Ops

On air: Britney Spears, Oops!…I did it again

“Il suo esercizio non è sbagliato. È peggio che sbagliato”

“Vede, ci sono esercizi che sono sbagliati in una maniera più o meno grave. Questo è un malato terminale. Invece il suo è proprio deceduto”

“Se all’esame mi dice una cosa così la butto fuori senza sentire altro”

“Ma cosa significa?! Ha fatto una frase che non vuol dire nulla, lo dica in italiano”

“No, no, no. Non c’entra niente, è tutto sbagliato”

Ops.

C’è posta per Tredici

Buonasera e benvenuti alla nuova rubrica C’è posta per Tredici. Se avete un dubbio esistenziale che vi assilla, o se volete un’opinione completamente spassionata su una vicenda, o se non sapete se mettere l’aglio o meno nell’amatriciana, o se semplicemente volete comunicarmi quanto vi faccio ribrezzo, scrivetemi (qui, o su facebook, o su twitter, o mandatemi un segnale di fumo, utilizzate un po’ il metodo che preferite, insomma!).

Vi ricordo che non sono un esperto in niente, non sono laureato in niente, non c’è niente che sappia fare bene o in cui io sia specializzato. Ho pure dei problemi a fare gli 8, mi viene il pallino di sopra tutto storto. Sono effettivamente uno stronzo qualunque, e pertanto mi sento in grado di avere un’opinione più o meno qualunquista su tutto. Ecco perché posso rispondere a qualsiasi vostra richiesta.
Veniamo alle domande di oggi.
Caro Tredici,
innanzitutto volevo farti i complimenti: ti leggo sempre e sei veramente un figo. Penso anche che tu sia molto intelligente e simpatico e affascinante e il tuo naso non sia poi così male. Ti volevo chiedere una cosa. Questo è il tuo primo post di questa rubrica, quindi come fai ad avere già delle domande?
Tredici
Gentile lettore, innanzitutto ti ringrazio per la domanda. 
È molto semplice: mi scrivo da solo.

La parabola del finto divaricatore

On air: Donna Summer, Last Dance
Ci sono dei giorni in cui ti svegli triste. Può capitare, se sei affetto da disturbo bipolare, ma soprattutto può capitare se sogni cose brutte come che ti si cancellano tutte le foto dell’account di Instagram o che affoghi in un mare di yogurt alla banana.
Il fatto è che quando succede non mi piace. Perché quando sono triste si avviano dentro me una serie di meccanismi i quali probabilmente costituiscono gli estremi per un trattamento sanitario obbligatorio. Tipo che all’inizio penso che mi siano dovute più attenzioni (trip chiamato tu sei felice e io no), e poi penso che sono un bimbo grande e i bimbi grandi se la devono cavare da soli (trip chiamato sarò un vero uomo prima o poi), e poi penso che chiedere aiuto è umano (trip chiamato ora scrivo alla De Filippi), e poi finalmente arrivo alla sensazionale conclusione che da una parte devo un po’ forzarmi e dall’altra posso contare sull’appoggio di chi mi sta vicino (trip chiamato muovo il culo ma magari chiedo in prestito una chiappa).
Ma cosa significa forzarsi? Proverò a spiegarvelo con una storiellina. 
Il mio amico U. – sì, quello di Fiocco di Neve, bravi – ha una visione della vita che distingue le persone in due categorie: quelli col divaricatore vero e quelli col divaricatore finto. So che avete già pensato male, comunque non intendiamo quel divaricatore, bensì quello che si mette all’orecchio:
( nemmeno io sapevo che si chiamasse così. Non mi 
sono mai interessato ai piercing, perché i miei hanno 
più volte minacciato di togliermi gli alimenti se fossi 
rincasato con – cito testualmente – del ferro sul viso )
Ora, questo divaricatore può essere permanente e si fa dilatando il buco nel lobo con un’operazione dolorosa e quasi irreversibile e che al solo pensiero mia madre ingoia di getto due flaconi di Prozac; oppure può essere finto, per cui non patisci le pene dell’inferno e hai lo stesso risultato, perchè appari agli altri nel solito modo, e cioè con un aggeggio all’orecchio.
Al mondo esistono le persone col divaricatore e le persone senza divaricatore, così come esistono le persone felici e quelle tristi. Quello che so è che se mi sono svegliato senza divaricatore, non posso starmene con le mani in mano, aspettando che qualcuno me ne procuri uno. Sapete, ci sono persone che non riescono a chiedere un divaricatore a qualcuno. Semplicemente, sanno che il loro ruolo è quello di averlo e, intanto che lo cercano, ne indossano uno finto. Appaiono agli altri nel solito modo, e cioè con un aggeggio all’orecchio. Solo se ti avvicini abbastanza riesci a notare che è un finto divaricatore.
No, mamma, non me lo metto l’orecchino! Dio, devo smetterla di fare metafore.

17.5.2012

( un grazie speciale a mia sorella Elisa che con tanta pazienza 
ha prodotto questo scatto e un altro grazie speciale a Laura 
che è una maga della grafica nonché la creatrice del risultato )

Non c’è da farla tanto complicata. 
Natura, malattie, Dio, …

La questione è molto più semplice.

E cioè: 
ma se a me, o a lui, o a lei piacciono 
i ragazzi o le ragazze o entrambi,
 e non veniamo a rompere le palle a te,
 a te… cosa cambia?

Come mai la gente finisce sul mio blog

On air: Carpenters, Top of the world
È quando mi schiaccio i punti neri che faccio le riflessioni più profonde. Ieri sera, per esempio, ero alle prese con uno particolarmente impegnativo, di quelli che bisogna usare almeno due dita e posizionarle tatticamente in modo da accerchiare il comedone e fare pressione da due fronti opposti. Che il punto nero esce per sfinimento. Si arrende.
Comunque, pensavo che sono un blogger (o meglio, sono uno che ha un blog). Questo implica che le persone mi leggono. Non avevo mai pensato a questa eventualità. Le mie elucubrazioni mi hanno portato – oltre che all’estrazione di una notevole quantità di pus – a suddividere i miei lettori in tre categorie.
Categoria n.1 – Gli amici, i lettori fissi e quelli impietositi dalla mia vita
Sono i miei fan più fedeli, le mie groupie più audaci e ovviamente tutti coloro che ho obbligato a inserire Zucchero Sintattico tra i preferiti.
Categoria n.2 – I neofiti
Arrivano al mio blog da facebook, e ogni tanto fa loro piacere leggermi perché inspiegabilmente mi credono figo. O ridicolo, non ho ancora capito bene. Per esempio, una ragazza ieri in aula studio si è avvicinata e mi ha chiesto come va, perché aveva letto dei miei ultimi sviluppi emotivi. Oppure, un collega a mensa mi ha parlato di Fiocco di Neve. Ho molto apprezzato, in entrambi i casi. E poi fa sempre piacere parlare di Fiocco di Neve a mensa.
Categoria n.3 – I poveri sciagurati
Semplicemente cercano su google qualcosa, e in qualche modo arrivano a Zucchero Sintattico. Ora, c’è un praticissimo servizio che io posso consultare per vedere cosa la gente scrive per arrivare al mio blog. E vorrei riproporvelo, perché alcune parole cercate danno una precisa indicazione di quanto gli utenti di Internet possano essere… curiosi.
Vi metto qui sotto un’accurata selezione delle parole chiave cercate, e tra parentesi il numero di persone che sono arrivate al mio blog googlandole.
Zoofilia (121)
Elenco di insulti (39) 
Neve del cazzo (16)
Indice di forza zucchero (7)
Quanto vale un rene (7)
Capelli caduti (2) 
Mia sorella fa la doccia (8) 
Teletubbies di zucchero (3)
Chi c’è dentro i teletubbies? (2)
Teletubbies alti tre metri (2)
Teletubbies da stampare (2)
Quanto fa zero al quadrato (2)
Puttana (2)
Come chiamare per telefono una puttana a salerno (1)
Alessandro bianchi calciatore che fine ha fatto (1)
Blblbl (1)
Calze che nascondono cellulite (1)
Foto dell’aspirapolvere dei teletubbies? (1)
Per il mal di gola va bene l’oki? (1)
Donne non possiamo stare senza le vostre gonne (1)
Chi fa muovere i teletubbies (1)
Teletubbies, antenne, simbolismo (1)
Quanto costa uno scoiattolo (1)
Cazzo che schifo (1)
Insomma. Senza offesa, carissimi lettori miei, sapete che vi amo tutti, ma… siete un branco di pervertiti! Col fetish dei Teletubbies, per giunta.

Le perle del Lunedì

( ovvero come iniziare la settimana col piede giusto )

On air: Marina and the Diamonds, Radioactive

1. “anaconda” è un sostantivo maschile. Si dice lo anaconda, e non la anaconda. Si scrive un anaconda, e non unanaconda. Lo so che non parlate mai di anaconda né tantomeno ne scrivete, però non si sa mai. Per dire, io passerò tutta la giornata a parlare di anaconda, giusto per lo sfizio di usare questo nuovo termine.
2. “Giuliano dammi una forte spinta verso X” non è una tattica di baccaglio infallibile. Soprattutto se la preda si sposta e tu ti scontri contro un energumeno di un metro e novanta che ti chiede se ci sono problemi. Alché tu devi rispondere che no-niente-affatto-scusa-l’arrosto-in-forno-vado.
3. O avete i vetri scuri, oppure se vi scaccolate in macchina VI SI VEDE. Diciamolo. È bene esserne a conoscenza, per fare in modo che tutti evitiamo di vedere ciò che nessuno vuole vedere. La prossima volta vi fotografo e vi pubblico sul blog. Cacchio, che idea, un blog di scaccolamenti: quasi meglio di ValerioPinoNakedLife.
Anaconda.
Un anaconda.

Fiocco di Neve esiste e la amo

On air: Finley, Dollars & Cars

Stai cercando di smaltire la poltiglia che ti hanno rifilato a mensa. E stai cercando di smaltirla passeggiando per Corso Italia con il tuo amico U.

Ora, caso vuole che nemmeno il tuo amico U. sia totalmente allegro e spensierato, per cui la conversazione che ne esce è una cosa pressoché terribile che suona tipo così:

“Sto male buaaaahhh

“Anch’io buaaaahhh

“Mi sembra di stare più male a me però buaaaaahh

“No ma io di più buaaaahh

“Sempre uno più di te buaaaaahhh

Bene. Siamo quasi sul punto di litigare quando U. si arresta. Porta la mano ai suoi occhiali da sole e li solleva con lenta fermezza. Il suo sguardo rivela trepidazione, quella trepidazione che si ha solo in pochi casi. Quando stai per scartare un regalo e speri che dentro la scatola ci sia un modellino snodabile di Sabrina Salerno, per dire.

“Ale, ma lei è…?”

Mi indica un punto ormai alle nostre spalle. C’è una ragazza coi capelli biondo platino. Un giubbetto che le fa assumere una forma sferica da cui partono due gambine “sottili sottili”. Alle spalle uno zaino che sembra un enorme fiocco bianco.

“Ehm. Chi è?”

“…Fiocco di Neve!”

( ***dlin dlon***
Se non sai chi è Fiocco di Neve,
innanzitutto vergognati,
e poi se ti interessa clicca QUI QUI )

Sto quasi per urlare. Il gridolino da tredicenne mi si rompe in gola. Negli occhi avevo le stesse lacrime che hanno quelle adorabili ragazzine cretine quando Marco Carta vince Amici. Era lei, era davvero lei, il mio mito dell’inverno era lì, che respirava la stessa aria che respiravo io.

Questo per dire che ci sono delle giornate in cui vedere tutto nero è normale. Quasi obbligatorio, a volte. Però poi ecco che succedono queste cose. Stronzatine, sicuramente. Però, se oggi è Fiocco di Neve, chi mi dice che domani, o tra una settimana, o tra un mese, non sarà Lindsay Lohan?

( va bene, va bene,
la moralina finale è troppo trash. 
È per parlare terra terra… )

È solo un finale

Questo è un post che potrebbe parlare di cose tremendamente patetiche e personali. Se sai già che non ti piacerà, puoi benissimo evitare di stare qua e cliccare su chiudi. Ti garantisco che non mi offenderò, te lo giuro sulle extension di Gwen Stefani. Faccio questa premessa perché vorrei evitare di leggere commenti anonimi, come successe qualche mese fa, in cui mi si diceva che ero un mostro e non dovevo scrivere cose serie. Se uno scrive, scrive di ciò che vuole. Se io scrivo, scrivo di ciò che voglio e so benissimo perché lo scrivo e quanto scrivo di quello che penso.
Bene. Vorrei raccontarvi due storie.
La prima storia riguarda un ragazzo che stava male. Questo ragazzo, che – per garantirne la privacy – chiameremo Ventisei, non aveva poi tanti motivi per stare male: è circondato di amici fantastici che gli vogliono bene, ha una famiglia molto presente e una sorella ganza (seppur scema), i suoi risultati lavorativi non sono malaccio e anche i suoi impegni e hobby gli danno tanti bei risultati. Effettivamente, c’era un’unico ostacolo al completo star bene di Ventisei. Cristina D’Avena chiamerebbe questo ostacolo “Piccoli problemi di cuore” e si metterebbe a cantarlo con la sua vocina ingenua e infantile, beandosi del fatto che il mondo è ignaro della sua dedizione all’eroina.
La seconda storia, invece, riguarda me. Toh, pensa. Alcuni di voi forse si ricorderanno di Tredici settimane di felicità. Per fare un riassunto, tempo fa iniziai a scrivere un quadernino. Col proposito che ogni giorno avrei trovato da scrivere una cosa bella che mi era accaduta, e avrei fatto questo per novantuno giorni. Ora, c’è da dire che io sono una persona geneticamente realista e malinconica. Prima che possiate pensare le peggiori critiche, vorrei specificare che io ho accettato questa negatività insita in me, e non la considero affatto un difetto. Vedo le cose in una maniera diversa rispetto a come le vedono le persone positive e ottimiste, e non è peggio né meglio: è semplicemente diverso.
Ma torniamo alla storia di Ventisei. Anche lui si sentiva diverso rispetto agli altri. Diverso perché, abituato a cogliere le occasioni della vita per crescere, anche le cose che lo facevano soffrire erano per lui un qualcosa su cui lavorare. Cosa che gli sembrava non facesse nessun altro. Ventisei era estremamente convinto che sì, aveva bisogno di una piccola dose di fortuna, ma che fosse inutile starsene con le mani in mano aspettando che la vita gli proponesse le occasioni già confezionate. E quindi si dava da fare, cercando per prima cosa di stare bene con sé stesso. Perché – Ventisei se lo ripeteva da tempo – è quando stai bene con te stesso che stai davvero bene.

Ho scritto che sono una persona tendenzialmente malinconica. Pur avendo accettato questo mio essere, devo ammettere che mi ha procurato non poche difficoltà nel compilare il quadernino. Per una persona abituata a notare quell’unica nuvola grigia nel cielo sereno, scrivere una cosa bella ogni giorno non è semplice, ve lo garantisco. E all’inizio ero veramente in difficoltà. Mi sono ritrovato a scrivere sul quaderno cose come: “lo yogurt all’ananas, ehm, fantastico“. O anche: “i boxer dell’H&M non sono ancora scoloriti, evviva“. Mi faccio quasi pena. Tuttavia, a poco a poco ho iniziato a scorgere anche un po’ di cielo. Apprezzavo le piccole cose, ero felice per i successi dei miei amici, ero sereno. Ero… pronto.

Ventisei adesso sta di nuovo male. Accetta a fatica la parola F I N E, e non trova le forze di aprire una nuova pagina e cominciare a scrivere I N I Z I O, un po’ perché non ci sono parole con cui iniziare, e un po’ perché il capitolo precedente era davvero meraviglioso. Lo so, questa metafora del libro della vita e delle pagine e di tutto il resto è un po’ inflazionata e sarebbe il caso di darci un taglio, ma non me ne venivano altre. Mica mi pagano per scrivere sul blog. Resta il fatto che Ventisei è scoraggiato. Un nuovo capitolo, un altro ancora? Si chiede chi glielo faccia fare. Si chiede il motivo, visto che prima o poi finirà, di nuovo, e lui starà male. Di nuovo.

È per questo che scrivo questo post. Per dire delle cose a Ventisei. Per dirgli che deve stare tranquillo, che può prendersi tutto il tempo che vuole prima di ricominciare. Che non c’è nessuna fretta. Che sì, serve un po’ di fortuna, checché ti dicano i tuoi amici, ma prima o poi la ruota gira. Che ancora una volta devi essere forte, e essere coraggioso, perché credimi, Ventisei: in pochi sono coraggiosi quanto te. Ed è lo stesso se ora ti viene solo da piangere, perché piangere non è un reato, e non è nemmeno una cosa di cui vergognarsi. In un laboratorio di pc dell’università ci sono io, e sto piangendo per te. Io credo in te, Ventisei. E ti dico, ti grido, che puoi contare su di me. Non sei solo: ci sono io. Questo finale non è il vero finale. È solo UN finale. Perché se vado a riprendere quel quadernino, all’ultima pagina trovo scritto:

Giorno 91

Sto bene.

Ed è questo il finale che avrà anche il tuo libro. Lo so, che sarà così. Basta solo che non ti dimentichi che non sei solo. Ci sono io, ci sarò sempre. Attenderemo quel finale insieme.

Un’altra volta.