Uh-oho oh oh oh ih-ehe eh eh eh

Ora, io capisco che siate tutti un po’ confusi. Il caldo dà alla testa, e Scipione, Caronte o qualche altro personaggio mitologico-letterario bruciano i vostri neuroni più che se metteste il cervello in un forno a microonde. E da rincretiniti le uniche cose che riuscite ad apprezzare sono le sillabe.
Tuttavia, il seguente estratto delle statistiche del mio blog mi fanno pensare che stiate un po’ esagerando. Queste sono le chiavi di ricerca usate per raggiungere Zucchero Sintattico. E faccio presente che queste sono solo quelle di ieri, non vi dico cosa avete cercato i giorni scorsi.
È tutta colpa di questo post. 
Ed è chiaro che è necessario un po’ di ordine, perché non tutti venite qua per cercare What’ll I Do di Lisa Hannigan, che per farla breve è quella che fa oh oh oh oh eh eh ah ah eh eh.

Perché c’è un’altra canzone che va molto in questi giorni, e secondo me è anche quella che tutti cercate. È la sigla degli europei e si chiama Endless Summer e la canta Oceana. Tra parentesi, è stato indetto un concorso per capire la corretta pronuncia del nome “Oceana”, visto che alla radio lo dicono tutti in una maniera diversa. Io opto per Oceàna, così come si scrive, che suona tipo Silvana, che mi fa immaginare una signorotta piuttosto grassa davanti a un pentolone che cucina la minestra. Ad ogni modo, Endless Summer non fa oh oh oh oh eh eh ah ah eh eh, bensì uh-oho oh oh oh ih-ehe eh eh eh.


Che è una differenza sostanziale, insomma.

Googlate responsabilmente. 

Del cliché in cui lei si sveglia e lui non c’è

On air: Kasabian,
Parliamone, okay? Dunque, prendete una qualsiasi commedia romantica all’americana o una qualsiasi fiction idiota della Rai. Sono certo che a un certo punto della storia i due innamorati si ritroveranno a cena insieme, poi scherzeranno e rideranno, e poi improvvisamente si guarderanno negli occhi, e il loro sorriso scemerà gradualmente, fino a scomparire e rivelare un’espressione schifosamente languida. Poi si baceranno, e dopo il bacio i due si ritroveranno a casa di lei a spogliarsi intanto che una canzone romantica di sottofondo è costretta a coprire quei rumori imbarazzanti tipo stic slac frush frush flap sdeng ahia! che se si sentissero rovinerebbero tutta la magia del momento e impedirebbero alle signore di commuoversi e alle ragazze di postare la scena su facebook.
Poi che succede? Che i due si addormentano. E al mattino lei si sveglia col sorriso, si volta (perché è sempre su un fianco. Ma dormono tutte così in America?!) e scopre l’altra metà del letto vuota. 
Ecco, ora dico: MA NON L’HAI SENTITO MENTRE ANDAVA VIA?
Analizziamo la cosa: lui si sveglia e deve, come minimo: 1) raccogliere i suoi vestiti, 2) indossarli, 3) darsi una sciacquata al viso, magari. A volte trova il tempo di lasciarle perfino uno squallido biglietto. Ma avete idea di quanto casino si possa fare per questi tre punti?! Quindi o lui è un guerriero ninja o lei ha un sonno così pesante che non la sveglia neanche < contest: trovate voi come finire la frase, io sono a corto di metafore >.
A me una volta è capitato, comunque.
Mi sono svegliato, e dovevo andare all’università. Così mi sono alzato, ho mangiato qualcosa, ho fatto una doccia, asciugato i capelli, lavato i denti, rivestito, e sono tornato di là. E dormiva ancora. Uff. Stavo quasi per andarmene quando ho pensato che forse avrebbe preferito che lo salutassi.
“Ehi, ciao. Vado all’uni.”
Mi ha mandato a cagare. Beh, forse ha fatto bene.

I colori sono tanti, milioni di milioni

( ascoltatela, vi prego. Merita )
Sì, dai. Pensate all’arcobaleno, e alle canzoncine che vi cantavano le maestre dell’asilo: rosso arancione giallo verde azzurro indaco e violettoooo! Siamo già a sette colori. Ma capite bene che sono solo alcuni di tutti quelli che si possono creare mescolando insieme le tinte primarie. Tantissimi colori, tantissime sfumature, così tante che se chiudi gli occhi e poi li riapri trovi una tonalità diversa. Abbiamo un mondo pieno di colori, e potremmo usarli tutti per dipingere tante cose belle e felici e vivere in pace e armonia tra noi e tutte le creaturine della Terra e gli angeli e gli unicorni.
Ecco.
Quindi, riassumendo: tantissimi colori.
Se vogliamo essere rigorosi, il Pantone ne cataloga tremilacentoquarantaquattro.
Ora, ho un quesito.
Perché, avendo un minimo di TREMILACENTOQUARANTAQUATTRO colori a disposizione, la mia famiglia ne ha DUE per gli spazzolini da denti di QUATTRO persone?

Il pugno e il cuore

Scrivere di notte è più facile, per me. Il silenzio alimenta l’impressione che tutto il mondo stia dormendo, e questa illusione che nessuno sia vivo o in grado di leggermi mi rende più sincero e, in qualche modo, più genuino.
Parlavo di fisiognomica con Giuli, prima. Mi diceva che qualche anno fa si credeva che alle dimensioni degli organi fossero associate delle malattie mentali. Tipo alla mano, infatti esisteva una specie di guanto per misurarne la grandezza. 
“Ma è vero che il cuore di una persona è grosso quanto il suo pugno?”
È verino, ha detto Giuli. Che se ne intende, visto che studia medicina. E infatti mi guardo il pugno, e ciò che vedo non è altro che la conferma di una verità che conosco da parecchio tempo e che ormai posso ammettere senza rimanerci nemmeno troppo male: e cioè che ho un cuore minuscolo.
Mi guardo il pugno, e mi fermo a cercare di capire a chi è dedicato il suo corrispettivo pulsante che ho nel petto. Sicuramente una parte ai miei amici e alla mia famiglia. Non sono così tanto egoista da non dar loro una fetta del mio cuore. Alla mia sorellina, a mamma e papà, e poi a tutti i miei amici: quelli più colorati, ma anche quelli orgogliosamente grigi, quelli che pompano nelle casse e quelli con cui la mia anima si diverte a cozzare. 
E poi c’è tutto un altro pezzo di cuore, un pezzo enorme, forse metà o anche di più; c’è tutto questo pezzo di cuore che è solo mio, è dedicato solo a me. Alle mie cose, ai miei sogni, alla vita che ho costruito. Roba mia, solo mia. Forse troppo mia.
Perché forse non è giusto. Perché forse gli altri lo sentono pulsare questo pezzo del mio cuore, ma lo sentono che è inaccessibile, che loro non possono entrare. E allora mi domando a cosa serva essere forti, e a cosa serva avere una parte di sé a prova di ogni attacco nemico, e a cosa serva possedere un cuore… se si è così egoisti da non poterlo condividere con nessuno.
Forse è per questo che il mio cuore è minuscolo.

La suoneria del mio cellulare

Volevo rendere noto alla popolazione tutta che ho finalmente cambiato suoneria al mio cellulare. 
Tra l’altro ho faticato sette camicie (con la i, sennò è camice, che è quell’indumento bianco che usano i medici per non sporcarsi i vestiti mentre vi operano alle emorroidi) perché chiaramente il jingle che volevo  non era presente tra le opzioni del mio telefono, e nemmeno su YouTube. Mi sono dovuto scaricare una puntata di un programma, estrarre l’audio e ritagliare il pezzettino che mi serviva.
Et voilà. Cotto, e suonato.

Sigla I menù di Benedetta Parodi

Ecco. Adesso non vedo l’ora di dimenticare di mettere il silenzioso durante un esame, o in sala d’attesa dal medico, o ad un funerale.

Venerdì 13 // Jenny from the block

Siamo già al quinto appuntamento con Venerdì 13, la rubrica condivisa tra Zucchero Sintattico e Trashipirina che ogni Venerdì ci svela i segreti dei video delle star. A proposito di star, oggi parliamo di una cantante barra attrice barra ballerina. Quante cose, eh? Non vi sta già deliziosamente sul culo? E dire che lei di culi se ne intende, visto che ne ha uno che pare una baleniera.
Jennifer Lopez nasce nel luglio del 1969 da una famiglia di origini portoricane che ha il buon gusto di fornirle un nome estremamente musicale, come se già i genitori sapessero che avrebbe dovuto scalare le classifiche mondiali. Scalarle con un nome come il suo è più semplice. Io non posso fare altrettanto, per esempio, visto che di Alessandro Bianchi ce ne sono a centinaia, e uno frequentava pure la mia palestra.
Bene, ora che ho fatto il piantino posso continuare.
Jennifer Lopez nasce a Castle Hill, un quartiere del Bronx di New York con un tasso di criminalità piuttosto elevato. Nel senso che la nostra JLo sarebbe potuta diventare benissimo una prostituta eroinomane che passa i sabati a svaligiare gli appartamenti di Manhattan per avere i soldi per la droga, e invece ce la troviamo su MTV a cantarci la lambada. Com’è ingiusto il mondo, eh?
Nel 2002 ha la voglia di comunicare al mondo che no, il successo non l’ha mica cambiata, che certo che lei è la stessa ragazza di prima, acqua e sapone, che lei si ricorda da dove viene, eh, perché lei è ancora la Jenny, “Jenny del quartiere”, la Jenny from the block.

Ora, la cosa curiosa è che lo fa con un video in cui sembra tutto fuorché la Jenny del quartiere. Quello che noi vediamo, in effetti, è una Jennifer Lopez che balla indossando una pelliccia ricavata sicuramente dopo aver scuoiato un orso polare. Non solo, ma la vediamo in compagnia del suo fidanzato di allora, Ben Affleck – anche lui ragazzo del quartiere infatti è uno strapagato attore hollywoodiano – prima su uno yatch e poi su una decappottabile.

Sì, JLo, ti adoriamo, lo sai. Ma il block, la prossima volta, tiratelo in testa. Di cemento.
Don’t be fooled by the rocks that I got
I’m still, I’m still Jenny from the block
Used to have a little, now I have a lot
No matter where I go
I know where I came from

Sto diventando irritante con questa storia della grammatica

On air: Ladytron, 
Esempio #1
Stanotte ho sognato che accoltellavo uno perché sbagliava a usare piuttosto, che vorrei ricordare significa invece, e non oppure. È di vitale importanza, se vi sto sognando. O se un celiaco vi sta chiedendo il riso piuttosto che la pasta.
Esempio #2
Ero in treno con dei miei amici. Avevo bevuto un pochino, e le rare volte in cui l’alcool mi fa effetto non riesco più a controllarmi. Solo che invece di spaccare tutto e mandare messaggi agli ex come fa qualsiasi ubriaco normale, io mi sono messo a spiegare quando ci vuole la i in parole come ciliegie o schegge. 
Lo so, sono un dito in culo.
( che al plurale è dita in culo, non diti. Grazie )

Le scuole medie

Dei diversi gradi di istruzione, quello di cui ho il peggior ricordo sono senz’altro le scuole medie. Per quanto mi riguarda sono stati un’esperienza orribile che non tengo affatto nel cuore. È un ricordo a cui riservo un posto speciale della memoria, quello dove si mettono tutte le bruttezze che però servono a crescere.
Non sono un esperto di psicologia, ma non credo di scrivere grandi fesserie se dico che le medie sono il primo momento in cui un bambino si accorge che esistono queste cose poco piacevoli chiamate problemi. Si diventa adolescenti, i maschietti si allontanano da Action Man e le femminucce dalle Barbie, e entrambi scoprono nuovi entusiasmanti interessi, come… ehm, la Playstation. O Leonardo Di Caprio in Titanic.
Odio quel periodo. Stavo così bene alle elementari, dove anche i voti sembravano più simpatici, e io prendevo sempre Bravissimo con due righe e un punto esclamativo e mi sembrava che la vita non potesse essere più bella. E invece mi ritrovavo lì, a dovermi addirittura impegnare per guadagnare quelle valutazioni così fredde tipo Distinto, e c’era da dare del lei ai professori, e c’era da giocare a basket o pallavolo preoccupandosi di essere bravi, perché altrimenti gli altri ti prendevano in giro.
E poi c’erano i miei compagni di classe. Tolto quel gruppetto che ancora mi saluta e a cui voglio bene, il resto consisteva in ragazzini crudeli che si divertivano sulle mie paure e sulle mie patologiche incapacità di relazionarmi. Ragazzini che crescendo non hanno aggiunto niente all’involucro che erano allora. Vuoti erano e vuoti sono rimasti.
Non credo di essere il solo ad aver provato queste sensazioni, e non credo nemmeno che siano ciò che di peggio si può provare: di certo ci sono esperienze ancora più brutte. Come ho detto, si tratta della prima volta in cui ti viene il dubbio che la vita non sarà facile e sarà piena di cose che fanno schifo e anche di cose per cui nessuno riuscirà a farti trattenere le lacrime, ed è lì che inizi a maturare la convinzione che non hai alternative a quella di andare avanti senza farsi uccidere. 
E rimani con una manciata di motivi per cui vale la pena, e con una consolazione: ciò che non uccide ti rende più forte. Io, per esempio, non sono ancora morto. E infatti sono forte, da morire.

Non sto guardando la partita

Non sto guardando la partita.
Ebbene sì: l’Italia, proprio in questo momento, è silenziosa come la bocca di Madonna mentre canta in playback, o come Andreotti di fronte ai magistrati, o come la foresta amazzonica dei proverbi, quella in cui cade sempre un albero e nessuno può sentire che rumore fa questo cazzo di albero che cade – che poi dico: è un albero che cade, vedrai un pochetto di rumore lo farà, a idea, eh.
L’Italia è silenziosa, e l’unico debole ticchettio proviene da me che batto le dita sulla tastiera.
Non sto guardando la partita. 
Non è per desiderio di anticonformismo, ci mancherebbe. Anzi, mi piace fare le cose mainstream, se sono cose mainstream che mi piacciono. Tipo mangiare dal McDonald, modificare le foto con Instagram, dire che è caldo.
Non sto guardando la partita. 
E vi dirò di più: della partita non me ne frega proprio una beata straminchia (ops, scusate, talvolta mi escono le parole in francese e non me ne rendo conto), ma non ho niente contro chi la guarda, ci mancherebbe altro, anzi guardatela pure. Però mi sento così solo ._. 
( chiedo perdono per questo post del tutto inutile e privo di qualsivoglia morale. 
È che non so che fare, abbiate pazienza. Magari vado a farmi la doccia, che puzzo )

Oh oh oh oh eh eh ah ah ah eh eh

Quando sei in macchina e ascolti la radio, può capitare che senti una canzone che ti piace ma di cui non conosci il titolo. Se fai un po’ di attenzione a non sfracellarti contro un palo, puoi avviare Shazam dal cellulare, o ancora meglio SoundHound, che ti registra il suono e poi quando trova una connessione ad Internet te lo ricerca nel database.
Ebbene, ieri ero in macchina con Ciuffo e abbiamo sentito una canzone. La danno spesso in radio, tant’è che l’avevo già sentita, ma non sapevo il titolo. È quella che fa oh oh oh oh eh eh ah ah ah eh eh. Se pensate che non sia un’informazione sufficiente per capire che canzone sia, proseguite nella lettura.
Uhhh, qual deliziuosa canzuoncina! Sai per caso chi sia la giovinciuella che la canta?

Mi duole ammettere che non mi appartiene una tale informazione.

Oh, acciderbolina, ma non temere, che avvio SoundHound!
Ma nemmeno SoundHound è riuscito a capire che canzone fosse. Stamani mi sveglio, e la prima cosa che faccio è avviare Shazam e provare a cantargli il motivetto. Mia sorella mi deve aver preso per idiota, visto che cantavo a un cellulare. Ma niente.
E allora mi sono detto: cosa faccio quando non conosco una canzone? Googlo il testo. Ora, il problemino era che in questo caso il testo era una serie di sillabe equivoche e io non mi volevo ritrovare nel porno della Contessa De Blanck. Alla fine decido di rischiare.
La verità è che qualsiasi domanda tu possa avere, qualcuno l’ha già avuta prima di te. E l’ha postata su Yahoo Answer. Ed è così che io ho ottenuto la mia canzone, e me la sto ascoltando da dieci ore consecutive. Oh oh oh oh eh eh ah ah ah eh eh oh oh oh oh eh eeeeeh!
Lisa Hannigan
What’ll I do