La Trilogia del Giallo – capitolo 2 e qualcosa quasi 3 vi giuro

On air: Scissor Sisters, Keep your shoes on

( trovi qui il capitolo 1
e qui il capitolo 2
e qui il capitolo 2 e mezzo )

Mi scuso per questa ulteriore parentesi. Lo so che state tutti fremendo per il capitolo finale della trilogia – e magari qualche cicala che mi legge sta anche frinendo, e qualche ladro sta frugando e non mi viene in mente nessun altro verbo che comincia per fr quindi mi fermo qua – insomma, lo so che volete il capitolo 3, ma ora vorrei dire due cose:
la prima è che fino ad un minuto fa avevo le mani gialle, e non perché ho contratto l’epatite, bensì perché ero intento ad ultimare una creazione che potrebbe proprio proprio riguardare il terzo capitolo della trilogia
la seconda è che oggi sono andato in biblioteca e ho realizzato che posseggo un oggetto indispensabile e giallissimo, che è…
…il termos!

Scusate, la cosa mi ha effettivamente emozionato tantissimo.

La tecnica del pomodoro

No, questo non è un post di cucina.
Ora che abbiamo salutato tutti i fan di Benedetta Parodi, possiamo andare avanti. Mi è stata suggerita (dal mio amico U, al quale l’ha suggerita sua sorella) una tecnica per non buttare via il mio tempo – cosa che ultimamente sono solito fare – e ve la voglio riproporre. Si chiama la tecnica del pomodoro e funziona così: ti fai una lista di cose da fare. Poi ne prendi una e fai solo quella per un pomodoro. Un pomodoro è solo un altro modo di dire mezz’ora. Al termine del pomodoro hai dieci minuti di pausa, prima di ricominciare con un altro pomodoro.
Infatti adesso sono nella pausa e sta per cominciare un nuovo pomodoro.
Mi sento così cretino.

Ho un’amica che non credeva nell’amore

Ho un’amica che non credeva nell’amore. Mi ricordo ancora quando me lo disse, qualche anno fa: eravamo nel parcheggio di un pub, a Lucca. In piedi, vicino a dei cassonetti, e tirava un pochino di vento. Era notte, una di quelle notti che sanno aspettare, che quasi ti incoraggiano a fare discorsi di questo tipo, come se fossero loro a farti parlare di vita, e di amore, e di noi.
Mi disse che non credeva nell’amore e io le volevo dire che non sapevo nemmeno cosa volesse dire, amore. Sono cresciuto con questo pallino secondo cui prima di parlare una cosa devo definirla, per essere sicuro che intendiamo tutti proprio la stessa cosa. E la sua definizione di amore era: quella agitazione sensazione sentimento che ti prende e ti scuote al cento per cento e ti fa essere felice al cento per cento e ti fa sentire che vivi qualcosa di perfetto, e perfetto al cento per cento. 
Io le dissi che ci credevo nell’amore, almeno così come intendeva lei, più o meno. Anche se non ero mai stato preso e scosso da nessuno al cento per cento, e non ero mai stato felice al cento per cento e non avevo mai creduto di possedere qualcosa di perfetto, o almeno non perfetto al cento per cento. Neanche al venti per cento, forse.
Fu un dialogo molto coinvolgente. Quando ci tieni tanto a una persona, cerchi di convincerla che esistono le cose che lei sogna e desidera e per le quali ha rinunciato, e cerchi di convincerla anche se tu stesso non hai prove. Ma cerchi comunque di appigliarti a ogni minimo ragionamento, a ogni esempio, anche stupido, dalla letteratura e dal cinema. 
Adesso la mia amica ci crede, nell’amore. L’ha trovato, il suo cento per cento. Non me l’ha mai detto, ma so che pensa che quella notte avevo ragione. E io? Io non lo so quanto è il cento per cento. Non so quantificare niente – e dire che invece dovrei saperlo fare, lavoro tutto il giorno con i numeri. Io non ho mai provato niente di così, l’amore, la felicità, la perfezione, qualsiasi definizione vogliate attribuir loro. Eppure ci credo.
‘cause it never began for us 
It’ll never end for us 
‘cause it never began for us 
It’ll never end for us 

La Trilogia del Giallo – capitolo 2 e mezzo

On air: Marina and the Diamonds, Sex yeah

( trovi qui il capitolo 1
e qui il capitolo 2 )

Okay, okay, lo so che non esistono i capitoli due e mezzo, ma allora non dovrebbe esistere nemmeno il binario 9 e tre quarti di King’s Cross e invece c’è e porta a Hogwarts. La verità è che ormai ho strutturato tutto come una trilogia, e quindi devo arrivare in fondo in modo tale che siano solo tre capitoli. 

Niente di che, vi volevo solo mettere al corrente che ho sbagliato: ho scritto in precedenza che non posseggo nessun indumento giallo. Ed erro, perché effettivamente ho ben due indumenti di questo colore.
Il primo è l’accappatoio. Che escludiamo perché ovviamente non posso andare al Pride in accappatoio, per quanto sia un capo fondamentale.
Il secondo è questo:

Venerdì 13 // I’m a Slave 4 U

Eccoci giunti al secondo appuntamento della rubrica settimanale che tengo su Trashipirina. Oggi vorrei parlarvi di una tra le puttanpop più famose del mondo dello spettacolo. Prima di farlo, però, capiamo cosa significa questo termine.
Dicesi puttanpop la cantante che usa la propria arte, di solito musica leggera, per provocare ed esagerare, utilizzando coreografie particolarmente spinte ed accattivanti. Ora, le puttanpop possono essere puttanpop di nascita se già dal primo singolo dimostrano di essere delle vere amabili troiette da discoteca; oppure possono diventare puttanpop dopo un periodo casto e puritano. In quest’ultimo caso c’è un momento di passaggio – chiamato puttanizzazione – in cui l’artista consacra la sua svolta.
La piccola Britney Jean Spears all’età di undici tenerissimi anni entrava a far parte del Mickey Mouse Club che, come potete facilmente arguire, non era un programma molto trasgressivo. L’immagine che dà di sé è infatti quella di una giovane fanciulla ingenua. Immagine che, salvo rare eccezioni, conferma anche quando entra definitivamente nel mondo della musica. 
Infatti, quando la Spears canta “Hit me baby one more time” non sta chiedendo un’ulteriore frustatina col gatto a nove code. E basta dare un’occhiata ai titoli delle canzoni del suo primo album per capire che abbiamo a che fare con una suora mancata:
– Born to make you happy
– From the bottom of my broken heart
– I will be there
– I will still love you
– Deep in my heart
– Thinkin’ about you
– I’ll never stop loving you
…ma che palle! Questa cosa della ragazza della porta accanto doveva finire. Nel 2001 Britney era ormai cresciuta e non ce la faceva più di essere considerata una dolce bambina. Voleva gridare al mondo di essere una vera porca. È così che inizia il processo di puttanizzazione per Britney Spears: con ombelichi sudati, con orge dentro una sauna, con sculettamenti al tramonto. Esce I’m a Slave 4 U, il singolo che segna l’inizio di una nuova era.

I’m a slave for you. 
I cannot hold it; 
I cannot control it. 

I’m a slave for you. 
I won’t deny it; 
I’m not trying to hide it. 

La Trilogia del Giallo – capitolo 2

Tre Gialli alla Ventura che il chirurgo ama,
Sette per Paris, cioè la figlia di quell’Hilton,
Nove ad Uma Thurman che la testa di Bill brama,
Uno per Tredici, lo studente un po’ sfigatoN
Nella Terra di Bologna, perché il Pride lo chiama.
Un Giallo per domarli, un Giallo per trovarli,
Un Giallo per ghermirli e nel buio incatenarli.
Nella Terra di Bologna, perché il Pride li chiama.

( trovi qui il capitolo 1 della trilogia )
Siamo rimasti al punto in cui il nostro eroe Tredici – che poi sarei io ma nei fantasy c’è sempre un narratore onnisciente che racconta dall’esterno quello che accade – ha trovato la prima delle tre reliquie gialle che gli servono per andare al Pride di Bologna del 9 Giugno.

Ma a questo punto del racconto è indispensabile fare un salto indietro nel tempo per capire meglio alcune cose. Okay, in realtà non è davvero indispensabile, anzi è oltremodo inutile, ma ho sempre desiderato usare i flashback!

I sei amici che hanno deciso di andare al Pride hanno pensato di vestirsi ognuno di un colore dell’arcobaleno. Mi fate capire il caspio di motivo per il quale mi è toccato il caspio di giallo che è un colore di cui nell’armadio non ho un caspio?! È andata più o meno così:

Ci – “Se non mi date il rosso non vengo”
U – “Io ho solo vestiti blu”
L – “Verde verde verde verde verde verde verde verde verde”

Ora, capirete che se il rosso, il blu e il verde sono presi, rimangono solo l’arancione, il viola e il giallo. Uno valeva l’altro, per me. E anche per voi, perché non vi preoccupate che avrei potuto farvi benissimo anche la Trilogia del Viola o la Trilogia dell’Arancione, anche se col Giallo viene meglio. Perché, insomma, uno dei princìpi cardine della mia filosofia è che se vuoi fare schifo, devi fare schifo nel peggiore dei modi possibile. Quindi sì, lo ammetto una volta per tutte: io ho scelto il giallo.

Adesso possiamo tornare alla nostra storia. Tredici ha i pantaloncini corti gialli. Ha bisogno di una maglietta. E qual è il posto migliore dove poter trovare una maglietta gialla monocromatica a poco prezzo, oltre al cassonetto della Caritas? La risposta è semplice: asos.com.

Pochi clic, pochi euro, ed anche la seconda reliquia è stata conquistata. Ma manca la più difficile da raggiungere: il paio di scarpe gialle…

[ to be continued ]

La Trilogia del Giallo – capitolo 1

Tre Gialli alla Regina che di canarino splende,
Sette per la tizia che i Rocher ha pubblicizzato,
Nove ad Angelina che con Brad non si arrende,
Uno per Tredici, lo studente squattrinato
Nella Terra di Bologna, perché il Pride lo attende.
Un Giallo per domarli, un Giallo per trovarli,
Un Giallo per ghermirli e nel buio incatenarli.
Nella Terra di Bologna, perché il Pride li attende.
Succede che il 9 Giugno a Bologna c’è il Pride. Succede che ad andarci siamo in sei amici. Succede che toh! sei è il numero dei colori sulla bandiera arcobaleno. Ne consegue che mi viene la brillante (leggasi: malsana) idea (leggasi: stronzata) di andare al Pride vestiti ognuno di un colore diverso della bandiera. Senza esagerare, ché sennò poi la gente dice che è la solita carnevalata e noi non vogliamo fornire alla gente scuse per boicottare o criticare una manifestazione assolutamente pacifica.
Ora, io e i miei amici ci siamo divisi i colori. Forse un giorno vi spiegherò come mai a me è toccato il giallo – se mai lo capirò – fatto sta che a qualcuno il giallo doveva pur toccare. Apro l’armadio sfoggiando un’impassibilità che mi fa onore nel constatare che di giallo non ho niente. Neanche un braccialetto. O una maglietta verde scolorita. O un paio di mutande usate. 
Dio, che schifo, meno male.
Se fossi Aragorn sarei già montato sul mio cavallo e con la spada sguainata mi sarei già diretto verso il Regno di Gondor o qualche altro Regno il cui nome sembra una medicina per il mal di pancia. Tuttavia non sono Aragorn, mio malgrado: sono Tredici. E Tredici non ha cavalli, non ha spade da sguainare e soprattutto non va a Gondor: Tredici va a Zara, che tutto sommato è un regno che apprezzo di più.
Mi accoglie una commessa che viene direttamente dal Regno di Napoli e che deve imparare la cosa più importante dell’essere commessa: dire al cliente quello che il cliente vuole sentirsi dire. Invece questa mi diceva la verità, che è la cosa più sbagliata da fare.
“Ma non è che mi stanno larghi? Di solito prendo una taglia in più…”
“Eh, forse un pochetto in vita, aah, ma con una cintura accosì già stringe, aah, e poi se ci tieni sopra ‘a maglietta mica si vede, aah”
Non capisci ‘na minchia, cretina. Fortuna che c’è Fede, che mi manda un sms che risolve tutto:
Ascolta Ale, ti servono comunque un paio di pantaloni corti, questi oltretutto costano pochissimo e ti stanno da Dio, non è vero che sono larghi, assolutamente. E stamani hai preso 30, te li meriti.

E così l’acquisto si conclude. Il nostro eroe Tredici ora possiede i pantaloncini corti gialli di cui ha bisogno che ha trovato superando sfide impossibili. Ma restano da trovare la maglietta e le scarpe…

[ to be continued ]

Quando ti spalmi la crema solare

On air: Beatles, Here comes the sun

…non dimenticarti le orecchie.

Beh. Comunque poteva andare peggio.
Di solito sono messo molto peggio dopo la prima giornata di mare; quando torno a casa sembra che sia stato coinvolto in un’esplosione nucleare. Invece stavolta tutto sommato è andata bene: devo solo ricordarmi di non appoggiarmi sullo schienale della sedia per stirarmi, come ho appena fatto, per dire. E non mi posso nemmeno grattare l’orecchio sinistro. Fortuna che non interagisco molto col dietro del ginocchio o col dentro del gomito, così quelli non dovrebbero farmi tanto male.
Sì, sì, sono uno di quegli esseri umani che “hanno la pelle sensibile”. Noi dalla pelle sensibile impariamo a dire questa cosa alle medie – per giustificare l’uso di quei due o tre litri di crema solare che usiamo in una giornata – e poi impariamo a non dirla più nel periodo delle superiori, quando la parola “sensibile” è indice di patologia sociale. Ma se la Bilboa non ha risentito della crisi è grazie a noi, ecco.

Yellow

Non ci rendiamo conto abbastanza di quanto il presente sia importante. E questo è molto buffo, perché abbiamo sempre sulle labbra le citazioni Jim Morrison o di Oscar Wilde o di Baudelaire, che siamo pronti a condividere su facebook per mostrare al mondo che siamo fighi e viviamo alla giornata e cogliamo l’attimo. Ma la verità è che nessuno di noi è davvero capace di vivere alla giornata, e mi viene il dubbio che nemmeno Jim Morrison o Oscar Wilde o Baudelaire ne fossero davvero capaci. Invece di cogliere l’attimo ci infarciamo il cervello di seghe mentali e viviamo di quelle. Non di attimi, ma di seghe.
C’era una canzone, ieri, alla radio. Yellow dei Coldplay è una di quelle canzoni che mi piace ascoltare quando sono senza pensieri. Mentre guido, di notte, e fantastico cose dolci. E negli ultimi mesi ho avuto tante occasioni di ascoltarla, ma non l’ho mai fatto. Ero troppo occupato ad avere pensieri, per essere senza pensieri. 
Mi sono stranamente sentito in colpa per non essermi goduto il presente. Adesso ascoltare Yellow non ha più senso. Non è la stessa cosa, perché il mio umore non è lo stesso. Poi ho realizzato che questo strano rimorso che stava nascendo in me era un’altra paranoia. Mi faccio le paranoie anche per il fatto che ho le paranoie: probabilmente dovrei essere ricoverato. 
Sapete una cosa? Io Yellow me la ascolto, ORA, anche se non mi ci dice. E la dedico a me stesso, che sarà anche paranoico e nevrotico e patetico e un sacco di altre cose che finiscono in -ico, ma se la merita, questa dedica.
Look at the stars
Look how they shine for you
And everything you do
Yeah they were all yellow

Venerdì 13 // Outside

Un mio caro amico, il Doctor Ci, ha aperto il blog Trashipirina. È molto carino, dispensa quelle pillole di troship (che è una parola che ho inventato io fondendo “gossip” con “trash”) che il mondo dello spettacolo offre ogni giorno a noi umani, e le condisce con appunti simpatici e altrettanto trash. Ora, la cosa buffa è che il Doctor Ci mi ha chiesto di tenere una rubrica settimanale sul suo blog, senza impormi limitazioni in lunghezza o contenuti. Un po’ come la Rai con Celentano, solo che lui viene pagato milioni per dire cose molto meno interessanti delle mie che invece sono enucleate gratuitamente. Già.
Comunque, il contratto prevede che la mia rubrica esca il venerdì e che io ve la riproponga anche qui su Zucchero Sintattico. Si chiama Venerdì 13. Ma attenzione: si scrive 13, ma si pronuncia trashdici.
__________________________________________________
Salve a tutti. Sono un po’ emozionato: è la prima volta che scrivo qui e spero che perdonerete qualche mia defaianc… defaillan… def… Comunque. È stato un onore per me quando il Doctor Ci. mi ha proposto di tenere una rubrica qui sulla sua esordiente Trashipirina. Non ho avuto dubbi nell’accettare. Non arrivo ai livelli del dottore, ma in quanto a trash anch’io me la cavicchio. La mia intenzione è quella di raccontarvi ogni volta la storia di un video musicale: esistono un sacco di vicende legate ai video che MTV si sogna di divulgare.
Per inaugurare questo spazio, ho scelto di partire con Outside di George Michael.
È il 7 Aprile 1998. Era un martedì, e George Michael non aveva ancora mai dichiarato di essere gay. In futuro dirà che aveva paura di dare un dispiacere alla madre, che probabilmente era rimasta l’unica a non essersene accorta. Martedì 7 Aprile 1998 George Michael agli occhi del mondo doveva essere un sanissimo eterosessuale. Ma non per molto ancora.
George si trova al parco cittadino di Beverly Hills e gli scappa la pipì, così decide di andare in bagno. Lo segue un tipo. Il cantante pensa semplicemente che sia un tipo “strano”. Il tipo strano si chiama Marcelo Rodriguez ed è un poliziotto della buoncostume in borghese.
Possiamo ricostruire cosa successe in quel bagno dalle simpatiche e per nulla allusive dichiarazioni del cantante stesso: Beh, mi ha seguito al bagno e poi, questo poliziotto – beh, io non sapevo fosse un poliziotto allora, ovviamente – ha cominciato a fare quel gioco… credo si chiami “io ti faccio vedere il mio, tu mi fai vedere il tuo, e quando tu mi fai vedere il tuo, io ti arresterò”.
Effettivamente il cantante viene arrestato per “esplicite proposte sessuali“, con una multina di 800 dollari e l’obbligo di 80 ore di lavoro socialmente utile. La sua difesa non fu poi molto convincente: Quando uno ti fa vedere i genitali, non pensi automaticamente che sia un poliziotto. E io non ho mai saputo resistere ad un pasto gratis.
Ma né George Michael né i suoi produttori erano degli sprovveduti. Riuscirono a trasformare l’intera vicenda in una straordinaria nuova linea artistico-musicale. Infatti, pochi mesi dopo la vicenda, MTV faceva ruotare il nuovo singolo di George Michael, Outside
Guardatelo, e ditemi: notate un vago riferimento alla vicenda?

Let’s go outside
In the sunshine
I know you want to, 
but you can’t say yes
Let’s go outside
In the moonshine
Take me to the places 
that I love best