I pirati non hanno il cilindro ma io sì*
/12 Commenti/in Cose che mi succedono/da Alessandro Bianchi*titolo assolutamente senza senso, vogliate scusarmi
On air: Hans Zimmer, Up is down
(Pirates of the Caribbean Original Soundtrack)
Stamani ho fatto la doccia col nuovo bagnoschiuma alla Vaniglia dei Caraibi. Roba da pirati, insomma. Sono uscito dalla doccia urlando TERRA A BABORDO! per poi ricordarmi che il mio bagno non è un vascello e che pertanto non possiede ancore da levare o vele da ammainare.
( In realtà la mia macchina – dove l’aggettivo “mia” significa “di mio padre” – l’ho chiamata la Perla Bianca, in riferimento alla nave di Jack Sparrow nella serie dei Pirati dei Caraibi. Ma ve ne frega qualcosa? Vabbè, ormai l’ho scritto )
Mi sono asciugato e vestito e tutto quello che volevo fare era qualcosa di assolutamente piratesco.
E invece mi sono ricordato che dovevo costruire un cilindro bianco. Sì, per la commedia di cui faccio parte (che si chiama Le Nozze delle Streghe sono tutta un’altra Cosa e che va in scena Sabato 14 Aprile al teatro di Ponte a Moriano, Lucca, pubblicità fatta, oplà).
E in effetti l’ho fatto: ho comprato un cilindro basso argentato, e poi col cartoncino bianco l’ho alzato e reso un “vero” cilindro:
Qui potete vedere uno stadio parziale della lavorazione. Sì, perché non è finito. Devo ancora foderarlo col nastro adesivo bianco, e soprattutto devo rispondere al dubbio: E IL TAPPO?
Come vedete dalla foto, il cilindro non ha (ancora?) il tappo. È forato in cima. Che faccio? Lo tappo o no? Perché la costumista consiglia di sì, mentre il regista consiglia di no. Quindi devo decidere io. E io voglio anche il vostro parere. Carissimi lettori: VOTATE!
Mi scusi, quanto costa questo rene?
/14 Commenti/in Cose che penso/da Alessandro BianchiOn air: Renato Zero, Baratto
Devo sbrigarmi a scrivere un post, perché da domani si potrà scrivere unicamente del fatto che è Pasqua e che si è mangiata troppa cioccolata e l’agnello invece assolutamente no. Poi parlerò dell’agnello, magari, ho un’opinione tutta mia sulla faccenda che coinvolge mucche parlanti e che pertanto dovrò condividere prima o poi.
Invece, oggi lascerò spazio ad una importante inchiesta sul costo del rene.
Non so se avete sentito: un ragazzo cinese che chiameremo Wang – e lo chiameremo così perché 1) è il suo vero nome e 2) tutti i ragazzi in Cina si chiamano Wang, e forse anche qualche ragazza – ha venduto il proprio rene per comprarsi un iPhone e un iPad.
Ora, è chiaro che Wang è un imbecille. Anche perché ha scelto la Apple, e i prodotti Apple non andrebbero comprati a prescindere, dato che hanno un prezzo spropositato non tanto per le funzionalità o l’efficienza quanto per il fatto che sono Apple. Per carità, carina la frase del Stay hungry, stay foolish, ma per quattrocento euro di differenza mi aspetto qualcosa di ancora più creativo. Piuttosto mi accontento di un semplice nokiesco Connecting people, che tuttavia è molto ostico da pronunciare.
Comunque, Wang ha ricevuto 3000 dollari che sono quasi 2300 euro. Ora, prendendo come costo medio di un iPhone 700 euro e di un iPad 500 euro (fonte: il sito di MediaWorld), che in totale fa 1200 euro, notiamo che Wang ha ancora ben 1100 euro. Che probabilmente spenderà in cure mediche, visto che questa aquila cinese soffre ora di gravi problemi renali.
Ma quanto avrebbe dovuto farsi pagare il caro Wanghino per il suo prezioso rene?
Ora, è chiaro a tutti che il valore del rene di Wang è maggiore di quello del suo cervello. Insomma, piuttosto di farmi trapiantare il cervello di Wang mi lascerei la scatola cranica vuota, che è senz’altro più intelligente. Tuttavia, quanto costa un rene?
Ne parlavo oggi a tavola. Secondo mia mamma vale molto più di tremila euro. “Perché poi quando cachi mica ci puoi mettere l’iPhone, sul water”. E lì arriva mia sorella: “forse esiste un’applicazione apposita”.
Sì. L’iCag.
La parabola del parabrezza
/12 Commenti/in Cose che penso/da Alessandro BianchiOn air: Regina Spektor, Raindrops
Piove.
Un mio amico dice che devo scrivere. È arrivato alla conclusione che io sto meglio dopo che ho scritto qualcosa, anche se quel “qualcosa” è una delle mie solite riflessioni inutili e stupide del blog. Sì, una delle mie tante considerazioni che invece che tirarmi su il morale mi dovrebbero far preoccupare della mia salute mentale, che peggiora post dopo post. E invece mi fa sentire meglio, e pertanto il mio amico mi consiglia di farlo.
“Ma non ho l’ispirazione“
“Beh” – fa lui – “Per esempio puoi scrivere che a me stamani irrita il parabrezza. Vedi?” e con fare pratico mi indica il vetro dell’automobile, dove sul parabrezza c’è una righina di goccioline effettivamente irritante. E sorride pure tutto convinto che io possa parlare anche di questo.
Ora, se fossi uno scrittore vero saprei tirare fuori da questa osservazione un’arguta metafora sull’esistenza. La questione problematica è che io non sono uno scrittore vero, e tutto ciò che posso fare è prendere gli spunti che le mie giornate mi offrono e riportarle, qui o altrove.
Non importa quanto siano piovose queste giornate. Perché, per tutta la pioggia che può cadere, abbiamo sempre un tergicristallo che possa lavare via l’acqua e farci vedere la strada. È che a volte ci dimentichiamo di fare manutenzione, e il tergicristallo non funziona bene, e fa le righine che vediamo sul vetro. Ed è molto irritante questo, perché noi non vogliamo vedere quella righina. Vogliamo tirare diritti e convincerci che quella righina non esiste, e che siamo capaci di proseguire anche con la pioggia, perché siamo forti e sappiamo guidare bene e niente ci può fermare. Eppure per quanto ci sforziamo di guardare oltre e fare finta di nulla, l’occhio ci cade sempre su quella righina, e non possiamo farne a meno, perché probabilmente non siamo capaci di concentrarci solo sulla nostra strada, e…
No, no, vedete? La mia metafora fa schifo. Non farò mai una bella metafora!
Non sono uno scrittore vero. Scrittorega, ecco.
Non sono uno scrittore vero. Scrittorega, ecco.
Trenta giorni di Trenta giorni di
/15 Commenti/in Lists/da Alessandro BianchiOn air: Kasabian, Days are forgotten
Massì. Parliamo ancora di facebook. Devo dire che a volte è proprio il social network a darmi gli spunti per iniziare a parlare di qualcosa sul blog, anche se sì, certo: la maggior parte delle volte le idee vengono dalle mie incommensurabili figuracce.
Ad ogni modo, è da qualche settimana che è molto di moda questo giochino dei Trenta giorni di: consiste nell’elencare, una volta al giorno, qualcosa appartenente ad una particolare tematica. Trenta giorni di film, Trenta giorni di canzoni, Trenta giorni di libri…
Io vado oltre. Come mio solito. (ninoninoninoninoninoooo allarme modestia, allarme modestia!)
Ho pensato a questa cosa geniale: Trenta giorni di Trenta giorni di. Ovverosia una lista di liste. Quali sono i veri elenchi che andrebbero pubblicati.
E quali sono? Ve li dico io:
01. Trenta giorni di biscotti
02. Trenta giorni di improbabili mise di Lady Gaga
03. Trenta giorni di mafiosi
04. Trenta giorni di acuti di Beyoncé
05. Trenta giorni di balbettii di Rihanna
06. Trenta giorni di privilegi dei parlamentari
07. Trenta giorni di modi con cui torturare i fan di Gigi D’Alessio
08. Trenta giorni di canzoni tutte uguali di Vasco Rossi
09. Trenta giorni di vittime dell’omofobia
10. Trenta giorni di processi di Silvio Berlusconi
11. Trenta giorni di foto di Ke$ha senza glitter (ne esisteranno trenta?)
12. Trenta giorni di puntate di Glee che finiscono male (ne esisteranno trenta?)
13. Trenta giorni di volte in cui Bruno Vespa fa il giornalista (ne esisteranno trenta?)
14. Trenta giorni di espressioni facciali di Nicolas Cage (ne esisteranno due?)
15. Trenta giorni di “donne” che ce l’hanno fatta a darla a Berlusconi
16. Trenta giorni di frasi fatte per lasciare il/la proprio/a partner
17. Trenta giorni di volte in cui ho detto qualcosa che non dovevo dire perché ero ubriaco
18. Trenta giorni di volte in cui ho detto qualcosa che non dovevo dire ed ero pure sobrio
19. Trenta giorni di storie che l’arte di oggi ha copiato a Shakespeare
20. Trenta giorni di stereotipi nei film americani
21. Trenta giorni di luoghi comuni privi di qualsiasi base scientifica usati per essere contrari alle adozioni gay
22. Trenta giorni di matrimoni di Liz Taylor
23. Trenta giorni di figli di Brad Pitt e Angelina Jolie
24. Trenta giorni di video in cui Paola e Chiara si atteggiano a grandi cantanti
25. Trenta giorni di insospettabili personaggi famosi omosessuali
26. Trenta giorni di figure di merda (mie)
27. Trenta giorni di calciatori che dicono di aver scritto un libro che altri hanno scritto per loro
28. Trenta giorni di persone della biblioteca che non si lavano
29. Trenta giorni di improponibili candidati sindaci di Lucca
30. Trenta giorni di improperi da vomitare a quel professore dopo l’esame
The Londomerds / episodio 1
/11 Commenti/in Cose che mi succedono/da Alessandro Bianchi{ Bianco e nero. Una signorina dai capelli scuri e raccolti sorride. Indossa un vestito lungo color panna, ma noi lo vediamo bianco, perché siamo in bianco e nero, l’ho scritto una riga fa. Comunque, la signorina continua a sorridere }
Buonasera. Va ora in onda il primo episodio di The Londomerds. Questa nuova serie narra le avventure di quattro italiani imbecilli che decidono di intraprendere un viaggio a Londra. Ricordiamo ai gentili telespettatori che questa è una puntata pilota, ossia una prova per vedere se la serie potrà avere successo. Se vi piace bene, altrimenti attaccatevi a sto cazzo. Vi auguriamo una buona visione.
{ La signorina continua a sorridere. Jingle della RAI: dan dan dan dan dan dan dan dan dan da. Plin! }
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The Londomerds
– episodio 1 –
Sigla molto originale e fantasiosa:
Clash, London Calling
Starring:
Alessandro B.
Ciuffo V.
Laura L.
Martina L.
Guest star:
mia mamma
Executive producer:
stoca
Sono le 4 di mattina. Sono nel mio letto, già sveglio da pochi minuti. Sento il biribip biribip della sveglia, e la fermo prima che mi faccia cominciare male la giornata. In effetti, è buffa questa cosa: potrei semplicemente cambiare la suoneria con una più dolce. Comunque. Ero lì, sveglio a crogiolarmi nei miei pensieri quando finalmente realizzo che tra due ore e mezzo sarò su un aereo diretto alla capitale delle capitali, la città tra le città, il centro del mondo: Berlino.
No, scherzo. Londra.
Mi vesto e mi lavo e attendo che arrivi Martina a casa mia, sfoggiando un paio di calze leopardate che fanno pan dan con un berretto leopardato che fa pan dan con il colletto della giacchina, anch’esso squisitamente leopardato. Dopodiché montiamo in macchina, io, lei e mia mamma, e ci dirigiamo al paesino tra i paesini, la frazione delle frazioni, il fulcro dell’universo: Montuolo. Anzi, il parcheggio della chiesa di Montuolo, dove ci aspettavano gli altri due protagonisti di questa fiction, cioè Laura e Ciuffo.
Il viaggio verso l’aeroporto non è privo di difficoltà: infatti la mia cara mammina ci tiene a dire che scaricare musica pirata è illegale e fa morire la musica e i giovani cantautori, e argomenta la sua tesi dicendo che anche Ruggeri ha affermato ciò. Poi per grazia divina arriviamo all’aeroporto di Pisa e mia mamma ci saluta. Scoprirò solo qualche giorno più tardi che nel tornare a casa sbaglia strada, fino a ritrovarsi a venti chilometri da Firenze. Ma questo è una storia che verrà raccontata nello spin off dedicato a mia madre.
Qui metterò un po’ di foto del viaggio in aereo, di cui tralascio i dettagli, e del viaggio in pullman, di cui tralascio i dettagli. Ma adesso non ho queste foto, devo ancora recuperarle da Laura e Ciuffo
[ tattico spazio per foto ]
Finalmente il pullman ci scarica a Victoria Station. Per arrivare all’ostello ci serve la metropolitana, e per accedere alla metropolitana ci serve l’abbonamento. La macchinetta si rifiuta di caricarci la Oyster Card, tranne che a Martina. Forse è una macchinetta che discrimina chi non porta qualcosa di leopardato.
L’ostello sembra molto carino, che tradotto significa che non si percepisce l’odore di topo, il che va contro ogni nostra previsione, visto quanto avevamo pagato. Il problema principale è che per raggiungere le docce dalle camere bisogna percorrere una dozzina di rampe di scale e corridoi, fino ad arrivare a cinquanta metri sotto terra. Neanche i sotterranei di Hogwarts, insomma.
Metro, di nuovo, e stavolta senza bagagli. Usciamo alla stazione di Piccadilly Circus. Salgo quelle scale, e sento una sensazione stranissima: “è tutto così familiare…”. In Inghilterra è una splendida giornata di sole. La statua di Eros si staglia sulle pubblicità colorate dei palazzi. Le strade sono piene di gente e autobus rossi. Londra 2012 può cominciare.
Problemi esistenziali 2.0
/11 Commenti/in Cose che mi succedono, Quotes/da Alessandro BianchiOn air: Immanuel Casto, Crash
“Non capisco come mai mi diminuisce il numero degli amici di facebook.
A volte scende, a volte sale… Boh, vado fuori di testa”
[ cit. mora al pc dietro di me,
aula H del Polo Fibonacci,
cinque minuti fa ]
Have a nice London!
/15 Commenti/in Lists, Quotes/da Alessandro BianchiOn air: Planet Funk, Who said
“Fai ammodo”
[ mio papà ]
“Divertiti”
[ mia sorella ]
“Portami la regina. Anzi no, Pippa Middleton”
[ Lore ]
“Fate ammodo eh”
[ mio papà ]
“Non ho trovato i copriwater!!!”
[ Martina ]
“Mi raccomando fate ammodo”
[ mio papà ]
“Mi sta venendo un po’ di ansietta”
[ Ciuffo ]
“Buona Londra!”
[ Fede ]
La versione beta di Ryan Gosling*
/9 Commenti/in Cose che mi succedono/da Alessandro Bianchi* il titolo è tattico e fuorviante
On air: Lady Gaga, Hair
Dopo l’ultimo post ho paura che si dica che questo blog parli solo di cose importanti e filosofiche. Pertanto stavolta, e solo stavolta, tratterò del mio nuovo taglio di capelli.
Ebbene: è uguale al vecchio.
Ciò non esime i miei amici dal pronunciare uno o più complimenti non appena mi vedranno. Per i più poveri di fantasia, metto a disposizione qualche opzione a cui ispirarsi:
1) Ohhh, Ale: la tua bellezza mi strega come il canto di un usignolo
[ regola numero uno dei complimenti:
se in una frase c’è un riferimento ad un usignolo,
la poesia è garantita. Fanno eccezione cose
come: “sei bello come un usignolo morto” e simili ]
2) Ale, quanto sei figo: sei la versione beta di Ryan Gosling
3) Ale, vediamo: questo taglio ti si addice, cazzo, questi riflessi più chiari ti donano una luminosità unica, cazzo, il tuo profilo è convincente e convincerà sicuramente anche le case discografiche, mi piace, cazzo, TU ALE HAI L’X FACTOR!
In realtà non ho mai avuto bisogno di niente di tutto ciò. Non perché sappia di essere la versione beta di Ryan Gosling, chiaro. Semplicemente perché ho sempre saputo di avere un aspetto normale: un viso normale – che se buca lo schermo è solo perché il mio naso gli è troppo vicino – e soprattutto un taglio di capelli normale.
Invece stavolta sono uscito dal barbiere che non mi sentivo normale, ma più… basso. Per carità, mi piace il mio barbiere: l’ho scelto perché mentre ti taglia i capelli sta zitto, e non ti costringe a parlare di calcio/donne/politica/videogiochi, cosicché io possa farmi i cavoli miei e non sentirmi a disagio mentre lui intopa sopra il mio cranio.
Però stavolta mi ha reso più… basso, sì. No, non lo so in che senso! Chissà cosa voglio dire, però mi sento così. Per cui, amici, c’è una sola cosa da fare: ascoltarvi e leggervi mentre vi sperticate in complimenti.
Potete iniziare.