Robe varie riguardo al CNR di Pisa

Quello che segue è l’elenco di servizi e istituiti e mazzi vari che offre il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche, uououo) di Pisa:

IBBA- Istituto di Biologia e Biotecnologia Agraria
ILC- Istituto di Linguistica Computazionale “Antonio Zampolli” 
IBF- Istituto di Biofisica 
INO- Istituto Nazionale di Ottica 
IPCF- Istituto per i Processi Chimico-Fisici
IFC- Istituto di Fisiologia Clinica
IN- Istituto di Neuroscienze
ITB- Istituto di Tecnologie Biomediche 
IIT- Istituto di Informatica e Telematica – Sede
ISTI- Istituto di Scienza e Tecnologie dell’Informazione “A. Faedo”
IGG- Istituto di Geoscienze e Georisorse 
ISE- Istituto per lo Studio degli Ecosistemi 
ICCOM- Istituto di chimica dei composti organo metallici 
Uffici amministrativi
Uffici tecnici
Biblioteca
Mensa
Servizio Tecnografico
Officina meccanica
Ospedale
Area verde
Io volevo solo una cazzo di farmacia.
Comunque, lunedì inizierò il tirocinio al CNR. Mi hanno finalmente preso, e credo che la motivazione principale sia che gli ho fatto pena. La scorsa settimana ero in uno stato comatoso, vi giuro, se Charles Dickens mi avesse conosciuto si sarebbe suicidato, penso. Adesso che ho quattro tipi di farmaci diversi da assumere giornalmente e che il mio corpo dipende dagli sviluppi della medicina va un po’ meglio, anche se per non avere ricadute vado in giro tutto imbacuccato in stile Oliver Twist quando è ancora all’orfanotrofio (o una qualsiasi fashion blogger in una foto autunnale, che poi è uguale solo che non io non ho l’espressione sofisticata).
Il CNR mi spaventa, proprio perché è immenso e tutto uguale. Il mio amico biologo mi ha portato nel suo dipartimento che consiste in una serie infinita di scale, porte e corridoi tutti uguali. Vedevo la gente coi camici che diceva cose tipo Devo fare la pcr o L’hai prenotata la centrifuga? o LE CELLULE, iniettala nelle cellule! o AAAAAAH tanto che io ho pensato prima di denunciarli tutti per induzione volontaria alla labirintite e poi che sono pazzo perché questo reato non esiste, che non sarei mai uscito di lì, che la mia vita è arrivata al capolinea, che passerò il resto dei miei giorni nutrendomi di zebrafish qualsiasi cosa siano, poi morirò e forse un giorno Ryan Murphy si ispirerà a me per una nuova stagione di American Horror Story.
E ritroveranno questa foto, quando l’edificio sarà infestato dagli zombie:
[ lo so che questo post vi ha fatto schifo ma oggi è Halloween 
e mi sento autorizzato a farvi orrore ]

Tredici sfumature di grigio • pensieri post-lettura

ATTENZIONE. Contiene spoiler sulla trama del libro Cinquanta sfumature di grigio. Non che la trama sia rilevante ai fini di questo particolare tipo di narrativa.
ATTENZIONE. Contiene commenti negativi sul libro Cinquanta sfumature di grigio. Se per partito preso pensi che non li condividerai, questo istante può essere una buona occasione per chiudere questa pagina e ritornare a scrivere fan fiction di Twilight. Ognuno può leggere quello che gli pare, ci mancherebbe, perbaccolina, e io non voglio creare disturbi di stomaco a nessuno con quello che scrivo. Al contrario di E. L. James.
ATTENZIONE. In questo post si parla di sesso. Se pensi di essere superiore a certe cose, se pensi che uff, che palle che i blog parlano solo di sesso, se pensi che questi argomenti urtino la tua delicata sensibilità, puoi benissimo non leggere. Anche se, come dico io, non fare la candida se HAI la candida.
Ero partito con le migliori intenzioni, come ho scritto in questo post. Mi dicevo: ma sarà una cosa tipo Twilight, o un harmony un po’ particolare. Mi dicevo: saranno i soliti intellettualoidi che c’hanno da criticare qualsiasi libro, che poi non ho mai capito cosa leggano, gli intellettualoidi. Mi dicevo: ma magari mi piace, che ne so.
No.
Impieghi veramente poche pagine per capire che i personaggi principali sono totalmente irrealistici. In particolare, lei vorrebbe essere una specie di Bridget Jones ma riesce soltanto ad essere una demente con un evidente bisogno di un bravo psichiatra: ogni cosa la confonde, la turba, la sconcerta, la rende mortificata o la mette a disagio. Non vengono usati altri verbi per definire il suo stato d’animo nei primi otto capitoli, poi iniziano a scopare.
E poi c’è lui, lui che – cito testualmente – “è bello, bello da morire”, “accidenti, è proprio bello”, “non è solo bello, è la quintessenza della bellezza maschile mozzafiato”. ABBIAMO CAPITO CHE È BELLO, cretina, dicci qualcos’altro. 
“ha le labbra scolpite e sensuali”
“ribelle chioma biondo rame scuro”
“i pantaloni gli cadono sui fianchi in un modo…”
“capelli ribelli”
“oh, e il modo in cui i pantaloni gli cadono sui fianchi”
“labbra scolpitissime”
“indossa dei pantaloni grigi di flanella che gli cadono alla perfezione sui fianchi”
Ah, e tenetevi forte: la sua voce è “roca e calda come cioccolato nero fuso al caramello”. Stai male.
Il libro è scritto in prima persona. Tuttavia, la scrittrice, ha avuto la necessità di virgolettare non solo i dialoghi come avviene in tutti i libri normali, ma anche i pensieri della narratrice. Ecco: perché? Perché non puoi mettere i pensieri insieme agli altri pensieri, e virgolettare solo i dialoghi tra i personaggi? Questo è un grande mistero. Okay, può essere una scelta, ma è un scelta pessima: non capisci mai quando lei sta parlando o sta pensando.

Già, poi c’è la dea interiore! Ogni tanto viene descritta questa dea interiore che balla, una volta un sabba, una volta un merengue. Canta anche. Nel senso, mandala ad Amici. Che poi rimane sempre il dubbio che questa sua dea interiore sia in realtà un verme solitario, o qualcosa di più profondo, tipo la sua vagina.

Non vorrei esprimermi sui loro rapporti sessuali. No, perché sono qualcosa di veramente drammatico. Si concludono tutti con lui che urla Ana, vieni per me! e lei a comando inizia a sgorgare fluidi come un piccolo geyser erotico. A me hanno tanto ricordato quei combattimenti di pokemon d’acqua. Squirtle (appunto), attacco fontana di Trevi! 

Per questi e per altri motivi, io ho detto basta. Lo so, non si abbandona un libro a metà, ma io dichiaro la mia sconfitta. Non ce la faccio. Fine. The end. Chiuso. Vi giuro: non ho niente contro di voi che lo leggete, anzi io vi ammiro perché non so come sia possibile trarre godimento da questa roba. Nel senso, esiste YouPorn, e anche un altro sito che non mi ricordo come si chiama che mi consigliava un’amica venerdì sera per farmi apprezzare le dimensioni dei francesi (siccome s’è messa con un francese allora si preoccupava di metterci a conoscenza di come sono le baguette, ma questa cosa forse non la potevo scrivere sul blog).

Resta il fatto che se sarà davvero Matt Bomer a interpretare lui nella versione cinematografica, beh: magari il film me lo scarico. Perché al libro, io preferisco questo video:

The sweetest disposition

Ieri ho fatto un colloquio per un tirocinio. È stato molto bello perché ero mezzo malato, con la tosse forte, un raffreddore che mi faceva colare ogni cosa dalle narici, la voce tappata rumeno-style, poi gli occhi vacui e lucidini, il volto pallido, e ah, a un certo punto mi si è messo a sanguinare il naso. Sembravo una puntata di The walking dead. 

Ah, e poi l’esaminatore mi chiede se mi interessa di più Android o iOS, e io rispondo con una brillante voce nasale “Android, ma Ber una quesDione di simBaDia“, e lui si mette a ridere, e io penso di essere stato un ganzo vero, se non che lui estrae il suo iPhone e lo poggia sul tavolino.

E niente, tutto questo mi sembra il giusto contesto per introdurvi alla suoneria attuale del mio cellulare, dato che l’ho cambiata da quando avevo quella che descrivevo qui.

– Donald Duck Theme Song,
di Oliver Wallace –

Who’s got the sweetest disposition?
One guess, guess who?
Who’d never, never starts an argument?
Who never shows a bit of temperament?
Who’s never wrong but always right?
Who’d never dream of starting a fight?
Who gets stuck with all the bad luck?
No one but Donald Duck!

Non fate leggere questa cosa alla mia mamma

Il fatto è che la mia mamma dice che ho la testa tra le nuvole che poi non è un’affermazione così distante dalla verità ma non è detto che ciò sia per forza un male, io penso, no?
Insomma, è sempre la stessa storia: chi decide cosa è bene e cosa è male. Nemmeno la prima trilogia su Spiderman è riuscita a rispondere a questa domanda e adesso che il giudice Santi Licheri è morto e che quindi abbiamo perso ogni punto di riferimento nessuno può dire cosa è giusto e cosa è sbagliato. Io no di certo, tu no di certo, e sinceramente nutro profondi dubbi anche sulla mia mamma, io penso, no?
La mia mamma dice che ho la testa tra le nuvole e non sono portato per le cose pratiche, come invece è tremendamente portata mia sorella (che farà Medicina e già cucina dei cupcake che ammazzerebbero di gioia quel cuoco che urla sempre sui canali satellitari), e io mia sorella la amo alla follia (sì, anche per i cupcake di cui sopra) e stavolta vorrei essere io a prendere lei come esempio. Si può imparare da tutti, io penso, no?
Quindi il programma è concentrarsi sulle cose pratiche che sono quelle che fanno andare avanti il mondo. Iniziando ovviamente dall’abc, perché io vivo sulle nuvole e devo proprio partire dalle fondamenta stesse della praticità. Ho stilato un piccolo elenco di cose pratiche che devo imparare a fare, che comprende il piegare decentemente il coprimaterasso che sarebbe quell’odioso lenzuolo con i becchi tondi, il togliere il ghiaccio dai cocktail con la cannuccia cercando di perdere il minimo quantitativo alcolico, il capire in quale direzione va tagliata la mozzarella per non sfibrarla, l’avvicinarsi il più possibile al casello dell’autostrada per afferrare il biglietto senza stirarsi i muscoli, e tante altre piccole cose pratiche davvero deliziosissime.
Penso che comincerò immediatamente, magari dal punto sul coprimaterasso che sono sicuro richiederà un notevole sforzo e l’utilizzo dell’area del mio cervello dedicata alle figure geometriche, magari prima finisco di scrivere questa cosa. Così respiro per un altro pochino. Perché io tra le nuvole ci sto bene, e lo so che sulle nuvole non c’è lavoro e che i coprimaterassi non si piegano da soli, ma è che quassù io sono felice, e certo che tutti dicono che è sbagliato, ma chi decide cosa è giusto e cosa è sbagliato?, e soprattutto chi è che ha detto che essere felice è sbagliato?, perché non mi sembra una cosa molto intelligente da dire, io penso, no?
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[ articolo pubblicato originariamente su
Maintenant Mensile, qui il link ]

Critica della ragion stronza

Siccome non bastano le serie tv americane, le parodie su Harry Potter e tutto il sistema gerarchico adolescenziale degli studenti delle medie a rendere complicata la vita degli sfigati, adesso ci si mettono pure i blogger. Ora che questa moda idiota dell’essere sfigato ha preso piede su tutti i social network 
( Alcuni esempi: “Non mi è suonata la sveglia, che sfiga!”, 
“Un piccione mi ha cacato sul giacchetto nuovo, ahahahah”, 
“Mi hanno licenziato e mia sorella si droga, YEAH” ) 
ne sta nascendo un’altra ancora più terribile: criticare e snobbare quelli che fanno gli sfigati. Posso dire che, onestamente, avete tutti strafracassato la minchia?
Vi svelerò un segreto: prendere per il culo gli sfigati, sia direttamente che di riflesso, è una cosa estremamente facile. Bisogna che vi evolviate, blogger e twitteri, e lo dico per voi, non vorrei che vi cali il numero di Mi piace, cosa che vi porterebbe a un crollo nervoso dovuto alla vostra dipendenza da feedback).
Oggi ho il dente avvelenato (strano! che buffo! qual novità!) e vorrei sfruttarlo per avere le palle di prendermela con qualcuno di più grosso: gli stronzi. Partiamo dal postulato base:
* Essere stronzi non è bello *
Chiaro? La parola stessa ha un’accezione negativa che non è stata impressa a caso. Essere stronzi significa non rispettare gli altri, significa invadere la loro sfera di libertà, significa fare male alle persone. Fare male alle persone non è bello, a meno che le persone non siano quelli in coda prima di te alle poste o gli sceneggiatori di Un posto al sole, nel qual caso i carnefici avrebbero un mio parziale appoggio.
Ma attenzione: la mia non vuole essere una critica all’egoismo, alla competizione o al provare odio, che ritengo tutte cose sane, in quantità moderate. Io me la prendo soprattutto con chi forza la sua personalità ad essere stronza. Chi crede che si possa scegliere di esserlo. Chi si vanta di esserlo. Nessuno ne parla mai, ma c’è questa moda di definirsi stronzi, come se fosse una cosa figa di cui andare fieri. Ecco, questo sì che è idiota. È come vantarsi di avere la clamidia, o di mangiare le proprie caccole dopo averle appallottolate. Ho le emorroidi, scrivi questo sulla tua bio, no? Non sarà poi peggio che scrivere di essere stronzi.
Essere stronzi non è bello, e mi scuso per l’arroganza che ho usato nello scrivere questo post, ma secondo me va detto, ogni tanto. Che qui ce la prendiamo con gli sfigati che alla fine non fanno niente di male se non fornire spunti per nuovi fumetti della DC Comics, e mai con quelli che se lo meritano.
– Sono stronzo, eheheh.
– Complimenti. Vuoi un applauso?
(cit. la mia vita vera,
sì perché ne ho una, giuro)

Tredici sfumature di grigio

Ero nella mia cameretta a interrogarmi su questioni profondamente esistenziali e cioè se sia più elegante il Georgia o il Times New Roman, quando mi arriva un messaggio su facebook. È la Ade, che mi passa il libro più venduto del 2012, Cinquanta sfumature di grigio. Mi sento un vero criminale a essermi procurato questo libro illegalmente – che poi “illegalmente”, insomma, neanche fosse una dose di eroina o un pacco di wafer alla marjuana -, ma farei di tutto pur di non dovermi presentare in libreria a comprarlo. Il commesso mi ha già classificato come perfetto deficiente dopo che tre anni fa comprai Spero che vendano birra all’inferno, un romanzo di tutto rispetto la cui copertina nera e chic si è rivelata utilissima come soprammobile.
Il fatto è che in diversi mi hanno suggerito di leggere questo Cinquanta sfumature, credo che la speranza sia che io ci trovi qualcosa di antropologicamente rilevante. Non si può negare che quest’estate lo hanno letto tutti, e beh: dopo un po’ diventi curioso.
Non vorrei passare per quello poco intellettuale, tipo la casalinga italiana che guarda Uomini e Donne e urla COSTANTINO AMORE MIO NON TI FIDARE DI QUELLA PUTTANA davanti al televisore come se la De Filippi potesse sentirla.
– Dio, questa scena è raccapricciante.
Perché le scrivo, ‘ste cose, mi domando –
Tuttavia, non voglio passare nemmeno per quello tanto intellettuale che trova che perfino respirare sia troppo mainstream. È molto bello che in questo momento stia prendendo le distanze sia dalla massa che dagli snob, e che così facendo stia diventando una specie di snob al quadrato che mi eleva a livelli di antipatia mai raggiunti da qualsiasi personalità umana fatta eccezione forse per Cicchitto.
Bene, ora che sono odiato da tutto il mondo (e quindi sono a conoscenza di cosa prova una twitstar) voglio precisare che leggerò queste Cinquanta sfumature con occhio critico ma oggettivo. Cioè magari non così:

questa foto è tratta da un servizio di Repubblica i cui giornalisti 
sono stati pagati per raccogliere foto dei lettori di Cinquanta 
sfumature di grigio. Da grande voglio fare il giornalista di Repubblica

Quando sono un po’ triste

Il mio lieve pessimismo non mi dispiace. Ho sempre pensato che le persone negative riescano a vedere il mondo in una maniera che non è peggiore, è semplicemente diversa, e secondo me c’è tanto bisogno di cogliere tutte le sfumature della realtà. Non solo gli arcobaleni e i mini pony, per dire. Una volta ho sentito qualcuno che diceva che l’ottimista è l’equivalente dell’idiota, e anche se questa persona è probabilmente una di quelle frustrate che fanno cose tipo agitare la Ferrarelle per averla meno frizzante, devo ammettere che ho pensato a tutti quelli che si definiscono ottimisti e solari a The Club, e non l’ho trovata così fuori luogo.

Nonostante abbia a cuore questo lato del mio carattere facilmente deprimibile, non mi piace essere triste. A nessuno piace essere triste, credo, eccetto forse ad Adele, che era triste, ha scritto delle canzoni sulla sua tristezza, e adesso è ricca. Tuttavia, il mio organismo da ventitreenne sfigato è cresciuto abbastanza da aver sviluppato alcuni strategici meccanismi di difesa da attuare quando sono un po’ triste.

Mangiare, per esempio. Ultimamente vado di biscotti, ma c’è stato un periodo che ho fatto quasi indigestione di philadelphia. Poi girava voce che Kaori fosse morta, o che avesse fatto X-men 2, che forse è anche peggio, e mi sono dato un contegno.

Poi lo shopping. Dio, che soddisfazione, il comprare, lo spendere, il sentirsi parte di un crudele sistema consumistico. È difficile da fare quando non ho molti soldi, cioè sempre, infatti tento di rimediare con barbatrucchi poco producenti, chiamati Ehi Sara, andiamo alla Gardenia a provarci tutti i profumi? oppure anche Dai Ciuffo, giochiamo a provarci montgomery che non ci possiamo permettere! ma a lungo andare diventa un’attività stancante. Senza contare che il tuo naso va in overdose da essenze.

Allora penso alle piccole cose che vanno bene. Che poi non è facile pensare alle piccole cose che vanno bene quando ci sono le grandi che vanno male, vorrei dire. È molto più facile pensare alle piccole cose che vanno bene quando anche le grandi vanno bene, mi sa. Comunque, cerco di concentrarmi sulle piccole cose, che nel mio caso sono che iniziano le prove di teatro, che ho uno scaldatazza usb per quando arriverà il freddo, che forse forse Kurt e Blaine si lasciano ed era ora, che tra un mese vedrò Florence and The Machine dal vivo, che accanto a me ho una scatola piena di befanini al cioccolato.

Forse non sono così pessimista, no?

Where there is desire
There is gonna be a flame
Where there is a flame
Someone’s bound to get burned
But just because it burns
Doesn’t mean you’re gonna die
You’ve gotta get up and try try try
Gotta get up and try try try
You gotta get up and try try try

Il metaforizzatore

E insomma ero lì davanti al mio progetto di Costruzione di Interfacce che cercavo di capire che coordinate deve avere un quadrato se voglio che sia ritagliato da un rettangolo di cui conosco solo il centro. Molto spesso in informatica uno schermo non basta: se vuoi capirci qualcosa, devi ricorrere a carta e penna e iniziare a disegnare, come faceva Pitagora per calcolare l’ipotenusa o i terroristi di al-Qaida per decidere come dirottare gli aerei.
Sono lì di fronte al mio disegnino quando mi accorgo che ho sbagliato un punto. Ohibò, ho bisogno della gomma per cancellare. La cerco nell’astuccio, ma non la trovo. Può essere che l’ho lasciata a casa, oppure l’ho persa, ma ad ogni modo alcune immagini mi attraversano la mente come tante, velocissime illuminazioni. Flash: non posso cancellare. 
Flash: quel che è fatto è fatto. 
Flash: le mie azioni sono indelebili. 
Flash: se non hai una gomma non puoi tornare indietro.
ALLARME TRIP! ALLARME TRIP! ALLARME TRIP!
Conclusione letale: la vita è un disegno fatto quando non hai la gomma nell’astuccio.
Ora, non ci ho messo molto tempo a capire che questa è sicuramente la più brutta metafora che sia mai stata enucleata da una mente umana. Ma capite, io non lo faccio apposta. Semplicemente le cose mi accadono come accadono a tutti ma io ci vedo dietro una specie di insegnamento da cogliere. È un po’ come essere una versione non retribuita di Fabio Volo.
A volte tiro fuori delle vere e proprie perle: l’altra sera mi mettevo le lenti a contatto davanti allo specchio sicché è scattata l’epifania che se ti avvicini a te stesso puoi agire in maniera più precisa. Se volete creare una bella metafora, mettetevi davanti a uno specchio, che favorisce il parto di tutte quelle cose che riguardano il sé stessi, credo facciano così anche quelli che scrivono le serie di Disney Channel. 
Comunque. Forse non creo delle belle allegorie, ma bisogna dire che sono prolifico. Forse potrei aprirci un’attività, e fare il metaforizzatore. Tanto, voglio dire, il mondo è pieno di mestieri nuovi di cui non si conosce nemmeno il nome. Che lavoro fa Mara Maionchi?, per dire. Nel frattempo torno al mio progetto di Costruzione di Interfacce, ma sappiate che se volete una metafora, ai miei lettori faccio uno sconto.

Tredici’s Anatomy

Ci sono quei giorni in cui ti svegli e tutto parte come se fossi in una puntata di Grey’s Anatomy. No, non a letto con Patrick Dempsey, intendo con la vocina che ti riempie di seghe mentali. Mentre tu fai quelle cose che col sottofondo di Paolo Nutini al pianoforte appaiono estremamente poetiche (come bestemmiare nello spegnere la sveglia, o togliere quell’odiosa pellicola di panna che si forma sul latte dopo che lo hai riscaldato al microonde) la vocina di quella deficiente di Meredith Grey parte col porre drammatici interrogativi sull’esistenza, che di solito trovano la loro massima realizzazione nella costruzione di metafore riguardanti le linee di confine e il barometro dei nostri desideri.
E non serve a niente ripetersi che gli sceneggiatori di Grey’s Anatomy avrebbero evitato di imparanoiare milioni di telespettatori se solo avessero avuto uno psicoterapeuta migliore, e non serve a niente nemmeno ripetersi che gli sceneggiatori di Grey’s Anatomy sono i principali responsabili del fatto che tutti nel mondo vogliano fare medicina; non serve a niente, perché ormai quelle seghe mentali ti sono penetrate nel cervello, dove risiederanno per tutta la giornata.
E insomma stamani mi sono svegliato e la paranoia era che forse ho una scala del gusto diversa da quella della maggior parte della gente. E ci sono arrivato tramite questo intelligentissimo ragionamento che provo a spiegarvi tramite rappresentazione logica. Che c’ho preso anche un bel voto, a Logica.
E poi finisce l’episodio, è notte e probabilmente piove, e la vocina torna a dare tutte le risposte con una saccenza che cerca di mascherare con pause tattiche e un ritmo da regina del dramma. Nella vita vera non funziona così. Le risposte non arrivano sempre di notte quando piove ed è tutto perfettamente romantico. Nella vita vera le risposte arrivano più o meno velocemente, a volte non arrivano e comunque scelgono i momenti più impensabili.
Per esempio, oggi avevo appena finito di pranzare a mensa. Avevo ancora quel terribile odore di pesce nelle narici, quando sento la vocina. Non la vocina di Meredith però. Era la “vocina”, giusto un poco più profonda, del mio amico U, che si mette a cantare Crash di Immanuel Casto. E che poi ripete quello che mi aveva detto mesi fa, quando le cose andavano molto meglio per tutti:
Ale, adesso fregatene.
Mettiti il tuo burro di cacao bio
e goditi la vita.
Stasera carbonara da me. Chi viene?

C’è posta per Tredici

Buongiorno a tutti e benvenuti ancora una volta alla rubrica di posta di questo blog. Rubrica che è iniziata con questo post ma che è ferma da Luglio. In realtà mi avete scritto in tanti, e prima o poi risponderò a tutti – ve lo giuro sul cane del mio vicino che abbaia in continuazione mentre sto cercando di capire se Victoria Grayson di Revenge è davvero buona – e vi invito a continuare a mandarmi le vostre domande, qui a lato trovate tutti i miei contatti. Tuttavia, oggi pubblicherò la lettera di un ragazzo che mi ha scritto ieri sera.
Caro Tredici, a te è mai successo di avere il blocco del pubblicatore?
sì hai letto bene. Il mio problema non è che non so cosa scrivere. Ho una marea di post ormai accumulati tra le bozze! Il problema è che non ho il coraggio di pubblicarli, e non capisco bene perché. Forse perché sono troppo personali, oppure ho la paura che siano cose banali. Non so proprio… Il fatto che proprio tutti, ovvero sia io che gli altri, abbiano la possibilità di dire ciò che vogliono mi mette stranamente in soggezione.

Sprovveduto col blocco

Caro Sprovveduto col blocco, ti avviso subito che nella mia risposta sarò molto egoriferito. Sia perché questo è il mio blog e la star sono io, sia perché parlando di me evito di parlare di te, che vuoi giustamente rimanere anonimo.

Prima cosa: ebbene sì, su Internet tutti possono dire cosa vogliono. Questo è magnifico per tutta una serie di motivi che sappiamo, ma è anche terribile perché consente a tutti di dire la propria opinione. Ossia consente ai dementi di dire la propria opinione demente, consente ai saccenti di dire la propria opinione saccente, consente ai fascisti di dire la propria opinione fascista, e consente a tutti quanti di giudicarti anche senza conoscerti.

Ed è comprensibile che tutto questo tripudio di critiche ci possa mettere in soggezione quando arriviamo a parlare di noi o di come ci sentiamo o del fatto che abbiamo la clamidia perché ci siamo scopati il fornaio. No, mamma, non mi sono scopato il fornaio, era per dire.

Mi sono sempre domandato: ma perché, io che ci metto nome e cognome, io che ci metto la faccia, devo sentirmi giudicato da persone che non mi conoscono e che per giunta rimangono anonime dietro nick come Cappellaio Matto, o Justin, o Il Sodomizzatore, o Cappellaio Matto, o Cappellaio Matto, o Diarrea, o Cappellaio Matto (a questo proposito, un appello: bisogna che qualcuno uccida Tim Burton prima che i nick di tutta la blogosfera diventino quello del protagonista della prossima agghiacciante trasposizione).

Poi ho scoperto che della critica di persone che non mi conoscono mi importa nella giusta misura, che si quantifica con “praticamente niente”. Piano piano impari a fregartene, e a volte ti diverti a rispondere col loro stesso tono pretestuosamente acido, ma in sostanza li ignori.

La cosa che a me mette più soggezione quando parlo di me è che, poiché io non sono anonimo, a leggermi sono anche le persone che incontro per strada, o nei locali, o in biblioteca (per esempio: ciao Linda! Ti è caduta la penna). Non dico che mi preoccupi il loro giudizio, però mi dà noia fornire loro motivi per spettegolare su di me. Finché sono persone che non mi conoscono okay, ma è un’altra cosa quando le vedi che ridacchiano indicando il cavallo dei tuoi pantaloni perché hai scritto sul blog di avere una malattia sessualmente trasmissibile. No, mamma, non ho una malattia sessualmente trasmissibile, era per dire.

Con l’esperienza impari anche a dosare quanto scrivere di te. In modo che sia personale, vero, sincero, puro, bellissimo, artistico, e in modo che ti permetta di sfogarti, ma anche in modo che non sia troppo personale. Io ho optato per la decisione drastica di scrivere esattamente quanto voglio far sapere, e niente di più. Per sfogarmi ci sono gli amici, se volessi.

E per quanto riguarda l’essere banale… Sprovveduto col blocco, ma di cosa ti preoccupi? Hai mai aperto facebook? Ecco, quella è la banalità. Spero di esserti stato utile. Adesso scusami, ma devo andare a tranquillizzare mia madre sul fatto che non ho la clamidia.