Questi stivali sono fatti per deficere

Qualche anno fa io e una mia amica abbiamo osservato che, dopo tutta la mattina e gran parte del pomeriggio a studiare, iniziavamo ad esaurirci, e lo facevamo sempre intorno ad un’orario preciso: in media, le 16:07, chiamate anche il deficit time, in quanto era il momento in cui cominciavamo a deficere. 
( parentesi: iniziare a scavolare alle quattro di pomeriggio è una cosa veramente sgradevole. Troppo presto, ti rovini tutto il pomeriggio di studio. Con l’esperienza abbiamo capito che quando arrivava il deficit time avevamo bisogno di una pausa per rilassarci e non perdere troppo la concentrazione. Dio, che parentesi noiosa che è questa! )
Comunque, oggi ho cominciato a deficere verso le cinque e mezzo barra sei. Ho fatto la pausetta tattica, quindi tutto si è risolto in fretta, ma la cosa che vi vorrei riproporre è il prodotto del mio momento di esaurimento. All’inizio ho semplicemente cominciato ad emettere versi come Pa Ba Ba Ba Pa Ba Pa Pa. Tra l’altro devo sbrigarmi a registrarli alla SIAE perché Lady Gaga potrebbe copiarmeli e farci uscire il nuovo singolo della primavera.

Poi è partito il vero deficere. Forse stavo pensando al mio recente acquisto del paio di stivali. Fatto sta che sognavo a occhi aperti di aprire la porta dell’aula studio e iniziare a cantare a squarciagola questa canzone:

Ma la cosa non si fermava lì. In questo sogno facevo anche una specie di performance, che vi voglio illustrare verso per verso perché credo che abbia un non so che di artistico, e comunque non si sa mai: metti caso che il blog venga letto da un autore televisivo o da qualche altra creatura ugualmente terribile che mi possa offrire un ingaggio nel mondo dello spettacolo…
*** è consigliato ascoltare la canzone man mano che si procede nella lettura ***

You keep saying you got something for me 
[ Qui apro la porta e tutti i lucchesi, ovviamente, 
c’hanno da alzare la testa a guardare chi è entrato. 
Questo succede anche quando entra qualcuno in modo normale, 
non necessariamente devi ballare e cantare per farti notare ]
Something you call love but confess
[ Con un abile movimento richiudo la porta ]
You’ve been a’messin’ where you shouldn’t ‘ve been a’messin’
And now someone else is getting all your best

[ Comincio a camminare verso il salvacarta 
e mi appiglio alla lavagna dove sta il regolamento. 
Ballicchio un po’ dando le spalle agli studenti ]
Well, these boots are made for walking, 

[ Mi giro con un rapido scatto ]

and that’s just what they’ll do

[ Avanzo di qualche passo ]
One of these days these boots are gonna walk all over you

[ Pronuncio la frase finale 
con un’espressione misteriosa ma decisa. Nella parte strumentale mi muovicchio verso la porta del bagno. “Muovicchio è un neologismo che significa che cammino a tempo. “Neologismo” è, temo, una presa di culo ]

You keep lyin’ when you oughta be truthin’

[ Afferro la maniglia ]
You keep losing when you oughta not bet
[ Abbasso la schiena facendola ruotare. Non mi riesce 
spiegarlo bene ma vi giuro che è possibile 
e che nella mia mente è tutto ben delineato ]
You keep samin’ when you oughta be a’changin’

[ Apro la porta ed entro nell’anticamera del bagno.
Poi esco subito. Sia mai che decidano di chiudermi dentro ]
What’s right is right but you ain’t been right yet

[ Faccio l’occhiolino alla tipa che 
è da Agosto che sta preparando Anatomia ]
These boots are made for walking, 

[ Indico i miei stivali ]

and that’s just what they’ll do

[ Alzo l’altro braccio e indico il cielo 
e soprattutto spero che la pausa musicale duri poco 
perché sono in una posa davvero ridicola ]
One of these days these boots are gonna walk all over you

[ Incrocio le braccia. Sono un figo ]

You keep playing where you shouldn’t be playing

[ Mi rivolgo alle tipe che di solito giocano a scala quaranta.
Sempre che ci siano, e non siano in sala relax
a giocare a scala quaranta ]
And you keep thinking that you’ll never get burnt 

[ Faccio la linguaccia a Memole
che è una che sembra Memole ]
Well, I’ve just found me a brand new box of matches
And what he knows you ain’t had time to learn

[ Cammino verso Batman e Robin e li prendo per il golfino,
li alzo come se dovessi farli sbatacchiare insieme ma poi
non lo faccio e li rimetto giù. Il pubblico qui dovrebbe
ridere sinceramente divertito. Qualcuno può applaudire, magari ]
These boots are made for walking,

[ Indietreggio verso il centro della stanza ]

and that’s just what they’ll do

[ Mi fermo. Sono al centro. Mi guardano tutti ]
One of these days these boots are gonna walk all over you

[ Faccio una giravolta con l’indice puntato verso l’esterno.
Indico tutti. “You” siete tutti voi. Hahaha, che ganzo che sono.
Poi me ne vado. Senza accorgermi che ho la carta igienica
attaccata sulla schiena ]

Beh. Che c’è? Jessica Simpson ha fatto di peggio.

Baioccomanzia

On air: Ladytron, Predict the day
Sono sempre stato contrario a qualsiasi tipo di previsione del futuro. Ai tempi del liceo leggevo quotidianamente l’oroscopo di google (per forza, mi capitava nella home page!), e lo leggevo con passione pur non credendo a una sola parola di quello che c’era scritto. Perché lo leggevo? Perché pensavo che fosse un modo di prendere la vita col sorriso, visto che l’astrologa di google aveva sempre qualche cosa di positivo da dire. Perché aveva sempre qualcosa di positivo da dire? Beh, perché probabilmente l’astrologa di google è milionaria. O si fa di crack. O entrambe.
Poi ho iniziato ad odiare quell’oroscopo, perché parlava troppo bene del mio segno. Tutti i giorni, secondo la asDrologa di google, mi sarebbe dovuto capitare un incontro straordinario, o piccante. Ce l’aveva proprio con gli incontri piccanti, quella tipa. Forse è anche ninfomane. Comunque, l’unica cosa che poteva capitare di piccante a me era il tabasco. 
D’altra parte, le varie divinazioni esistenti mi hanno sempre affascinato. Trovo che i segni zodiacali siano una bella idea. Non possiamo dire con certezza se funzionino o meno, ma anche se non funzionassero si può dire che sono una bella idea, almeno artisticamente parlando, e sono studiati alla perfezione. Una mia amica legge i tarocchi. Ed anche un mio amico li legge, solo che ne ha inventata una versione molto più utile con carte quali La gonorrea o Il tirocinio. E poi c’è chi legge la mano, chi i fondi del caffè, chi le cacche degli uccelli, chi la sfera di cristallo, e a me piacerebbe sottopormi a ognuna di queste pratiche divinatorie. Tranne quella delle cacche degli uccelli.
Oggi però ne ho progettata una io: la lettura dei biscotti. Che è destinata a divenire la mia preferita, soprattutto perché alla fine si può mangiare il biscotto in questione (che sarebbe meglio se fosse un Baiocco). Ve la spiego brevemente: si inizia estraendo un biscotto dal pacchetto, dopodiché lo si analizza.
Se si estrae metà biscotto, bisogna vedere l’interno: se non c’è attaccata la cioccolata, guai in vista; se invece la cioccolata c’è, qualcosa andrà bene. Se dal pacchetto esce un biscotto spezzato significa distruzione e morte, peste e corna, vento e pioggia. 
Se si estrae un biscotto intero potrebbe succedere qualcosa di bello. Come mangiare il biscotto, per esempio.

Mettiamo che

On air: Katy B, Witches’ Brew

Mettiamo che io domani abbia un esame.

Mettiamo che io esca dall’aula studio per un caffè veloce.

Mettiamo che io vi trovi nella saletta relax, sedute attorno a un tavolo.

Mettiamo che in quel momento voi stiate facendo un torneo di Scala 40.

Mettiamo che finita la partita una di voi se ne esca con: No, che palle, bisogna calcolare i punteggi.

Okay.

Facciamo che d’ora in avanti io vi chiamo “deprecabili puttane”, vi va?

Sono un imbranato

On air: Sia, Bring Night
Sono un imbranato. Sono la classica persona che a una prima, superficiale impressione potrebbe vagamente ricordare qualcosa di figo. Poi, conoscendola leggermente meglio, scopri che di figo in quella persona non c’è proprio niente. Se fossimo in una commediola all’inglese, potrei benissimo essere la versione maschile di Bridget Jones, o qualcosa di simile. Il tipo che entra in una stanza con fare spavaldo e poi scopre di avere la carta igienica attaccata dietro. Quello che pronuncia un bel discorso finale per fare un’uscita drammatica e poi mentre esce inciampa in un secchio e sbatacchia nello spigolo della porta.
Sono un imbranato. E non lo dico solo perché oggi mentre affettavo il prosciutto ho rischiato di distruggere il frigo con il coltello. No, quelle sono piccole cose, robetta per imbranati principianti. Io ho il certificato di imbranato, rilasciato dalla federazione ufficiale mondiale dell’imbranataggine, e pertanto sono abilitato a creare catastrofi decisamente più mostruose. E poi ho un’aria un po’ tonta, e per formare un discorso semplicissimo faccio un milione di rigiri di parole che non si capisce niente, mi accorgo che non si capisce niente, mi interrompo e ricomincio da capo, e in questa maniera anche i pochi che erano sopravvissuti alla prima parte sono definitivamente impossibilitati a capire.
Sono un imbranato. E se qualcuno dei miei attori aveva ancora qualche dubbio in proposito, con le prove di stasera deve essersi irreversibilmente convinto che anche come regista sono l’incarnazione della goffaggine. E a mia discolpa non posso dire granché, se non la scusa che utilizzano sempre tutti gli incapaci volenterosi: ce la metto tutta. Magari è un po’ una paraculata, ma mi preferisco così che a una mia versione perfetta ma che fa le cose senza passione. Certo, non credo che potrò usare questa frase quando appuntando il lapis farò per sbaglio saltare in aria la facoltà. Ma per altre cose vale davvero la frasina che ho trovato nel bacio Perugina di stasera, un cioccolatino illuminante: “metti il cuore in tutto ciò che fai”.

Cos’è lo zucchero semolato

A volte mi scordo l’indirizzo di questo blog. Il che è preoccupante, visto che è il mio nome seguito dal mio cognome. In realtà non è questo che mi scordo, ma se in fondo ci vuole blogspot.com o blogspot.org (per inciso, ci vuole com).
Siccome ero al pc dell’aula studio, per trovarmi mi sono cercato su google. E per la prima volta ho realizzato che google ha quella straordinaria funzionalità del completamento automatico, che sarebbe il fatto che il motore di ricerca ti suggerisce quello che vuoi cercare offrendoti alcune possibilità prima che tu abbia finito di scrivere. Cerca di leggerti nel pensiero, insomma.
(oddio, sento il bisogno irrefrenabile
di ascoltare la sigla di È quasi magia Johnny.
Ecco, fatto. Scusate)
Dicevo che cercavo il mio blog su google. Finché scrivo “zucchero” non c’è da dire niente di rilevante. Ma non appena metto la “s”…
UUUUUUUH! Ci sono io!
WOOOOOOO! Ma sono un grande! 
YEEEEEEE! Che mito che sono!
Okay, in realtà se andiamo a vedere vengo dopo la definizione di zucchero sintattico nell’informatica, ma tutti vengono dopo Wikipedia, non conta. E poi c’è un’altra cosa che mi fa storcere il naso. E cioè che vengo superato dallo zucchero semolato.
Che non so manco che cazzo sia. 
(scusate la volgarità, ma qui si parla di un terribile affronto.
Vengo superato dallo zucchero semolato, non so se mi spiego.
Non lo zucchero normale: lo zucchero semolato.
Che solo a pronunciarlo sembra roba per pappemolli)
Bene. C’è solo una cosa da fare: parlare dello zucchero semolato. Di modo che chi cercherà informazioni sullo zucchero semolato troverà lo stesso il mio blog. Il mio blog che compare anche quando non lo vuoi. Come la maledizione di un faraone egizio, o un’unghia incarnita.
Dunque, lo zucchero semolato. Non credo ci sia molto da dire. Perché, carissimi miei lettori, lo zucchero semolato è lo zucchero normale. Quello che mettete nel quinto caffè per non sentirvi davvero dei dipendenti da psicoattivi. Quello che se vi finisce nel letto poi non riuscite a dormire per via di tutti i granellini. Quello che se vi cade per terra poi dovete subito pulire prima che quel punto del pavimento diventi un ricettacolo di formiche.
Tiè. La mia scalata nel web prosegue. A quale altra sostanza toccherà, la prossima volta? Cose e persone del mondo, state in guardia: parlerò di voi. Prima o poi.
On air: Cristina D’Avena, È quasi magia Johnny

Le frasi della giornata #2

On air: Romina Falconi, Un attimo

(1)
Vorrei ricordare lo stato d’animo con il quale 
gli italiani hanno dato larga adesione 
alle misure anche molto dure che il governo ha dovuto adottare
[ Mario Monti, evidentemente bisognoso di un ripasso
sul significato di dare larga adesione ]
(2)
Uhhh, senti come sarebbe bellino CLOACA per il nome di una bevuta!
Cloaca: un cocktail di merda!
[ Ciuffo, forse esaurito dallo studio ]
(3)
Certamente che abbiamo degli slogan:
– se stanno bene i giovani, staranno bene anche i vecchi
– tutti i giorni sarà una festa
– Lucca capitale mondiale della Toscana
[ Andrea Colombini, candidato sindaco per la città di Lucca. 
Avendo un cervello così non poteva che darsi alla politica ]
(4)
Non è da tutti quello che ho
se non mi preghi non te la do
[ Romina Falconi, Un attimo
Così giovane, già un mito ]
(5)
Che scioperino pure. Tanto io il taxi non lo prendo
[ mia sorella, a cena.
Così giovane, già un mito ]

Risposte monosillabiche (o: del mio ritorno a Pisa)

On air: Rino Gaetano, E la vecchia salta con l’asta

, caro purè: nella tua ricetta è stata aggiunta una quantità arbitraria di vinavil.

No, idiota di una commessa di Zara: il vestito di paillettes dorate non è per me.

, studente straniero che viene a mensa: tu sei cinese e quindi prendi il riso. L’equilibrio cosmico è stato rispettato, ancora una volta.

No, Bacio Perugina che mi guardi con quell’aria da cagnolino bastonato: non ti risparmierò.

, stivali comprati ai saldi: siete dannatamente fantastici.

No, tipa accanto a me in fila alle poste con le cuffie nelle orecchie a volume altissimo: il fatto che tu voglia ascoltare i Korn non significa che voglia farlo anch’io.

Quattro cose false e una vera.

On air: Lykke Li, Get some
1. i Baiocchi mi fanno vomitare
2. penso che Mario Monti sia tremendamente sexy
3. non è vero che il mio naso assomiglia a quello della Befana
4. adoro ricevere le martellate sulle dita
5. di tutti i giorni di Febbraio, l’esame più importante del mondo, quello che se boccio non mi consentirà di laurearmi nel 2012, quello che in pochissimi riescono a passare la prima volta che lo provano, ecco, quell’esame lì, è stato messo esattamente due giorni prima della data del mio spettacolo teatrale, nel pieno della settimana delle prove generali.
Dai, indovina quella vera.

A me, io auguro

Il mio discorsino di fine anno è diventata una tradizione dei miei blog. Forse mi credo un po’ troppo un Presidente della Repubblica, dev’essere a causa di quel mio piccolo problema coi deliri di onnipotenza. Ad ogni modo, eccomi. Un po’ in ritardo, forse: oggi è già il 2 Gennaio, e questo post sarebbe dovuto arrivare prima. Non ce n’è stato modo: non sapevo che cosa scrivere, precisamente, e non volevo che ne uscisse fuori qualcosa di forzato. Eppure sono stato per diverso tempo a pensare a cosa augurare ai miei lettori, ai miei amici e a tutto il resto del mondo. Volevo che fosse qualcosa di sincero e sentito, ma non m’è venuto in mente niente.
Poi ho capito che, proprio all’inizio di quest’anno, avrebbe avuto più senso non augurare niente a nessuno. In fondo, ciò che ho scritto l’anno scorso è un augurio che rinnovo a tutti quanti, e vale ancora. Ma è proprio a termine del 2011 che la persona che più merita i miei auguri… sono io. 

Quella che segue è una serie di auguri che io spero per me stesso.

A me,
io auguro di riuscire a pensare davvero di più a me. Nei primissimi mesi del 2011 mi sono accorto, in una maniera abbastanza violenta, che nella classifica di persone importanti io non ero al primo posto. Mai, nella mia classifica. Quella posizione era sempre occupata da qualcos’altro. Piano piano ho cercato di cambiare questa situazione, e ci sono riuscito in un modo piuttosto mediocre. Il primo augurio che mi faccio è quello di vincere la mia personale guerra d’indipendenza, quella lotta con me stesso, che è in realtà il mio più grande nemico. E forse, la strategia per vincerla è trasformare il mio peggior nemico nel mio migliore amico.
A me,
io auguro, ancora, i miei amici e le mie amiche. Perché è vero che ci sono alti e bassi, e che ci sono dei momenti in cui non ci capiamo, o che tutti sono presi dalle proprie cose e non hanno tempo di pensare alle tue, ed è vero che a volte ti deludono proprio quando tu ti aspettavi qualcosa di più. Ma prima o poi, se le amicizie sono vere, i bassi tornano alti, e torniamo a capirci e a parlare e ridere insieme, e loro sono lì, zuccherosamente idioti come sempre, a impegnarsi come dannati per non farmi sentire solo.
A me, 
io auguro di capire che non occorre tenersi tutto dentro per stare bene. Perché tra lo sfogo continuo e disperato e la repressione totale dei propri sentimenti ci sono diversi chilometri, ed è possibile trovare una via di mezzo tra questi due estremi. Non è essendo freddi e distaccati che si è più forti. E non è farsi vedere più forti che ci rende forti. A volte è possibile accettare l’aiuto di qualcuno e, soprattutto, a volte è possibile chiederlo.
A me,
io auguro di non dimenticare mai che quello che ho è qualcosa di veramente prezioso. E non parlo solo del fatto che ho una casa e dei genitori che hanno un lavoro, o del fatto che posso fare l’università; non parlo solo del fatto che nel mondo scoppiano le guerre e i bambini in Africa muoiono di fame e ci sono paesi in cui l’alfabetizzazione è al 5 per cento; e nemmeno parlo solo del fatto che ho una famiglia e degli amici che mi vogliono bene. 
Perché, oltre a tutto questo, c’è il fatto che mi piaccio. Perché ho degli interessi, e metto passione nel fare le cose, e ho tante idee, e ambizioni, e cose in cui spero e cose in cui credo, e sono capace di amare. E nonostante io sappia che ci saranno ancora tanti, tantissimi altri momenti in cui mi chiuderò in me stesso convincendomi di essere una persona vuota, la verità è che non lo sono.

A me,
io auguro di non mollare. Capita, di solito di notte, di trovarmi da solo, steso sul letto, a ripetermi che ora passa, che prima o poi andrà meglio.
A me, io auguro che andrà meglio.

Armadio 2.0

Riassunto delle puntate precedenti: la sera del 24 Dicembre 2009, praticamente due anni fa, finisco di rendere il mio armadio un’opera d’arte. Non erano passate nemmeno otto ore che un fiume entra dentro casa mia senza chiedere il permesso, e tra le cose che ha danneggiato c’era anche il mio armadio-capolavoro. Potete trovare delle foto in fondo al post che vi linko qui, se vi interessa. 
Quando i miei ordinano l’armadio nuovo, io dico loro di non spenderci soldi e prendere il più scacioso di tutti, perché ci avrei di nuovo elaborato sopra qualcosa. Inciso: “scacioso” è un vocabolo appartenente a una terminologia prettamente tecnica e non mi aspetto che tutti la afferrino.
Caso vuole che mi sono trovato a stagliuzzare, scotchare e progettare proprio il 24 Dicembre. I miei lettori più sensibili saranno già esplosi in un poderoso Mavaaaa! e io metto subito le mani avanti: non l’ho ancora finito. Anzi, diciamo che l’ho semplicemente iniziato.
( mia sorella può testimoniare che l’ho fatto io, visto che è venuta a vedermi mentre ero all’opera. Tra l’altro ho sfruttato l’occasione per farle sviluppare una cultura sulla trash music, dato che mentre lavoravo avevo avviato la playlist trash che comprende perle come T’appartengo di Ambra Angiolini, Give a little mmh to me di Amanda Lear e Baratto di Renato Zero. Non conosceva nessuna di queste, ma ho provveduto, e quando se n’è andata stava ancora canticchiando il motivetto di Ode al reggiseno di Jo Squillo )
Comunque, questo è il risultato parziale. Sarebbe bellino se ogni volta che vado avanti con l’armadio pubblicassi gli sviluppi qui sul blog! Sì, che idea geniale, dai! Naa, non lo so se mi va.

On air: Sound of arrows, There is still hope

Through the fear and fire
Past love and lust for gold
Within the darkest hour
There is still hope

And in the dead of night
Out somewhere in the sky
The sun will always shine
Burning with hope

And it will never ever go away

After all their lies
And how it haunted me
And what they made me be
There was still hope

Following the wind
To make it possible
Deep down I knew
That’s what I’ll do

‘Cause it will never ever go away

When all is dead
You’re feeling mislead
Just let it go, let it go away

Words they said
Have gone to your head
Just let it go away

Through the fear and fire
Past love and lust for gold
Within the darkest hour
There is still hope
That you’ll come back to me

And you would never ever go away

When all is dead
You’re feeling mislead
Just let it go, let it go away

Words they said
Have gone to your head
Just let it go away

Now feel my heart it’s racing
Carrying the flame
All my bones are aching
I’ll never be the same

Climbing up the endless
Learn to be your own
Drums sounding like thunder
Bring the boys back home