

Qualche volta, poi, succede che torno adolescente e mi butto sul letto e mi rinchiudo nei miei cinque minuti di nero.

Niente. Non ci sarà una morale per questa cosa che ho scritto. Non ci sarà un lieto fine, o un risvolto comico, o una conclusione che dia un senso. Non richiederò opinioni, o consigli, o lezioni di vita, perché a sbagliare sono bravo anche da me. Solo, mi andava di sfruttare uno dei mezzi di comunicazione del nuovo millennio per condividere dei pensieri, forse qualche richiesta, certamente un flusso di coscienza abilmente mascherato dall’allineamento giustificato di questo testo, e mi andava di farlo con lo strumento espressivo che preferisco.

Scala dell’acidità

È da quando ho stilato il simpatico e peraltro utilissimo prospetto sulla scala della bellezza che ho in una nota del cellulare l’appunto di buttare giù anche quella dell’acidità, settore in cui mi ritengo un esperto (a questo proposito, leggasi i miei post qui, qui e qui e praticamente un po’ ovunque in questo blog o nella mia vita). 
C’è da dire che una scala dell’acidità vera esiste già, ed è quella del pH, che è vagamente più scientifica. Ma è anche una palla galattica. Quella che state per leggere è una classificazione molto più intuitiva che qui di seguito metto a disposizione della massa.

Livello 1. Yogurt Muller quasi scaduto. È acidulo, ma ancora recuperabile: la Muller ti fornisce anche i chicchini di cioccolato da metterci dentro, così non ti accorgi di niente ed è un attimo che ti viene la colite. 
Livello 2. Pompelmo. Questo l’ho messo perché il succo di pompelmo mi piace e se mamma legge il blog magari Sabato lo compra. 
Livello 3. Acido cloridrico. Pare che sia la sostanza con più alto valore di acidità. Questo perché il pHmetro non è mai stato testato sul mestruo di Selvaggia Lucarelli.
Livello 4. Ragazza in pre-mestruo. Appunto.

Livello 5. Chiunque pronunci imperativi desueti, quali Eclissati!, Volatilizzati!, Evapora!

Livello 6. Enzo & Carla. “Ma come ti vesti?” “Ma cosa fai?” “Ma perché non ti uccidi?”. Due veri maestri. 
Livello 7. Twitstar. Se finisci ogni frase con un punto. Se non ridi mai, se non sorridi mai. Quando i tuoi muscoli facciali assumono una strana curvatura, ecco, quello non è uno sorriso: è una smorfia.

Cosa fare per sentirsi un gay arrivato

Ieri pomeriggio ero in modalità suicidio-aspettami-che-arrivo e avevo tutte le intenzioni di annegarmi nella candeggina dopo aver scritto un pezzo tristissimo e strappalacrime, sapete tipo quella fiction che dettero qualche anno fa su Canale 5: si chiamava Incompreso e parlava di un bimbo sfigatissimo che decide di buttarsi in una piscina vuota e muore. Grandi pianti, nel mio salotto, quella sera.
Il fatto è che avevo appena fatto un giro su asos.com che mi aveva definitivamente atterrito: hanno assunto questo modello superbono ricciolo e moro e con la barba, di quelli che prima pensi È DIO! e poi Io uno così non l’avrò mai, e peraltro non posso permettermi nemmeno il maglione che indossa
Nonostante il mio umore drammatico, ieri sera è successa una cosa che segna una tappa importantissima nella mia esistenza omosessuale. Sapete, i gay hanno rituali molto sentiti per quanto riguarda la discoteca. Tipo: il primo Invisibile alla fragola, la prima serata passata quasi interamente nel bagno delle donne, la prima volta che balli Vogue, e altre cose ugualmente profonde
Poi ci sono i gadget. Quel momento della serata dove la drag queen arriva e, in preda al delirio indotto da tutta la cocaina che ha tirato, inizia a lanciare cose, come se fosse una specie di Babbo Natale con la parrucca e i tacchi. Vedete, i gadget sono molto difficili da prendere. Bisogna far fronte a una marea di difficoltà, come per esempio i temibili omosessuali alti, o le lesbiche che giocano a basket – cioè tutte – che sono molto agili e scattanti, e soprattutto quelle creature deliziose che conoscono tutti i balletti e appena vedono qualche animatore sventolare un gadget si fiondano sotto al palco urlando istericamente e sgomitando e facendo qualche mossa di qualche video di Beyoncé e che Dio se le prenda il prima possibile, cazzarola.
E insomma mi trovavo nei pressi del palco, ieri sera, quando è arrivata Regina Miami a lanciare magliette. Io l’ho guardata sconsolato, pensando che non ce l’avrei mai fatta, perché di solito le cose le vincono gli altri, non tocca mai a te. Poi c’è stato qualcosa. Ho detto Ce la posso fare. Ho fatto un salto al momento giusto, e ho allungato il braccio verso il gadget, che stava per scivolarmi via, ma io ho detto Ce la posso fare, e l’ho afferrato. Una maglietta blu elettrico che probabilmente non metterò mai e poi mai era appena diventata mia.
Sento che c’è qualcosa di metaforico in tutto questo, tipo che forse se fossi più propositivo nel pormi degli obiettivi e se li affrontassi con maggiore convinzione magari li realizzerei e la soddisfazione sarebbe ancora più grande, ma non ho voglia di scrivere anche stavolta un post con la moralina finale, per cui eviterò di sviscerare l’allegoria.
Ops.

Mi pare di arguire che oggi è il 12/12/12

Mi pare di arguire che oggi è il 12/12/12, come mi viene ricordato da calendario, cellulare, radio, tv, giornali, blog, twitter e praticamente metà dei miei contatti facebook – ragazzi, ma se ci emozionano così tanto ‘ste cose, non so, compriamoci la wii, o un libro sui templari. Comunque, oggi è davvero un giorno speciale: non solo per la data simpatica fatta di numeri tutti uguali (l’anno scorso era di tutti 1 e per l’occasione scrissi due post: link1, link2), ma soprattutto perché la mia sorellina adorata e scema compie gli anni.
Mia mamma l’altro giorno mi fa: “Ale, perché non le organizziamo una colazione a sorpresa per farle gli auguri prima di tutti?”, “Oh, madre, che idea deliziuosa!”, “Bene, fallo tu. E muoviti, anche”
A parte la crudeltà di mia mamma, una colazione a sorpresa è un’idea carina: il festeggiato si sveglia ed è talmente rincoglionito che non ce la fa a sospettare una colazione in suo onore. Tuttavia va organizzata bene. Conscio di questo, mi sono chiesto: cosa farebbe Enzo Miccio al mio posto? A parte indossare un completo beige, credersi bello e assumere una faccia schifata da prendere a ciaffate, che è l’espressione naturale di Enzo Miccio.
Allora ho pensato ad un cd con alcune canzoni importanti, poi dei manifestini con delle foto che la mettessero in terribile imbarazzo, poi una tovaglia bianca con disegnato sopra qualcosa di gay e colorato, poi il regalo e infine dei palloncini.
Ebbene, ieri sera parto e vado a comprare ‘sti palloncini. Entro in una cosa come due milioni di negozi. Alla Coop non ce li avevano. Al Brico neppure. Cartolandia era chiuso, così pure un’edicola vicina, ed era chiuso anche Cartè, anche se c’era dentro una commessa che non mi ha voluto aprire e che per questo non dico che spero che soffochi schiacciata da Moira Orfei, ma qualcosa di simile, ecco. Infine sono andato dai cinesi. 
Quando ci viene il timore che l’Oriente conquisterà l’Europa, non occorre addurre motivazioni economico-sociali: basta entrare in un negozio di cinesi. Sono sconfinati, hanno in diffusione qualcosa di nippo-trash-dance, sono pieni di oggetti tamarri e mutande sempre troppo larghe. Eppure avevano i miei palloncini, così li afferro con gaudio e torno a casa soddisfatto.
E questo è il risultato. Una colazione a sorpresa, dove incombe un’invisibile presenza cinese.

Flusso di coscienza su ciò a cui penso mentre nuoto

probabilmente sto per morire sì è chiaro la stanchezza mi farà affogare ma a quante vasche sarò? ma credo almeno a diecimilaottocento miliardi per forza oddio ma guarda che brutte mattonelle le puliranno mai queste piastrelline azzurre? ma poi la cambieranno mai l’acqua? chissà se qualcuno ci fa mai la pipì dentro io non potrei mai cioè voglio dire metti che esce gialla poi la vedono tutti che figura di merda ma ci sarò a ottanta vasche adesso? comunque il nuoto sarà anche lo sport più completo come dice il tg due medicina trentatré ma non mette massa come dice la mia collega che è anche istruttrice di nuoto e allora io che cazzo nuoto a fare visto che sono secco come un chiodo? potrei invece uscire subito e porre fine a questa tortura prima di affogare cosa che avverrà tra tre due uno ehi sono sempre vivo che bello ma tanto presto morirò e sarà una sofferenza anche decedere e dato che morirò in piscina mi seppelliranno e il mio corpo sarà pieno di grinzine e sarò brutto pure nella bara comunque potrei farci un post sul blog riguardo a queste cose voglio dire tanto ormai il blog è una concentrazione di cazzate di portata cosmica una in più o in meno non cambia nulla però devo scriverlo senza punteggiatura come un vero flusso di coscienza in stile James Joyce anche se questo più che di coscienza è un flusso di incoscienza ah ah ah carina questa anzi no è orrenda quindi la scrivo o no? sì dai.

Considerazioni sull’originalità indotte da una bionda piccola

Qualche sera fa mi trovavo in birreria in compagnia di due amiche e di una creatura piuttosto ubriaca che cercava di attentare alle nostre preziose virtù. Dio, i bisessuali credono di poter fare quello che vogliono solo perché hanno letto su wikiquote quella frase di Woody Allen che li loda. NOTIZIONA: guardate che se siete brutti e importuni e puzzate di aceto non ve la diamo lo stesso, eh. E insomma ero impegnato a reprimere l’idea di ucciderlo servendomi di uno spazzolino elettrico Oral B Trezone che stando alla pubblicità è più pericoloso di un fucile anticarro, pertanto ho avuto modo di fare qualche riflessione sull’originalità.

In particolare, pensavo di essermi sempre ritenuto una persona originale. Non solo per il fatto che il mio portacellulare è un calzino spaiato o che scrivo il sì-affermazione con l’accento o che so fare l’imitazione di Topolino che imita Pippo, ma anche per altre cose magari meno gravi dal punto di vista clinico. Questa cosa di essere originale mi è sempre piaciuta e ha sempre contribuito ad aumentare la mia autostima. A ventitré anni, tuttavia, è il momento di metterla in discussione.

Per due motivi: per cominciare essere originali non è tutto, come mi ha detto una volta un tizio. Il che è vero, però c’è anche da dire che quel tizio era di una noia mortale. Il che mi fa pensare che quelli che criticano l’originalità siano le persone banali.

Ma soprattutto un secondo pensiero ha minato la mia consapevolezza: non sarà mica che io mi vedo originale e invece non lo sono affatto? Per spiegarvi questo concetto mi servirò di un simpatico aneddoto, che riguarda un tipo con cui sono uscito diverso tempo fa – sì, lo so che tutti i miei aneddoti riguardano persone con cui esco, tipo l’assassino di Gello o il ragazzo coi raggi o Mery la meretrice, ma non è colpa mia se la metà di quelli che incontro sono casi umani.

Insomma dopo un appuntamento che -per fortuna- era giunto al termine, lo stavo riportando a casa con la mia macchina e mi informavo sulla strada da compiere mentre guidavo. “Qui vado a dritto, giusto?” “Sì sì, qui a dritto”. Tutto ad un tratto grida “NO A DESTRA!!!” facendomi inchiodare in mezzo all’incrocio, e poi “AHAHAH scherzavo era a dritto AHAHAH”.
Ora, a parte il fatto che l’ho praticamente scaraventato fuori dalla macchina, avete capito cosa intendo? Magari anche lui si sente originale, mentre invece è solo idiota. E se io fossi come lui? Se anch’io stessi scambiando l’originalità con quella che è semplice sindrome di deterioramento demenziale?

Quella sera, in birreria, pensavo a queste cose e vi dirò: non sono arrivato ad una risposta definitiva, forse perché io sono così, originale o demente che sia, ma sono riuscito a compilare un sottobicchiere scrivibile che adesso troverete là, appeso ad uno specchio.

  
E, come vedete, ho scritto il sì-affermazione con l’accento.

Come diventare uno spezzacuori

Realizzi di essere un single davvero disperato quando inizi a leggere i manualetti su come trovare un partner. Modestamente posso affermare senza presunzione di aver oltrepassato ormai da molto tempo questa soglia di disperazione, tanto che adesso mi trovo in questa bolla in cui non esistono le cose brutte come i sentimenti o il nuovo taglio di Malika Ayane o le pubblicità interpretate da Enrico Brignano.
Comunque, dicevo, ho avuto modo di leggere questi libri, cominciando da Alla ricerca delle coccole perdute di Giacobbe, poi Come diventare bella ricca e stronza, sempre di Giacobbe, che è un ometto abbastanza brutto che evidentemente passa la sua solitudine a scrivere libri per casalinghe insoddisfatte. Infine, Trattali male perché agli uomini piace soffrire, scritto dal vincitore gay dell’edizione greca del Grande Fratello, cioè in pratica un esperto del settore.
Ho notato che tutte le indicazioni contenute nei suddetti manuali possono essere facilmente riassunte in poche regole comuni, pertanto adesso sintetizzerò quanto ho appreso dalle mie letture, permettendovi così di non spendere soldi per questi libri e al contempo di scoprire il più grande mistero del mondo, secondo solo al trovare forme di vita che apprezzino la comicità di Luca Laurenti
Ecco a tutti voi le istruzioni su…

Fare finta che non te ne importi niente. Devi apparire distaccato, non interessato, più stinfio di un manichino di Zara. Che non significa assumere lo stesso brio di una speaker di Radio Maria, anzi, devi comunque mostrare quanto sei interessante e figo, senza però far capire all’altro che potrebbe piacerti.
Non concedersi. Purtroppo per noi, tutta la letteratura concorda su questo punto, anche se non è ben chiara sul lasso di tempo da attendere prima di lasciare che la nostra vittima ottenga la nostra virtù. Facendo qualche calcolo ponderato – fortuna che ho dato Analisi 1 – si riesce a definire un intervallo temporale di tre appuntamenti prima del primo bacio e un minimo di tre mesi prima di giacere insieme biblicamente (sono permesse massimo cinque palpatine tra il primo e il terzo mese).
Tirarsela fino allo sfinimento. Per esempio, rispondere ai messaggi con subdola oculatezza: ignorarli potrebbe far pensare alla vittima che è meglio lasciarvi perdere, per cui dovrete ignorarne la maggior parte ma talvolta rispondere ad alcuni, per alimentare nell’altro la crudele fiamma della speranza.

Ora, grazie alla mia esperienza posso fornirvi una speciale quarta regola, che definirei la più importante. La regola d’oro.

Quello che hai letto finora è una serie di cazzate. Non esistono regole per trasformarsi in spezzacuori. Spezzacuori si nasce, o si diventa dopo che ci si sbatte la testa più volte. Ma la verità sconvolgente è un’altra: che non hai bisogno di essere uno spezzacuori. Questa non è la solita frase ipocrita recitata da uno che è fidanzato: fidati di me, che sono single. È vero che puoi averne le palle o le ovaie piene, ed è vero che sei stanco di soffrire e di attaccarti a persone che non ricambiano, ed è vero che non ce la fai più a spendere energie per gli uomini, ma credimi: queste regole non ti serviranno mai a niente se non a falsare te stesso.  Spezzare il cuore a una persona è una cosa da stronzi. Appunto per questo esiste un messaggio importante che puoi mandare con tutta la tua anima:

Ecco.