Piccolo prontuario (da usare in caso di amico ubriaco)

Non fargli toccare il cellulare. Non fargli pensare di avere un cellulare. Nel caso, privarlo del cellulare. Potrebbe commettere atti di cui, ve lo garantisco, si pentirà. Tipo scrivere Ti voglio bene e inoltrarlo a tutta la rubrica con Invia a molti. O peggio: chiamare gli ex.
Sorvegliarlo mentre parla con sconosciuti. Le amicizie nate sotto il cielo del Cuba Libre sono forse le più interessanti e intriganti. Escono fuori certi dialoghi veramente sbalorditivi, come – Ciao Bob. – Ahahah veramentemichiamoGianni ahahah peròpuoi ahahah chiamarmiancheBob ahahah etuchisei? – Ciao Bob. True story. Tuttavia, a volte può essere sconsigliato lasciare il vostro amico ubriaco da solo con altra gente. Specialmente se “altra gente” ha quaranta anni e quaranta capelli. True story.
Non lasciare che si fotografi in giro. Ho ragionevoli motivi di pensare che non gli risulterà gradevole rivedersi nell’attimo che si frappone tra l’aonco e l’ondata di vomito, per quanto sia un momento che qualsiasi fotografo ha sempre voluto immortalare su pellicola. 
( Potrei aggiungere altri punti. Spero di no. Stay tuned, state tonnati, ecco. )

Solo

Ieri ho deciso di rispolverare le mie origini campagnole prendendo la bici. In realtà ho dovuto rispolverare anche la bici, e gonfiarle le ruote, e oliarle la catena, perché era dalla scorsa estate che non la toccavo, e lo si poteva arguire dal fatto che era grigia, e non blu come l’avevo comprata.
La mia bici si chiama Hercule. Non da Ercole – magari fossi così classico – bensì da Hercule Poirot, l’investigatore protagonista di quasi tutti i libri che leggevo diversi anni fa. C’avevo la fissa per Agatha Christie, scusate. E per Stephen King. Ora che ci penso, Hercule ha avuto fortuna a non essere stata battezzata come Misery.
( In quel periodo ero anche fissato con i Beatles, i Sum41 e Ligabue. Non ero esattamente sano, come adolescente. Un po’ confuso, ecco. )
Vicino a casa mia c’è il fiume. Sono andato lì. Appena lasciata la strada d’asfalto mi sono accorto che stavo entrando in un altro mondo. Non tanto perché il percorso fluviale è incontaminato, ci mancherebbe: di gente ce n’è anche lì. Non era l’assenza di tocco umano a rendere il parco diverso da tutto il resto: era come mi sentivo io. Il verde da una parte, l’acqua del fiume dall’altra; il cielo senza nuvole e con un gran sole; il vento sul viso mentre correvo in bici. E, soprattutto, solo. Completamente solo.
Ho trovato una panchina. Mi sono steso a leggere un libro che mi ha prestato un’amica. Baricco, che mi è stato consigliato da tanti e sputtanato da altri, e ho concluso che l’unica maniera per decidere se mi piace è provarlo. E non so se avete presente quei momenti in cui state leggendo e siete proprio nel mondo che il libro descrive, ma la mente non ce la fa a stare completamente concentrata e per un attimo – forse per un rumore improvviso, o un movimento scorto con la coda dell’occhio, o anche forse per niente in particolare – per un attimo la mente si distrae: ecco, in quel momento lì ho pensato che ero davvero solo.
E che avrei dovuto abituarmi.
Ma che, in fondo, non era poi così male.
Ha 38 anni, Bartleboom. Lui pensa che da qualche parte, nel mondo, incontrerà un giorno una donna che, da sempre, è la sua donna. Ogni tanto si rammarica che il destino si ostini a farlo attendere con tanta indelicata tenacia, ma col tempo ha imparato a considerare la cosa con grande serenità. Quasi ogni giorno, ormai da anni, prende la penna in mano e le scrive. Non ha nomi e non ha indirizzi da mettere sulle buste: ma ha una vita da raccontare. E a chi, se non a lei? Lui pensa che quando si incontreranno sarà bello posarle sul grembo una scatola di mogano piena di lettere e dirle
– Ti aspettavo.

Lei aprirà la scatola e lentamente, quando vorrà, leggerà le lettere una ad una e risalendo un chilometrico filo di inchiostro blu si prenderà gli anni – i giorni, gli istanti – che quell’uomo, prima ancora di conoscerla, già le aveva regalato. O forse, più semplicemente, capovolgerà la scatola e attonita davanti a quella buffa nevicata di lettere sorriderà dicendo a quell’uomo

– Tu sei matto.

E per sempre lo amerà.


Alessandro Baricco, Oceano mare

Roba da sfigati #1

Al Polo Fibonacci c’è un bagno che è sia per maschi che per femmine. Quel bagno, cioè una stanza adibita all’espletamento delle proprie funzioni corporee, costituisce la prova che i due sessi possono condividere ogni cosa in maniera pseudo pacifica, come per esempio succede nella comunità dei bonobo.
Ma lasciamo perdere le considerazioni sociozoologiche. Circa un mese fa, ero al Polo Fibonacci che studiavo, come al solito, quando sento il bisogno di fare pipì, un bisogno che capita spesso ai comuni esseri umani, e pertanto anche a me. Sicché entro nel bagno suddetto, chiudo e provvedo ad eliminare il liquido urinale il quale esercitava una fastidiosa pressione sulle pareti del mio organo vescicale.
Al termine della minzione, faccio per aprire la porta, ma la maniglia mi rimane in mano.
Houston, abbiamo un problema.
Ma Houston, stavolta, non c’era. Mi rimaneva un’unica cosa razionale e ponderata: gridare. Alché mi setto sul tono di voce più drammatico di cui sono in grado e inizio a proferire cose come OHHH ME TAPINO, SONO RIMASTO CHIUSO DENTRO, QUALCUNO MI AIUTI! MORIRÒ, MORIRÒ!
Finalmente sento un rumore di passi. “Grazie!!!” esclamo a colei che mi apre, una ragazza dall’aria molto divertita che probabilmente passa le serate ad eseguire fellatio a un cavallo.
Non c’è una vera morale per questo post. Il mio obiettivo sarebbe rivalutare la figura dello sfigato per renderlo simpatico, ma almeno per stavolta ho fallito: non sono uscito dal bagno diabolico con l’espressione spavalda con cui sarebbe uscito qualsiasi figo. Anzi, ero in stato confusionario, neanche dopo tre mesi di sequestro in Iraq.
Beh, diciamo però che sono ancora vivo.
( Proprio come l’equipaggio dell’Apollo 13! )
Roba da sfigati

Socialpatia

Viviamo in un mondo dove la tua esistenza è certificata più dalla tua presenza su facebook che dalla testimonianza di tua madre. Il coefficiente PUBE (Patetico ma Umano Bisogno di Esibizionismo) oggi riesce a raggiungere valori elevatissimi grazie all’enorme popolarità di cui nutrono i social network. 
Per quanto mi riguarda, sono colpevole di appartenere a diversi di questi. Almeno io lo ammetto. Non sono una di quelle persone che dicono Facebook? Per tutti i sottaceti, GIAMMAI! ma le cui dita stanno intanto scorrendo sullo schermo dell’iPhone per mettere Mi piace ad ogni pseudo citazione di Jim Morrison.
Adesso parte la marchetta, ma giuro che la faccio durare poco: qui sulla colonnina di destra c’è il link alla pagina facebook del mio blog. Se mi amate incondizionatamente ma anche se mi odiate dal profondo del cuore, potreste mettere il vostro Mi piace alla pagina. Contribuirete così ad alimentare il mio ego e la mia dipendenza da feedback – non ridete, ce l’avete anche voi – e soprattutto diffonderete il mio blog, come gli apostoli col verbo di Dio, o gli imprudenti con la gonorrea.
Adesso che lo spot pubblicitario è finito, vorrei passare ad analizzare i vari social network che utilizzo.
Facebook
È contemporaneamente il più famoso, il più pericoloso e il più utile.
Il più famoso, sì, perché ce l’hanno tutti. Alcuni miei amici che stanno stoicamente resistendo all’iscrizione a volte mi raccontano di come sia difficile vivere sulla Terra senza avere un account su facebook. Mi dicono che le persone non parlano d’altro, e quando scoprono che non ci sono assumono un’espressione di cordoglio e fanno, con voce tremolante: “Ah, non hai facebook? Mi spiace”. 
Il più pericoloso, anche. Perché gli utenti ci scrivono tutto. Il mio professore di Reti di Calcolatori sostiene che per capire le password di una persona basta scorrere il suo profilo di facebook e vedere quali informazioni contiene. Prima che ci proviate, nessuna delle mie password è “negroni”.
Il più utile, per organizzarsi con gli amici e soprattutto per baccagliare. Un Mi piace alla foto di un utente può significare Ti stimo ma anche cose più spinte come Ci sto provando con te, o Vorrei baciarti, o Scopiamo, dai.
Twitter
Attualmente è il mio social network preferito. Sarà che è molto opportunista, nel senso che io seguo chi voglio e mi faccio i cazzi di chi voglio. E le persone sono meno piagnucolose, almeno quelle che seguo io. Non ti trovi lo schermo invaso da foto di beagle squartati o da citazioni di Fabio Volo. 
E la cosa divertente è che ci sono gli hashtag, che poi è il simbolino che ho sempre chiamato cancelletto e che nella tastiera del telefono non è mai servito a una sembola, se non per far quadrare il rettangolino coi numeri. Invece su twitter serve. All’inizio #nonCapisciDoveCazzoMetterlo ma poi #pazientementeImpari e inizi a usarlo #conCognizioneDiCausa, non come #stoFacendoIo, #perDire.
Tumblr
Non so molto di questo social network, antropologicamente parlando. Mi sono disiscritto dopo poco, quando ancora non avevo capito come si pronunciasse.
Instagram
Un social network che mi sta risultando sempre più palloso. I miei amici credono che sia drogato di questo, ma è solo perché mesi fa scrissi questo post. La realtà è che i veri drogati di instagram sono quelli che ogni mattina fotografano la loro colazione e ogni sera il loro aperitivo. 
Ecco di seguito la tipica home page di instagram di una giornata: brioscina – brioscina – tazza di caffè – brioscina – tazza di Starbucks – brioscina – bicchiere di spremuta d’arancia – brioscina – sveglia che indica le 10 a.m. – piedi nella sabbia – piedi nella sabbia – orizzonte sul mare – un coniglio (utente giovane che non ha capito come funziona) – insalata – pasta fredda – brioscina (questo s’è alzato tardi) – riso freddo – spaghetti – piedi sul mare – cielo sereno con sole – gelato – gelato – gelato – un coniglio (no, ancora non ci siamo) – cielo sereno con sole e monti e prati – cielo sereno con sole – cielo sereno con sole – cielo sereno con sole al tramonto – Mojito – Mojito – Mojito – Mojito – Mojito – Mojito – Mojito – Mojito – Mojito – Mojito – Mojito – Mojito – Mojito – Mojito – Mojito – Mojito – Mojito – Mojito – Mojito – Mojito – Mojito.
E arrivi alla conclusione che ti interessano solo le foto del coniglio.

Cose che amavo

( ma ora è finita )

– il Comic Sans

– il gelato al limone

Ti sento di Ligabue

– le scarpe con lo strappo

– passare i bigliettini alla compagna di banco del liceo per comunicare senza emettere suoni

– leggere Cip e Ciop

– torturare le formiche

– l’ápeiron di Anassimandro

– Coelho

– l’idea di vivere in costante viaggio

– te

Un mio amico parte per la Svezia

Qualche mese fa io e i miei amici siamo andati a ballare. Era un posto sperduto nella campagna pistoiese, in una località famosa principalmente per il tasso di analfabetismo più alto della Toscana e per le pittoresche attività di spaccio e criminalità che rendono la zona caratteristica. La cosa che vorrei menzionare è il bagno chimico messo a disposizione dei clienti della serata: un bagno chimico veramente eccitante, fornito dell’invenzione più utile che la tecnologia moderna ha partorito negli ultimi anni – forse per riscattarsi da boiate come lo spazzolino a energia solare o l’iPad. Ossia, il sistema di pulizia del bagno chimico consiste in un pedale che, se premuto, fa scorrere un rullo il quale trasporta i tuoi bisogni altrove.
Lo slogan di questo bagno chimico di ultima generazione era Con due colpi di pedale, l’igiene è totale. Ciò ha causato in me un senso che è un misto tra perplessità, disgusto e piacere semi-erotico, tant’è che ogni tanto, ancora oggi, mi diverto a ricordare questo simpatico motto con un mio amico. Chiameremo questo mio amico Lamberto, che è un nome di fantasia che ho scelto perché un po’ ricorda il vero nome del mio amico, e poi perché è anche il nome del tipo che Sabato sera non ha risposto alle mie avances. Così se vi capita di conoscere un tizio che di nome fa Lamberto, nel dubbio, pestategli un piede. Il sinistro, magari, che al destro ho già pensato io.
Lamberto fra pochi giorni parte per un Paese dove tutto è freddo e freddamente perfetto e perfettamente sottosopra: i treni arrivano in orario, per esempio, e ci sono talmente tanti biondi che sono i mori a essere considerati i più belli. Starà via per due anni, almeno, e poi chi lo sa: potrebbe trovare lavoro là a Biondolandia, oppure da un’altra parte ancora.
Lamberto è preoccupato, e sarei falso se scrivessi che non capisco le sue paure. Andrà a vivere da solo, in uno Stato lontanissimo e completamente diverso dall’Italia, con una nuova lingua da imparare e una cultura differente. Si allontanerà dai parenti e dagli amici che ha qui, e all’inizio non conoscerà nessuno. La voglia di realizzare i propri sogni si trasforma spesso nella pressione di dover tornare da vincitore, di non deludere nessuno.
Lamberto dovrà ricominciare e io mi rendo conto che è difficile farlo partire tranquillo. Però una cosa la so, l’ho pensata, capita e assorbita in questi giorni e gliela voglio dire qui, pubblicamente. Che a volte ricominciare è la cosa migliore che ti possa capitare. Che c’è una differenza enorme tra ricominciare e scappare, e la differenza sta nella motivazione con cui i tuoi occhi guardano all’orizzonte. Chiudere col passato e fare di tutto per evitarlo non è ricominciare: ricominciare è fare tesoro di quello che si è costruito, fare tesoro di quello che sei, e usarlo per raggiungere i tuoi obiettivi.
Lamberto parte per la Svezia e io mi accorgo solo alla fine del post che non lo sto scrivendo solo per lui, ma anche per me. Ricominciare non significa dare due colpi al pedale e aspettare che il rullo nasconda la merda. Quella merda c’è ancora, l’hai solo nascosta alla tua vista. Esci dal bagno chimico, che non è la soluzione, malediciti per la tua tendenza a trovare solo metafore che hanno a che fare con urine ed escrementi, e poi ricomincia a ballare. Caro Lamberto, ricominciare può essere straordinario.

La mia personale e discutibile opinione sugli skinny che mi sono comprato Martedì

Belli, eh, per carità. Mi stanno anche meglio di questi, per dire.
Tuttavia, mi sento di fare un promemoria: la prossima volta che compro un paio di pantaloni è meglio che mi assicuri di poterci svolgere alcune funzioni tutto sommato basilari.
Come ballare. 
Piegare le gambe. 
Sedersi.
Camminare.
Riuscire a toglierli.
Riuscire ad indossarli.
Ecco.

C’è posta per Tredici

Salve a tutti e bentornati alla rubrica di posta di questo blog, una rubrica che era partita qui e che poi si era subito fermata per evidenti problemi tecnici che sono consistiti nel fatto che nessuno mi ha mai scritto niente. Si vede che siete timidi, oppure che non confidate abbastanza nelle mie capacità di problem solving. Ma vi giuro che sono bravino: per esempio, qualche volta ho pure completato il sudoku.
Ma veniamo alla lettera di oggi. Chi mi scrive è una ragazza che esprime le proprie perplessità nei confronti delle nuove tecnologie e di come esse influenzano i rapporti sociali. Avete capito bene: stiamo parlando del cosiddetto Baccaglio 2.0.
Ciao Tredici,
ho 24 anni e proprio a causa di una recente esperienza che ho vissuto, volevo chiederti una cosa. Secondo te mandarsi messaggi privati e mettersi reciprocamente Mi piace nell’era di facebook significa flirtare? Ti ringrazio tanto, so che saprai illuminarmi.
dubbiosa88
Carissima dubbiosa88, innanzitutto ti ringrazio per la domanda, e capisci bene che è un ringraziamento particolarmente sentito, dato che sei la prima che mi scrive in due mesi. 
Veniamo al tuo dubbio. Devi sapere che i social network assolvono a due funzioni principali. La prima è quella del PUBE, ovverosia Patetico e Umano Bisogno di Esibizionismo, compito che viene anche espletato da Uomini e Donne o La vita in diretta, ma facebook è una maniera decisamente più rapida di un programma televisivo: in pochi secondi puoi sputtanarti con foto dal dubbio gusto e stati più o meno piagnucolosi, e contemporaneamente credere di essere un vero figo.
Ma la seconda funzione di facebook è il FFND, che sta per Flirt Facile e Non Dichiarato. I ragazzi di oggi, essendo dei completi pappamolla, non utilizzano più il caro vecchio approccio frontale, cioè quello che vai dalla tipa che ti garba e ci parli. No, perché i ragazzi di oggi non vogliono esporsi, ma vogliono rimanere col culetto parato e guai a loro se si fanno la bua o se ci passano male. A volte, i ragazzi di oggi sono ciò che in Toscana chiamiamo “fiette”, cioè ragazzine. Facebook torna utilissimo a queste fiette, che così possono provarci da dietro un monitor. E hanno diversi strumenti a disposizione per farlo, ma il più potente è proprio il Mi piace, che praticamente significa Voulez.vous coucher avec moi?
Quindi sì, cara dubbiosa88, ci sta provando. E ora scusami, vado a mettere qualche Mi piace.

Il balletto di prezzemolo gelato sammontana

Quando avevo quindici anni, ogni volta che un mio coetaneo iniziava un discorso con Ahhh, com’era bello quando… storcevo il naso (ora, non storcevo davvero il naso, anche perché questo modo di dire secondo cui una parte della protuberanza nasale dovrebbe modificare il proprio orientamento mi è estraneo alla pratica: come è possibile storcere realmente il naso? È evidente che mi riferisco ad una banale espressione di disappunto. Possiamo chiudere questa inutile parentesi, per favore? Grazie)
A quindici anni non si è credibili nel ricordare il passato. Ora che ne ho molti di più, invece, posso permettermi qualche esternazione nostalgica. Non troppe, altrimenti mi sento vecchio.
Insomma qualche giorno fa io ed alcuni miei amici eravamo in pieno momento revival, e ci divertivamo a canticchiare i jingle delle pubblicità degli anni 90. Sì, ho degli amici molto tristi. Ma io lo sono di più, perché ho tirato fuori una canzoncina che nessuno si ricordava, che vi voglio riproporre qui di seguito:
È il jingle dello spot del gelato di Prezzemolo, che è quel coso verde che c’è pure a Gardaland, per dire. Non sto qui a farvi notare l’incredibile difficoltà tecnica di questa canzone, come non sto a sottolineare l’esecuzione brillante della cantante e del coro annesso (ma sentiteli quando fanno MH, MHMH alla fine della strofa! ♥): quello che invece voglio dire è anche quello che ho rievocato ai miei amici:

Sììì, che poi c’era anche il balletto da fare con le mani!!! – ho detto io, con tanti punti esclamativi e la voce rotta dall’emozione.

La mia osservazione è stata accolta dal gelo. Poi qualcuno, timidamente, ha osato un Ale, stai bene?; si sono diffuse risatine imbarazzate, finché poi qualcun altro, più impavido, mi ha dato del drogato.

Ma io non ci sto. Non mi ricordo più l’affascinante coreografia ufficiosa collegata allo spot, ma una delle verità più importanti della Terra 2.0 è che se una cosa è avvenuta, esiste un video su YouTube che la testimonia.

E io l’ho trovato. E adesso, ladies and gentlemen, mi accingo a presentarvelo, e lo faccio con un’introduzione sanremese. Di Prezzemolo, Tinky Winky, Prezzemolo, “Il gelato Sammontana”. Dirige l’orchestra dei decerebrati, canta: un gruppo di idioti.

Si spalanchino i cieli

e si aprano gli oceani, si sciolgano i ghiacciai e crollino le montagne, si scuotano le foreste e tutte le foglie di tutte le piante di questo mondo, i leoni ruggiscano, i cavalli nitriscano, gli uccelli cinguettino, i cani abbaino, i gatti miagolino, i lupi ululi… ulul… ulunin… vabbè, i galli cantino al mattino, gli usignoli cantino la notte, le rane gracidino la sera, e a mezzogiorno gracidi pure anche la Clerici, come al solito insomma, giochino i bambini, si divertano, ridano, urlino di gioia e d’amore e di tante cose belle, suonino le campane, squillino le trombe, rullino i tamburi, rollino i drogati, e i cuochi cucinino, i sarti tessano, i medici curino, i suonatori suonino, i politici non facciano un cazzo come sempre, e i nuotatori nuotino, i corridori corrano, i calciatori scommettano, gli schermidori schermisc… scherm… schern… bravissimi, gli schermidori, eh, dicevo degli sciatori, gli sciatori sciino, i ciclisti pedalino, i pallavolisti schiaccino, facciano muro, Mila, tua, ATTACK!, aaaaaltra schiacciata vincente della Hazuki il pubblico è in delirio, e i mari s’innalzino, i vulcani eruttino, le tempeste si scatenino, gli uragani distruggano, fieeeesta: here we go, ale ale ale, go go go, ale ale ale, arriba va, el mundo esta de pie, go go go, ale ale ale, e l’Apocalisse arresti il suo passo e cominci a indietreggiare, e le sventure e i mali di questo mondo fuggano via, e tutto ciò che è vivo gioisca e si rallegri e faccia festa per un mese intero,
perché io, Ale, ho passato Reti dei Calcolatori.