Buongiorno a tutti e benvenuti ancora una volta alla rubrica di posta di questo blog. Rubrica che è iniziata
con questo post ma che è ferma da Luglio. In realtà mi avete scritto in tanti, e prima o poi risponderò a tutti –
ve lo giuro sul cane del mio vicino che abbaia in continuazione mentre sto cercando di capire se Victoria Grayson di
Revenge è davvero buona – e vi invito a continuare a mandarmi le vostre domande, qui a lato trovate tutti i miei contatti. Tuttavia, oggi pubblicherò la lettera di un ragazzo che mi ha scritto ieri sera.
Caro Tredici, a te è mai successo di avere il blocco del pubblicatore?
sì hai letto bene. Il mio problema non è che non so cosa scrivere. Ho una marea di post ormai accumulati tra le bozze! Il problema è che non ho il coraggio di pubblicarli, e non capisco bene perché. Forse perché sono troppo personali, oppure ho la paura che siano cose banali. Non so proprio… Il fatto che proprio tutti, ovvero sia io che gli altri, abbiano la possibilità di dire ciò che vogliono mi mette stranamente in soggezione.
Sprovveduto col blocco
Caro Sprovveduto col blocco, ti avviso subito che nella mia risposta sarò molto egoriferito. Sia perché questo è il mio blog e la star sono io, sia perché parlando di me evito di parlare di te, che vuoi giustamente rimanere anonimo.
Prima cosa: ebbene sì, su Internet tutti possono dire cosa vogliono. Questo è magnifico per tutta una serie di motivi che sappiamo, ma è anche terribile perché consente a tutti di dire la propria opinione. Ossia consente ai dementi di dire la propria opinione demente, consente ai saccenti di dire la propria opinione saccente, consente ai fascisti di dire la propria opinione fascista, e consente a tutti quanti di giudicarti anche senza conoscerti.
Ed è comprensibile che tutto questo tripudio di critiche ci possa mettere in soggezione quando arriviamo a parlare di noi o di come ci sentiamo o del fatto che abbiamo la clamidia perché ci siamo scopati il fornaio. No, mamma, non mi sono scopato il fornaio, era per dire.
Mi sono sempre domandato: ma perché, io che ci metto nome e cognome, io che ci metto la faccia, devo sentirmi giudicato da persone che non mi conoscono e che per giunta rimangono anonime dietro nick come Cappellaio Matto, o Justin, o Il Sodomizzatore, o Cappellaio Matto, o Cappellaio Matto, o Diarrea, o Cappellaio Matto (a questo proposito, un appello: bisogna che qualcuno uccida Tim Burton prima che i nick di tutta la blogosfera diventino quello del protagonista della prossima agghiacciante trasposizione).
Poi ho scoperto che della critica di persone che non mi conoscono mi importa nella giusta misura, che si quantifica con “praticamente niente”. Piano piano impari a fregartene, e a volte ti diverti a rispondere col loro stesso tono pretestuosamente acido, ma in sostanza li ignori.
La cosa che a me mette più soggezione quando parlo di me è che, poiché io non sono anonimo, a leggermi sono anche le persone che incontro per strada, o nei locali, o in biblioteca (per esempio: ciao Linda! Ti è caduta la penna). Non dico che mi preoccupi il loro giudizio, però mi dà noia fornire loro motivi per spettegolare su di me. Finché sono persone che non mi conoscono okay, ma è un’altra cosa quando le vedi che ridacchiano indicando il cavallo dei tuoi pantaloni perché hai scritto sul blog di avere una malattia sessualmente trasmissibile. No, mamma, non ho una malattia sessualmente trasmissibile, era per dire.
Con l’esperienza impari anche a dosare quanto scrivere di te. In modo che sia personale, vero, sincero, puro, bellissimo, artistico, e in modo che ti permetta di sfogarti, ma anche in modo che non sia troppo personale. Io ho optato per la decisione drastica di scrivere esattamente quanto voglio far sapere, e niente di più. Per sfogarmi ci sono gli amici, se volessi.
E per quanto riguarda l’essere banale… Sprovveduto col blocco, ma di cosa ti preoccupi? Hai mai aperto facebook? Ecco, quella è la banalità. Spero di esserti stato utile. Adesso scusami, ma devo andare a tranquillizzare mia madre sul fatto che non ho la clamidia.