Alternativa definitiva all’inventiva

Se il Creatore del Disegno Intelligente, al momento di far evolvere i bonobi in esseri umani, mi avesse chiesto quali caratteristiche far sviluppare nella nostra specie e quali no, avrei senz’altro dato la conferma per il pollice opponibile, che è molto utile per sbucciare le arance e togliere i cubetti di ghiaccio dal Negroni, ma mi sarei categoricamente opposto a questa fregatura di poter pensare.

Sì: non sono un grande fan del pensiero. Mi rende inquieto sapere di cosa è capace la mente umana, e non mi riferisco a banalità come la bomba atomica o la caccia alle balene, ma piuttosto a concepimenti ancora più terribili, tipo la maionese del Mc Donald’s, o lo sbiancamento anale, o le felpe con scritto ITALIA. E soprattutto le paranoie, le paranoie che rendono turbolenta la mia esistenza, le paranoie per le quali maledico di possedere un cervello.

Per questo sono rimasto colpito da un curioso macchinario che ho trovato al Museo della Scienza di Valencia: un tavolo su cui è posta una pallina. Due persone si siedono ai lati opposti del tavolo e poggiano la fronte su una specie di casco che analizza la loro attività cerebrale. La pallina comincia a muoversi verso l’uno o l’altro a seconda dell’intensità del loro pensiero. In pratica, vince chi pensa meno.

Capite bene che non posso che rimanere affascinato da un simile aggeggio, tant’è che ho costretto Ciuffo, il mio compagno di scorribande e di merende, soprattutto di merende, a giocarci con me. Ci siamo seduti, ci siamo squadrati e insultati come farebbero due neri del ghetto americano, e la partita è cominciata.

Dovevo pensare alla cosa più vuota e inutile del mondo.

Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton.

Vuoto per vuoto, pensavo.

Ma la pallina scorreva comunque verso di me decretando la mia sconfitta. Ciuffo ha vinto, e non mi ha nemmeno voluto dire come ha fatto.

Chissà a quale bionda ha pensato.

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Del parcheggio, al mare, la domenica d’Agosto

Se è vero quello che ci dicono, e cioè che il diavolo si manifesta ogniqualvolta l’uomo invoca il nome di Dio invano, allora il posto dove Satana si annida più spesso e volentieri è un qualsiasi parcheggio al mare la domenica d’Agosto.
Dio odia parcheggiare, ed è per questo che quando si è fatto uomo ha scelto un’epoca in cui le automobili non erano ancora state inventate. Invece adesso ci sono, e bisogna ammettere che sono molto utili per spostarsi, fornicare e trasportare i cocomeri dalla Coop a casa – provate voi a farlo in bici! – ma resta il fatto che è necessario parcheggiarle da qualche parte quando si va al mare, e al mare la domenica d’Agosto i parcheggi sono tutti pieni.
Sicché la gente si sfoga. Nell’unica maniera possibile: invoca il nome di Dio invano, appunto.
Smoccola.
Giò è seduta accanto a me, al posto del passeggero, e sbuffa. Ha caldo, ambisce a sabbia e acqua salata. Vuole solo spalmarsi l’olio solare addosso e poltrire per il resto della giornata. Dal finestrino osserva la fila vicino a lei, se ci fosse qualche buco libero, o qualche famiglia che torna a casa per il pranzo. “Bisogna trovarsi al posto giusto nel momento giusto” – sentenzia.
“È un po’ come la metafora della vita” – replico, sardonico. Ma col caldo infernale, la fame, la voglia di mare, il pensiero di trovarmi in mezzo ad altre venti autovetture contro cui competere per due metri quadri di terreno, tutta la filosofia che può circondare il concetto di parcheggio al mare la domenica d’Agosto mi pare solo una grossa stronzata.
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Le provviste per il mio letargo

Dunque.
A fine Settembre mi ricominciano Once upon a time, Glee, X-Factor ed eventualmente Revenge. A Ottobre poi American Horror Story. Prima o poi, non so quando, ma ricominceranno anche New Girl e 2 Broke Girls. Non posso invece contare sulla terza stagione di Game of Thrones, per la quale devo aspettare il 2013, così come per Pretty Little Liars, fatta eccezione per lo speciale di Halloween e lo spin off sul web. Mettiamo anche che, se voglio, posso riguardarmi puntate a caso di Will&Grace o Friends, nel caso mi mancasse qualcosa.
Ecco. Considerato tutto questo, direi che sono pronto ad affrontare un nuovo autunno senza fidanzato.

Valencia #3

– I falsi amici –
falso amico n. un
Quando sei in un negozio, e sulla macchinetta della carta di credito ci viene scritto ESPERA, sappi che significa ASPETTA. Non ti sta invitando a SPERARE che sulla carta ci siano ancora dei soldi.
falso amico n. dos
Pare che sia abbastanza noto che ESCUCHAME non significhi SCUSAMI, bensì ASCOLTAMI. Quindi, cara compagnadiviaggiochenonpossonominaremachegiurononsonoio, non ha senso fermare le persone che ti piacciono con la scusa di domandar loro qual è la differenza tra “escuchame” e “perdona me”. Lo siento! (che, per la cronaca, significa “mi dispiace”. Non “sto avendo un orgasmo”) 
Ciclo di Valencia
(filosofico spin off 

sulla sangria)



Bibo ergo sum

( chi mi dirà buonanotte stanotte mio Dio?
la notte le stelle la luna, o forse io )

C’è una cosa che ci accomuna agli spagnoli più dell’usare il “sì” come affermazione e venerare Raffaella Carrà qualunque cosa faccia, ed è la furbizia con cui si cerca di fregare il turista. Nelle cittadine iberiche, per esempio, ci si trova spesso ad ordinare una jarra de sangria, e a vederci portare in tavola quella che al massimo è una jarra de brodaglias con un pochito de fruttas dentro.
Eppure siamo contenti. Il liquido rossastro che non è sangria ci è presentato come sangria e tanto basta per deglutirla con passione, pasteggiarci e magari ordinarne un’altra jarra. Perché? Dovresti perplimerti così come ti perplimeresti se al ristorante ti portassero gli spaghetti al posto delle tagliatelle, o se tua suocera facesse il pesto senza pinoli, o se trovassi lo champagne dentro la bottiglia dello spumante. Non è la stessa cosa, non ha la stessa forma, e nemmeno lo stesso sapore.
È che le persone bevono quello che credono di bere. E mangiano quello che credono di mangiare, e vedono quello che credono di vedere, e sentono quello che credono di sentire, e vivono quello che credono di vivere.
E forse è un peccato, perché se bevessimo quello che davvero beviamo, e mangiassimo quello che davvero mangiamo, e vedessimo quello che davvero vediamo, e sentissimo quello che davvero sentiamo, e se vivessimo quello che davvero viviamo, avremmo un mondo con meno illusioni.
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Valencia #2

– Sono tutti italiani –

Tu credi che Valencia sia una città spagnola. In realtà no, anzi è una delle più floride e vive tra le succursali italiane. E ciò comporta un notevole numero di svantaggi, tra cui quello che vi vado ad esporre con un simpatico aneddoto.

In metropolitana c’era un tipo che presentava obiettivamente un elevato valore del coefficiente di fregnosità. Forse un po’ piccoletto, ma insomma ci sono certi fregni che sono come il vino: bisogna assaggiarli da piccoli, per assicurarsi che invecchino bene. Ecco.
Insomma, io estraggo il cellulare dal mio pratico porta-cellulare che in realtà è un calzino spaiato e faccio una foto a Ciuffo e Laura, che erano seduti accanto al fregno in questione. Ma attenzione: fotografo solo loro due, come posso dimostrare:

‘ellini.
Tuttavia Ciuffo pensa che le mie intenzioni siano più maliziose: “Dopo la voglio vedere la foto eh?” fa, sperticandosi in occhiate ammiccanti.
Io, suorina mode ON, faccio: “Noooo, ma ho fotografato solo voi, hihihi!” come a dire che dammi un minuto e ti immortalo il biondo forevah and evah. Alché il tizio fregno in questione si rivolge al tizio non fregno e per togliersi dall’imbarazzo inizia a parlargli in una lingua terribilmente simile all’italiano. Laura, finora silenziosa spettatrice, inizia a ridere e smetterà solo quando scoprirà che nell’appartamento manca l’acqua calda.

Ah, comunque, italiano o meno, la foto gliel’ho fatta:

Ah, il fregno sarebbe quello a destra. Ma son gusti, ecco.

Valencia #1

– Tornato –

Mi siete mancati ♥

Okay, non è vero.

Forse un pochetto, dai.

( Avevo il sole negli occhi,
scusate se non sono figo, eh! )

La missione spagnola

Non sono un fan dei post dei saluti, anche perché solitamente a me tocca scrivere Buone vacanze e pensare Sei veramente una cagna. Ma stavolta la cagna sarò io, perché me ne vado qualche giorno a Valencia. Non preoccupatevi, non ci andrò per divertirmi. 
Ho una missione da compiere, che si articola in due punti:
1. uccidere il creatore di Tacatà Tacatà, o come si chiama. Non so nemmeno se è spagnolo, ma giuro solennemente che se lo incontro mirerò dritto al cuore
2. diffondere il verbo del pulcino Pio.
Ci si.

Le regole dell’ispirazione

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L’ispirazione per questo articolo mi è venuta mentre ero a Firenze, ad una serata dedicata alle lesbiche. Non so di preciso come mai proprio in quella situazione. Forse il mio senso artistico cercava una scusa per evadere da tutta quella birra. Sì, birra ovunque, tutta insieme, concentrata in un unico buco che poi consisteva in un baracchino sulle rive dell’Arno.
La verità è che alle lesbiche piace la birra. L’ho scritto davvero? Scusate. Volevo dire: la verità è che non c’è un momento preciso in cui arriva l’ispirazione, e nemmeno delle istruzioni precise da seguire. Quando ti coglie lo fa e basta, e tu devi essere veloce a buttarti nel processo di creazione, o quantomeno devi appuntarti su un post-it quello che ti è venuto in mente. Un post-it che, se sei fortunato, non perdi.
Resta il fatto che non ci sono modalità per contattare l’ispirazione, né per fare in modo che lei si conceda facilmente e subito. Tutto il contrario di una squillo professionista, per dire – un’occupazione a cui finiscono per ambire tutti coloro che aspirano alla scrittura ma passano i pomeriggi a fissare i loro monitor assolutamente vuoti.
Certo, è anche vero che ci sono dei luoghi e dei momenti della giornata che favoriscono l’illuminazione creativa. Per esempio, molti grandi cantautori affermano di lavorare meglio di notte. Io affermo – o affermerei se qualcuno me lo chiedesse – che le più grandi idee mi vengono in bagno. E forse questa è la ragione per cui non scriverò mai niente che possa avere un qualche successo editoriale, e forse è anche la ragione per cui mia sorella si mette a piangere quando entro in bagno.
Ad ogni modo alcune cose le ho capite, e si riassumono nelle due regole dell’ispirazione che cerco qui di riportare, nella maniera e nel linguaggio più scientifici possibile:
1. La velocità con cui arriva l’ispirazione è inversamente proporzionale all’intensità con cui l’ispirato fissa il foglio bianco
2. L’intelligenza dell’idea che l’ispirazione ci suggerisce è inversamente proporzionale all’urgenza della consegna
Ne concludo che atrofizzarsi in attesa dell’ispirazione o ossessionarsi dal non pervenire di un’idea geniale sono attività inutili, forse addirittura dannose. Molto meglio ingannare il tempo in altre maniere. 
Magari facendosi una Tennent’s. 
Le lesbiche hanno veramente capito tutto.