Una serie di sfortunati eventi

On air: Rino Gaetano, Glu glu
Evento #1
Succede che ieri sera perdo la cognizione del tempo. Non mi capita spesso: di solito sono perfettamente cosciente di essere in ritardo. Invece ieri guardando l’orologio ho scoperto che il parcheggio era scaduto da… da un po’. Raggiungo il posto dove avevo lasciato la macchina, e noto che alla vettura subito dopo la mia c’era una tizia che aveva tutta l’aria di essere quella tizia che dà le multe alle macchine col bigliettino del parcheggio scaduto. Faccio un respiro, tanto per perdere altro tempo, e mi avvicino alla mia auto. 
Evento #2
Sul parabrezza c’è una multa di ventiquattro euro che è la prova che quella tizia che aveva l’aria di essere la tizia che dà le multe alle macchine col bigliettino del parcheggio scaduto era effettivamente la tizia che dà le multe alle macchine col bigliettino del parcheggio scaduto.
Visto che uno dei primi insegnamenti che ho acquisito da quando ho compiuto 23 anni è che nella vita bisogna avere la faccia come il culo, mi sono rivolto alla tizia che dà le multe alle macchine col bigliettino del parcheggio scaduto. Ho cercato di radunare tutte le abilità teatrali di cui sono in possesso per produrre la migliore faccia da operaio-in-cassa-integrazione che mi era possibile, ma non sono riuscito a convincerla, e la tizia che dà le multe alle macchine col bigliettino del parcheggio scaduto mi ha lasciato la multa.
Evento #3
Così stamani vado alle Poste per pagare la multa, per non rischiare che mi arrivi a casa aumentata. Ma non vado alle Poste normali. Vado a quelle di Pisa: in una scala di gradimento del servizio postale italiano/mondiale/intergalattico, l’Ufficio postale di Pisa è circa a metà tra le Poste dell’Inferno e quelle di Gotham City. Entro, ed incredibilmente è vuoto. Il tempo di compilare il bollettino da pagare, e anche l’ufficio si riempie. Grandioso. Mi metto in fila. Arrivo dall’impiegata, mi fa il bollettino, mi sorride (che di martedì è un mezzo miracolo), passo la carta per pagare. Biribip. “Caro, mi spiace, ma si è smagnetizzata. Devi sostituirla, però non te lo posso fare io.” E mi indica lo sportello accanto, la cui fila misura qualche decina di chilometro. “E… ops, ti costerà cinque euro”.

Revival vol.1 – SFRANTOIO

In estate io e il mio amico Ciuffo (per chi non lo conosce: Ciuffo è un essere umano riconoscibile dalla particolare acconciatura che svetta verso l’alto) abbiamo pensato che non sarebbe stata affatto una cattiva idea farci dei cd da mettere in macchina per rallegrare i nostri viaggi verso aperitivi, pub, discoteche, centri commerciali, spiagge ed altri obiettivi più o meno intellettuali. 
Il risultato è – oltre allo sviluppo di una cultura trash/camp che adesso è parte di noi – una serie di compilation di revival che voglio riproporre ai miei fedeli lettori. Se volete, potete scaric… ehm: acquistare tutte queste tracce e farvi anche voi il vostro disco revival.
Iniziamo con il primo volume, che abbiamo chiamato Sfrantoio, in onore del tipico pubblico di ascoltatori che solitamente apprezza questo tipo di musica e ne fa (giustamente, sia chiaro) un vanto.

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Revival
vol.1

– SFRANTOIO –

01. Raffaella Carrà – Rumore

02. Heather Parisi – Cicale

03. Madonna – Material girl

04. Viola Valentino – Comprami

05. Donatella Rettore – Kobra

06. Olivia Newton John – Physical

07. Lorella Cuccarini – La notte vola

08. The Rocky Horror Picture Show – Touch-a touch-a touch me

09. Raffaella Carrà – Ballo ballo

10. Renato Zero – Il triangolo

11. Donatella Rettore – Lamette

12. Amanda Lear – Tomorrow

13. Abba – Mamma mia

14. Raffaella Carrà – Tanti auguri

15. Blondie – Call me

16. Donna Summers & Barbra Streisand – Enough is enough

17. Sabrina Salerno – Summertime love

18. Abba – Dancing queen

19. The Rocky Horror Picture Show – Sweet Transvestite

20. Gloria Gaynor – I will survive

I miei amici mi hanno regalato

– un fantastico cardigan verde e due splendide T shirt, perché conoscono il modo in cui mi concio
– un sacchetto di baci perugina e un altro di biscotti al cioccolato, perché conoscono le mie droghe
– una Moleskine e una penna Parker, perché conoscono i miei sogni
– una maglietta di Angry Birds, una di Snoopy e un volume di fumetti dei Peanuts, perché conoscono le mie fisse
– gli album della Rettore, di Amanda Lear e di Sabrina Salerno, perché conoscono i miei desideri proibiti
– uno scaldatazza USB e una borsa dell’acqua calda a forma di cuore, perché conoscono le mie trasgressioni notturne

– i fiori di Bach “calma & serenità”, perché conoscono le mie ansie

On air: The Corrs, At your side




Non credere alle fragole

On air: Micheal Jackson, Black or white
Innanzitutto mi scuso per il titolo. Non c’incastra praticamente niente col contenuto di questo post, ma è tutto il giorno che mi ronza in testa questa frase e la volevo mettere come titolo. Mi sento un imbecille ad essere fiero di averla coniata, ma lo sono.
Passiamo al post vero. Ho una piccola parte in una commedia teatrale (parte di cui sono orgoglioso, specifico), e vorremmo che il mio personaggio fosse vestito con un completo bianco. Ora, visto che la nostra compagnia è in rosso da quando esiste, non ci possiamo permettere un vero completo bianco. Per cui lo cerchiamo un po’ dove capita (vedasi il post sulle calze a rete, per intenderci), magari nei negozi dei cinesi o nei mercatini dell’usato. Ed è proprio ad un mercatino che la mia amica Martina ne ha trovato uno ieri.
Così, stamani mi sveglio tutto contento e mi dirigo al mercatino dell’usato. Varco la porta e contraggo quella mezza dozzina di malattie respiratorie che è d’uso prendere una volta messo piede in quel posto. Dalla nebbia emerge Martina che, dopo essersi tolta la maschera anti gas necessaria per la sopravvivenza a Polverolandia, mi mostra il completo che ha trovato.
Bellissimo. I lavori che dovremo farci per adattarlo alla mia taglia sono davvero minimi. Venti euro, solo venti euro: le casse della compagnia ringraziano. C’è solo un piccolo problema: non è bianco, ma grigio. Okay, grigio chiarissimo, ma pur sempre grigio.
A questo punto del post finisce la parte concreta e inizia la pallosissima allegoria che io, essendo una persona estremamente noiosa, devo trovare per forza. Forse perché devo credere di essere una persona profonda. Questa fissa di dover essere profondi è uno strazio, devo dire.
[ Pausa. Devo darmi lo scrub anti acne, scusate ]
Dicevo. La prima cosa che ho pensato è: usiamo la Coloreria Italiana e sbianchiamo il completo! Martina, sentendo la mia proposta geniale, mi dà gentilmente dell’idiota, facendomi notare che non è possibile colorare un capo non bianco di bianco. Nel senso che si può far diventare una cosa solo più scura, mai più chiara.

Puoi solo aggiungere, mai togliere.
Questa regola apre la mia mente contorta ad alcune considerazioni. Il processo di scurire una cosa è irreversibile. Tu parti con una cosa bianca. Puoi decidere se tenerla bianca, o cominciare a buttare qualche colore. Magari prima la fai giallina, come il catarro dei bimbi, poi passi al rosa. Poi rosso, viola, forse un blu pesante. E poi nero. Ma non puoi percorrere queste tappe all’indietro. Puoi andare solo verso il nero. E se ti sbagli? Lo tieni nero, cazzi tuoi.
E nella vita è così?
Metti che c’hai una situazione bianca. Ci stai bene in questa situazione bianca. Poi fai un errorino, e per sbaglio la tingi. Di rosa, per esempio, per dire un colore a caso. All’inizio ti può andar bene anche rosa, alla fine non è tanto diversa dal bianco, è solo un pochino più evoluta. Poi però succede che dici una cosa che non volevi dire, o agiti troppo la mano, e questo gesto impulsivo causato dalla tua intramontabile imbranataggine fa rovesciare la tinta verde sulla situazione, che diventa sempre più scura.
E quindi? Ci vorrebbe lo smacchiatore della vita! La Coloreria Italiana bianca, da usare sulle situazioni della vita. Ma non esiste. Non si può schiarire. Non si può togliere colore, solo aggiungerne. Comunque, ripensandoci: il verde è un bel colore, tutto sommato. Il fatto che non si possa tornare indietro fa parte del gioco. Okay, è la rovina degli abiti chiari, ma forse forse è anche ciò che li rende così rari e preziosi.
Cacchio, quanto sono profondo. Ho bisogno di biscotti.

23

Lelaina Pierce:     I was really going to be somebody by the time I was 23.

Troy Dyer:     Honey, all you have to be by the time you’re 23 is yourself.

Lelaina Pierce:     I don’t know who that is anymore.

Troy Dyer:     I do. And we all love her. I love her. She breaks my heart again and again, but I love her.

Tanti auguri a me,
tanti auguri a me ♪

Alla ricerca delle calze a rete

On air: Cyndi Lauper, Girls just want to have fun
Riassunto di tante cose inutili che vi servono per capire il post: lo scorso Venerdì andava in scena la mia commedia che è ambientata in una discoteca che è un posto dove lavora la cubista che è una ballerina che sculetta in maniera provocante che è quello che vuole il cliente che è sostanzialmente un pervertito che è la definizione che danno i sessuofobici alle persone dotate del senso della vista.
Ora, fatto sta che il giorno prima della messa in scena le cubiste non avevano le calze. Avevo bisogno di calze provocanti. Le attrici avevano già perlustrato qualche negozio e i mercati, ma di calze adatte nemmeno l’ombra.
Sicché mi armo di santa pazienza, prodotto che non si trova al supermercato e di cui ho definitivamente esaurito le scorte, e parto. Visito, nell’ordine: Stefan, la Coop, il Mercatone Uno, due negozi di cinesi, il Carrefour, un altro negozio di cinesi e infine un ultimo negozio di cinesi che vuole passare da negozio occidentale.
Poi, finalmente, entro in una merceria di due metri cubi. La merceria della salvezza. La commessa è una signora sulla cinquantina. Con un’acconciatura di dubbio gusto. Che stava leggendo un Harmony. Intanto che la televisione trasmetteva il Grande Fratello. Ma non mi importava, perché la signora aveva quello che cercavo: delle calze a rete a maglia ampia.
Che poi a me sfugge un pochino questa cosa della calza a rete. Dov’è che di preciso è provocante? Ma a quello ci posso anche arrivare, specialmente se mi immedesimo nell’essere umano maschile di sessant’anni per cui la cosa più provocante è il Tuca Tuca ai tempi di Canzonissima. La cosa a cui proprio non arrivo è: come diavolo fanno le donne a mettersele? Che ci crediate o no, io non ho mai indossato un paio di calze a rete, ma ho un paio di pantaloni con dei buchi nel mezzo, e tutte le volte che li indosso mi finisce sempre l’alluce in uno di quei buchi, e se me lo fa con dei jeans, con quelle calze sarei in trappola.

Comunque questo post fa schifo. Deve essere che ho mangiato le mele cotte che mi rendono sempre molto dolce. Quando sono acido rendo meglio. Domani per cena limoni in brodo.

Breve apologia dello yogurt all’ananas

On air: The pipettes, Your kisses are wasted on me
Ieri, a mensa. Vado prendere l’acqua. Sento uno che era uscito dalla cassa. E diceva:
“Bah, lo yogurt all’ananas,
perché lo danno a mensa?
Non lo vuole NESSUNO…
Per forza: non ha sapore!”
Bene. Non mi spreco nemmeno ad elencare le numerose proprietà nutritive, magiche e afrodisiache dello yogurt all’ananas, né perdo tempo per dire che è una delle cose più gustose che servono a mensa. Spero solo che quel tipo grasso e pelato che ha pronunciato la blasfemia sopra riportata possa morire affogato nello yogurt all’ananas, dopo essere stato violentemente frustato da due ananas giganti vestiti in latex nero mentre una creatura mitologica metà donna e metà ananas grida CREPA, SUDICIO ESSERE.
( Scusate, è che ieri avevo un esame, anzi, L’esame. Quello per il quale è una settimana che non aggiorno il blog, per dire. E l’avevo nel pomeriggio. Gli esami nel pomeriggio: li odio. Per come sono ansiogeno io, passo tutta la mattina a morire dentro e a trattare male tutti. Ciuffo mi ha voluto fare compagnia durante quelle ore di agitazione, e ci tengo a precisare che l’ha fatto a suo rischio e pericolo, perché io lo avevo messo in guardia a cosa sarebbe andato incontro. Si è limitato a dire “Oh-ho, livello acidità: Limone” quando io ho giustamente offeso un ragazzino che stava andando in bicicletta con la bocca aperta )

Questo post non parla di neve

On air: The concept, Damn
Nevica. Grandioso, avevo giusto voglia di leggere metà mio facebook che gioisce della neve e l’altra metà che se ne lamenta. Bah, scusate l’acidità. È che non mi torna un esercizio e divento bisbetico quando succede. E il fatto che non abbia trovato un sinonimo di “bisbetico” che suoni meno cinquecentesco di “bisbetico” mi rende ancora più bisbetico. Ecco, l’ho ri-scritto, tre volte. Così sono ancora più bisbetico. È un cane che si morde la coda, questo!
Comunque facebook è davvero uno strumento del demonio. Un fiocco di neve, e tutti a scrivere della neve. Una scossa di terremoto, e tutti a scrivere del terremoto. Ho come l’impressione che ci sia un certo gusto a farlo, a essere tutti uguali. E questo è un po’ triste: una delle mie “non scritte regole etiche” è che nonostante il mondo cospiri a farti diventare come gli altri, tu devi sempre cercare di rimanere te, solo te. E facebook aiuta veramente questa organizzazione che complotta l’omologazione di massa.

“Perché lo tieni?”, direte voi. “Non è mica obbligatorio, eh!”, cianceranno i più antipatici. Beh, perché non è facebook che è sbagliato. È l’uso che ne fa l’uomo. Un po’ come la bomba atomica, o il silicone. E poi perché mi permette di contattare persone che mai avrebbero voluto avere a che fare con me (sì, lo so che vi sembra incredibile, ma esistono). 
Per esempio, stamani ho scritto sulla bacheca di un gruppo musicale svedese, i Concept, la cui Damn è colonna sonora di questo post. Gli ho chiesto in maniera abbastanza adolescenziale se avevano intenzione di fare qualche data in Italia. E loro mi hanno risposto che dovevo radunare una folla di fan e sarebbero venuti! La quattordicenne che è in me ha iniziato a strapparsi i capelli dall’emozione, mentre il ventiduenne cinico&razionale che è in me ha cominciato a ripetermi che non avrei dovuto esaltarmi troppo per la risposta, perché probabilmente rispondono a tutti per cortesia, e che tanto non verranno.
Okay, ventiduenne, hai ragione, hai ragione.
Tuttavia, se qualcuno fosse interessato a sentirli dal vivo… Beh, dai, io ci provo, non si sa mai!

Di domeniche, cioccolatini e fortuna

On air:  Matrioska, La domenica mattina

( Okay, lo so che non dovrei iniziare un post con una parentesi. Ma questa è più una premessa, che una parentesi. Cioè: è sia una parentesi che una premessa. È una prementesi. Ma perché io devo scrivere queste scemenze all’inizio del post, che poi i lettori si scoraggiano?
Vabbè. Comunque volevo solo dire che è da diverso tempo che mi capita di scoprire, per un motivo o per un altro, che molte persone odiano le domeniche. Sembra che TUTTI odino la Domenica. Chiaramente anche io non posso esimermi dall’odiarla. Per il mal di testa, per il non riuscire a studiare, per quell’aria di non-so-che-fare barra non-ho-voglia-di-fare-nulla-anche-se-ho-un-monte-di-cose-da-fare. Forse è il semplice scombinare la routine della settimana. O forse è perché il giorno davvero odiato è il Sabato, più precisamente il Sabato sera. Perché okay, viva il Sabato, spesso ci si diverte un mucchio e ci si sfoga e si fa casino, ma ci sono certi sabati sera su cui va steso un velo pietoso. Ma anche una coperta pietosa. E se avete qualcos’altro di pietoso, stendiamocelo. In ogni caso, bisognerebbe pensare a un referendum per l’abolizione della Domenica come sinonimo di sfavamento. Che ne dite, la chiudo sta parentesi? )
Ero in camera mia, assorto dal tepore domenicale, quando ho deciso di dare una scossa alla mia vita: pertanto, ho aperto la scatola dei Baci Perugina e ne ho preso uno. Il messaggino odioso mi ha perplesso.
La fortuna, se sai cercarla, è più vicina di quanto pensi
Sono andato a ricercare il bigliettino di ieri. Sì, camera mia è un porcile. A volte mi dimentico di buttare le cartine dei Baci Perugina. Ma insomma, che ve ne frega di camera mia, siete forse mia madre? Ad ogni modo, il bigliettino recitava:
Se non cerchi la fortuna, sarà lei a trovare te.
Ora, carissimi Baci Perugina: MI VOLETE DIRE CHE DIAVOLO DEVO FARE?! La cerco o no, la fortuna? Siete un po’ incoerenti, Baci Perugina. Siete degli ipocriti, vi contraddicete l’uno con l’altro, e proprio quando una persona umile e sensibile come me ha bisogno dei vostri consigli. Ma voi no, non ve ne importa niente. Siete molto, molto, molto incoerenti.
…ma siete così buoni <3

Esseri umani #4

Ecco. 
Ora, direi che è il caso di fare una piccola analisi della questione. Perché 23 metri sopra il cielo? Sono giunto a una serie di ipotesi, tutte più o meno plausibili.
1. Non si ricordava il numero vero del titolo del libro di Moccia. Me lo immagino lì davanti al muro col dubbio. “Ma era tre metri o era due? Oddio oddio, non lo so, me tapino, me misero, possano gli dei fulminarmi per questa grave dimenticanza”. Alla fine il genio decide di scriverli entrambi.
2. A tre metri e basta sopra il cielo non c’è più posto. È tutto pieno. Invaso dalle coppiette. Il primo buco libero è a 23 metri.
3. Hanno visto il film con Jim Carrey, Number 23, e ne sono talmente rimasti impressionati che adesso lo scrivono dappertutto.
4. È il loro 23esimo mesiversario. Cazzo, che palle. E che fantasia. Qualcuno mi dica che questa non è realmente la ragione più probabile. Vi scongiuro…
On air: The xx, Island