Seguire l’istinto

On air: Oh Land, Wolf and I
Seguire l’istinto è una di quelle cose che vanno fatte senza dirlo ad alta voce. Un po’ come la beneficenza, che va fatta senza dirlo – e va pure scritta senza i, questo lo aggiungo io per conferire al post un delizioso elemento didattico.
Mi hanno sempre fatto un po’ ridere quelli che affermano di seguire l’istinto sempre e comunque. Non so come mai, immagino perché sia una di quelle frasi che si sentono sempre dire ad Amici di Maria De Filippi, insieme a Fai quello che ti dice il cuore, e Ho la musica nel sangue, e Maria, la Celentano è una zoccola. Non so, trovo queste frasi un po’ false, un po’ esageratamente melodrammatiche, ma forse è un problema mio.
Ma poi è proprio vero che bisogna seguire l’istinto sempre? Non capita mai a nessuno di seguire l’istinto e di rimanerci fregati? Proprio mai mai? Sicuri? Vorrei portare come argomentazione un pratico aneddoto che ho vissuto in prima persona.
Giocavo a Lupus in tabula con i miei amici. Se non sapete cos’è Lupus in tabula, vi basti sapere che è uno di quei giochi che rovinano le amicizie, tipo Monopoli o lo strip poker. Praticamente si gioca in tanti, ognuno pesca una carta che tiene solo per sé, e sulla carta c’è scritto se sei un contadino o un lupo, e i contadini devono scoprire chi sono i lupi prima che i lupi li uccidano tutti.
Succede che io ero un contadino, ed era l’ultimo turno. C’erano due sospettati di essere lupi: Michele e Matteo. Il mio voto era l’ultimo, ed era decisivo: potevo scegliere di impiccare uno dei due, e se avessi fatto la scelta giusta avrebbero vinto i contadini, ma se avessi sbagliato avrei perso. 
Avevo fatto un po’ di conti, e secondo i miei calcoli Matteo doveva essere il lupo. Eppure c’era una vocina che mi suggeriva che il lupo era Michele, non Matteo. Senza un motivo razionale, eh. Così, una sensazione. Mi trovavo a dover decidere. Dissi:
“La logica mi dice Matteo, ma l’istinto mi dice Michele”

Faccio una pausa tattica. Tutti pendevano dalle mie labbra. Un bel momento, devo dire, mi sentivo molto protagonista.
“Seguo l’istinto. Per me il lupo è Michele”

Ed è così che ho perso. Il lupo era davvero Matteo. Sequela abbastanza movimentata di moccoli e ingiurie. I miei calcoli erano esatti. Istinto una sega.

Venerdì 13 // Look at me

Eccoci al quarto appuntamento con la rubrica che tengo contemporaneamente su Zucchero Sintattico e Trashipirina (un blog che vi consiglio di leggere se vi piace un commento arguto sul mondo del gossip e del trash). 
Ve le ricordate le Spice Girls? Ma certo che le ricordate. So che avete segretamente pianto quando si sono sciolte. So che siete corsi a chiudervi in bagno, guardare il vostro riflesso nello specchio e sussurragli, con in volto la determinazione di chi non si arrende: “Non è finita. Andremo avanti senza di loro”. No? Non l’avete fatto anche voi?
Ehm, andiamo avanti. 
La prima a lasciare il gruppo è stata Geri Halliwell, ed è del suo abbandono che vorrei parlare oggi. Corre voce, una voce mai smentita, che negli ultimi mesi del 1997 la Halliwell si contendesse la leadership del gruppo contro Melanie B. Prima di proseguire nel racconto vorrei che spendeste qualche minuto a immaginarvele tutte e cinque mentre si mordicchiano e si strappano i capelli ed extension.
Succede che nel 1998 Geri non prende parte alle ultime due tappe dello Spiceworld Tour. Le sue candide compagne giustificano la sua assenza dicendo che ha preso la gastroenterite. Cioè diarrea, vomito e crampi addominali. Che troie, eh? Il 31 Maggio dello stesso anno Geri Halliwell annuncia ufficialmente il suo abbandono e dichiara alla stampa:

Purtroppo devo confermare che ho lasciato le Spice Girls perché c’erano troppe differenze tra di noi. Sono sicura che il gruppo continuerà ad avere successo e auguro loro tutto il meglio

mentre in realtà sta pensando:

Quelle quattro puttBIIIP me la pagheranno cara. Senza di me non sono una seBIIIP. Spero di trovare quella zocBIIIP di Victoria a battere insieme ai viados e alle Melanie, che poi è un nome di meBIIIP e noi nel gruppo ne avevamo due, mica una sola. E dell’altra figliola lobotomizzata non me ne importa un emerito caBIIIP, ricoveratela

Comunque sia, l’abbandono di Geri è una pagina importante di quel periodo del mondo spettacolo. Le azioni della casa discografica EMI crollano, la notizia fa il giro del mondo. Le Spice superstiti sono costrette a riorganizzarsi in altri modi, cercano eventuali sostitute di Ginger ottenendo solo picche.

Nel frattempo, anche Geri si sta preparando. Un anno dopo, nel maggio 1999 esce il suo primo singolo da solista, Look at me. Nel video si vede un carro funebre che trasporta la bara di Ginger, come a sottolineare la separazione definitiva dalle Spice Girls. Ginger è morta, Geri è appena tornata.

Look at me
you can take it all because this face is free
maybe next time use your eyes and look at me
I’m a drama queen if that’s your thing baby
I can even do reality

La prostituta e i miei pensieri

On air: Shevaree, Goodnight Moon
12 Giugno
ore 22:24
Okay, la situazione è assurda. Sono in un parcheggio che aspetto un’amica e a dieci metri da me c’è una prostituta che per difendersi dal freddo sta ballando. 
È tutto buio qui, e tira un sacco di vento, e nonostante sia Giugno fuori dalla macchina non è per niente caldo. È proprio buio. Beh, sì, è notte, anche se non dovrei ripetermelo perché effettivamente tutto questo ha un che di inquietante e io in queste situazioni sono davvero bravissimo ad autospaventarmi.
Balla pure male.
Quasi quasi scrivo a qualcuno dove sono. Nel caso venissi squartato dalle prostitute, per dire. Che ne so perché dovrebbero arrabbiarsi. Forse sto invadendo il loro territorio, forse hanno anche loro un codice, un codice che devi essere una prostituta per conoscerlo, che magari quando diventi prostituta devi giurare su questo codice eterna fedeltà alla sacra prostituzione, non lo so magari questo codice dice che solo le prostitute e i clienti delle prostitute possono stare qua, proprio dove sto io. 
Oddio, e se mi uccide?
Se fossi una prostituta terrei sempre un’arma a portata di mano, per i clienti più aggressivi, dico. Chessò, un coltellino tra le tette. Nel caso specifico credo che c’entrerebbe un’intero cassetto di posat ODDIO STA ARRIVANDO UNA MACCHINA! Anzi, no, due, due macchine! Il tizio che guida la prima sta parlando con la prostituta. Che si diranno? Riguarda me? Mi sa che stanno contrattando sul prezzo.
La prima macchina va via. Ora anche la seconda. Acc, gli è andata male. Deve essere una di quelle prostitute molto costose. Una per clienti esigenti, dico. Effettivamente ha un vestito leopardato molto succinto. Dio Santo, mi sa che mi ha notato. Eh certo, Ale, anche te che tieni il cellulare acceso, l’avrà attirata lo schermo luminoso.
Mi guarda.
Le devo fare ciao? Dio, ma cosa dico. Poi metti caso che viene qua, col coltellino e tutto. Faccio finta di non vederla, ho deciso. 
Mi guarda.
Non so come mai, ma mi sento una merda. 
Mi dispiace. Davvero, dico.

Del mio pregiudizio sui calciatori

Riassunto. 
Ieri quell’idiota di Alessandro Cecchi Paone ha affermato che nella Nazionale di calcio ci sono due omosessuali, un bisessuale, tre metrosessuali e a questo punto aggiungerei anche un marziano, una dozzina di ramarri e un uovo.
Ora, un branco di giornalisti dementi, a cui evidentemente non basta triturarci i coglioni parlandoci solo di calcio per tutto Giugno, ha la sfavillante idea di chiedere un parere a Gennaro Cassan… No, com’è che si chiama? Salvator… No, Rosario? Ah, Antonio! Dicevo, chiedere un parere ad Antonio Cassano, e permettersi pure di ridere sguaiatamente quando lui va ad esternare il proprio, illuminante, pensiero:
“Froci in Nazionale? Speriamo di no!”
Grandioso, no? Ora, non vorrei fare un post su Cassano e su cosa penso di questo fatto perché sarebbe veramente una perdita di tempo e poi nelle ultime ore chiunque ha espresso la propria opinione in merito. Credo che due stronzate di Cassano abbiano fatto parlare di gay più di quanto ha fatto il Pride di Sabato scorso – tanto per capire come funziona il giornalismo italiano. Mi chiedo solo se qualcuno l’abbia mai chiamato terrone e se questo gli abbia fatto piacere.
Comunque, questa vicenda mi ha fatto pensare che io sono un po’ come Cassano. Anche io ho i miei pregiudizi contro alcune categorie di persone. Per quanto sappia che esistono le eccezioni, pure io ho dei pregiudizi. I politici, ad esempio. Quelli che scrivono con la k. Quelli che hanno il SUV. E poi i calciatori.
Sì, non ci posso fare niente. Sono una persona che odia generalizzare, ma quando si tratta di calciatori lo faccio. Penso che siano del tutto stupidi. Ignoranti. Idolatrati ingiustamente. Straricchi immeritatamente, perché hanno la fortuna di vivere in un Paese che pende dalle labbra di uno sport. Buzzurri. Privi di qualsiasi abilità intellettuale. Ignoranti. Ah, l’avevo già detto “ignoranti”? Incapaci. Inetti. Col culo di sapere dare due calcetti a un pallone e basta. Cretini. Cerebralmente sottosviluppati. Stronzi e disonesti, perché fanno pure le scommesse. Ignoran… Okay, l’ho già detto, lo so.
Ed è per questo che, se qualcuno mi chiedesse qualcosa riguardo alle persone che frequento, probabilmente esibirei uno sguardo da spaccone e direi:
“Calciatori tra i miei amici? Speriamo di no!”

La sfiga è furba

On air: Jessie J, Who’s laughing now
Eventi numerati in ordine cronologico:

1)   Devo fare una relazione per il mio corso di Audio Digitale. Ora, si dà il caso che in biblioteca non ho trovato molte informazioni, e anche su internet si trovano documenti o troppo generici o troppo tecnici

2)   Qualche giorno fa, dopo una perlustrazione minuziosa di tutto il web, riesco a trovare una ricerca che sembra fare al caso mio. È una ricerca che sta in rete dal 2000, e non viene aggiornata, modificata o cancellata dal 2000. Cioè da 12 anni. Dodici
3)   Ieri la suddetta ricerca viene rimossa dal web
Ora, io non sono nato ieri: sono perfettamente a conoscenza del disegno cosmico che l’universo ha progettato per rompermi le palle. E mi dispiace per l’universo, che riconosco essere davvero fantasioso nel trovare ogni volta un nuovo modo per architettare disastri nella mia vita, ma in tutti questi anni io ho maturato una certa esperienza nel settore.
2 e ½)   Io avevo salvato la ricerca su un file del pc.
La sfiga è furba, ma io sono scaltro. 
Puppamela.

Orgoglio

La Trilogia del Giallo – epilogo

“No, dai, Elisa, scattamene un’altra, in questa sembro cretino”
“Sai, Ale: sei giallo”
Mia sorella non ha tutti i torti. Sono effettivamente giallo. Sono sei i colori della bandiera rainbow, e sei siamo noi che abbiamo deciso di andare al Pride di Bologna vestiti ognuno di un colore diverso. E tra sei colori, cosa mi sono scelto io? Il giallo, appunto. 
Che non è solo il colore dell’ittero o dell’urina, tanto per dire le prime due cose che mi vengono in mente. No, perché è anche il colore di frutti innocenti come il limone, o la banana. C’è da impegnarsi un mucchio per trovare un doppiosenso, insomma. Il colore di Titti, di Spongebob. E di Pikachu, quel coglione. 
E poi sì, c’è tutta quella sequela di cose gialle e terribilmente romantico-pittoresche, tipo le stelle, e il sole, e i capelli di Marilyn, e i daffodils di William Wordsworth che non ho ancora capito che fiori sono in italiano, ma sempre gialli sono. 
Non so se mi sento molto giallo, in questo periodo. Però una cosa in cui ho sempre creduto è che all’inizio bisogna un po’ sforzarsi a vestire il colore che vorresti, prima che il tessuto aderisca completamente alla tua pelle e diventi tuo davvero. E chi lo sa che essere giallo fuori non sia un inizio per diventare giallo dentro
“Se domani piove, ci sarai tu ad illuminare tutti”
“Da come lo dici, non sembra tanto un complimento”
“Infatti. Sembri proprio scemo!”
E qualcosa, a giudicare dalla foto migliore che ha scattato, mi dice che mia sorella non ha tutti i torti:
( trovi qui il capitolo 1 della trilogia,
qui il capitolo 2,
e qui il capitolo 3. E questa era la FINE,
spero che siate stati bene )

Venerdì 13 // Rehab

Buongiorno a tutti, questo è già il terzo appuntamento di Venerdì 13 che tengo su Trashipirina. A differenza dalle scorse volte, tuttavia, oggi sarò relativamente breve: la storia che sta dietro la canzone di cui vorrei parlare è già così popolare che non c’è bisogno di tante manfrine.
Credo che tutti conosciate quello che chiamerei il piccolo problema di Amy Winehouse. No, non il fatto che è morta. Mi riferisco chiaramente all’alcool e alla droga. Rehab è una di quelle canzoni che parlano davvero dell’artista che le interpreta: c’è lei che dice no, no, no al centro di riabilitazione (rehab-ilitation center) per disintossicarsi dall’alcool. Perché si è rifiutata ce lo spiega direttamente Amy Winehouse sul Sun:

« Ho chiesto a mio padre se pensava che ne avessi bisogno. Ha detto “No, ma dovresti provarci”. Quindi l’ho fatto, solo per 15 minuti. Ho detto “ciao” e ho spiegato che bevo perché sono innamorata e ho rovinato la mia relazione. Poi sono uscita »

Per oggi la concluderei qua. Sono proprio curioso di leggere tanti commenti acuti e/o moralisti sul fatto che sia assolutamente sbagliato bere per amore. Penso che li leggerò mentre ascolterò questa canzone straordinaria.
The man said ‘why do you think you here’ 
I said ‘I got no idea 
I’m gonna, I’m gonna lose my baby 
so I always keep a bottle near’ 
He said ‘I just think your depressed, 
this me, yeah baby, and the rest’ 

La Trilogia del Giallo – capitolo 3

Tre Gialli a Homer Simpson che bere birra suole,
Sette a Will Smith che però è un Uomo in Nero,
Nove a Lady Gaga a cui vestirsi strana non duole,
Uno per Tredici, che sono io, per davvero!
Nella Terra di Bologna, perché il Pride lo vuole.
Un Giallo per domarli, un Giallo per trovarli,
Un Giallo per ghermirli e nel buio incatenarli.
Nella Terra di Bologna, perché il Pride li vuole.

( trovi qui il capitolo 1 della trilogia
e qui il capitolo 2
e qui il capitolo 2 e mezzo
e qui il capitolo 2 e qualcosa quasi 3 vi giuro )
Lo so che tutti lo stavate aspettando. Lo so che non riuscivate a lavorare, a studiare, forse neppure a mangiare o dormire, a causa dell’attesa per questo terzo capitolo finale. Lo so che rispondevate Giallo ad ogni domanda che vi veniva posta, un lapsus che Freud interpreterebbe come chiari sintomi di disturbi sessuali ma che io interpreto in un modo solo: volete sapere come va a finire.

Ebbene, i vostri punti interrogativi stanno per ottenere delle risposte. Non tutte, probabilmente, ma lo dico solo perché a me piacciono i finali aperti – tranne quello di Donnie Darko, che è totalmente incomprensibile ed è aperto solo perché l’autore non sapeva come farlo finire.

Comunque, vi ricordate? Il nostro eroe Tredici aveva conquistato i sacri pantaloncini gialli e la sacra maglietta gialla. Mancava solo un accessorio per completare la triade gialla: i calzari. La sfida più difficile, in realtà, e proprio per questo tutti volevano dare la loro opinione: parenti, amici, conoscenti, e anche persone mai viste prima. Ieri mi ha telefonato un tipo che con accento pugliese mi informa che al mercato di Barletta vendono delle Converse tarocche gialle a poco prezzo. Lunedì la cuoca della mensa mi chiede se voglio il formaggio sulla pasta e se porto il 39. “Perché mio nipote te le può prestare!”. Interviene anche la tizia in fila dietro di me, aggiungendo che se avessi voluto avrebbe volentieri spiumato il suo pappagallo Gigione per fornirmi il materiale per tessermi le scarpe da solo.

La mia idea era molto meno aggressiva: comprare delle scarpe bianche alla Stefan (5,80 euro, praticamente regalate) e usare la Coloreria Italiana. Ma mia madre si oppone, perché dice che la lavatrice non sarebbe stata più la stessa. Mamma, è una lavatrice, mica una deportata ebrea. Ma la cara donna non voleva sentire storie.

Stavo già rivalutando l’ipotesi Gigione, quando quel genio incompreso di mia sorella se ne esce con la parola “spray”. Ora dovrei fare una parentesi per enucleare tutti i pregi di mia sorella, ma penso che la salterò, sarebbe troppo breve e inutile e soprattutto non vedo l’ora di sentire mamma a cena brontolarmi che non devi offendere tua sorella sul blog che lo leggono tutti.

E così il nostro eroe si trova a possedere tutte e tre le reliquie gialle: i pantaloncini, la t shirt, le scarpe. Adesso non c’è più niente da fare: Tredici è pronto.

[ Fine ]


Seeeee, credici.

La mia personale e discutibile opinione sulla k

Ho un problema, lo ammetto. Sono intollerante alla k. Non la vitamina K, no: la cappa. Non intendo la cappa del camino, ovviamente, e nemmeno la cappa di caldo che ci sfianca nei pomeriggi d’Agosto, e nemmeno i racconti di cappa e spada, per quanto non costituiscano il mio genere letterario preferito. Intendo la lettera k inserita in parole italiane – parole italiane, quindi “okay”, “Kylie Minogue” e “bukkake” non valgono. Non ci posso fare niente: io non la posso sopportare. E se tu la usi perdi automaticamente cento punti nella mia personale classifica di stile. 
 
E, Dio Santo, la mia classifica di stile è molto influente.