Di come ho scoperto la verità su Babbo Natale

On air: Edoardo Bennato, Quando sarai grande
Lo so: è troppo presto per un post sul Natale. Non solo, ma nessuno sente il bisogno di un post sul Natale… adesso. Tre giorni fa mi sono svegliato spalancando gli occhi e gridando Oh no: tra un mese è Natale. E sono stato male tutta la giornata perché quella consapevolezza si era impadronita di me e mi lacerava l’animo. Un po’ come il verme solitario, insomma.
Comunque, vorrei esorcizzare questo mio disturbo intestinale parlandovi di come ho scoperto la verità su Babbo Natale. È stato quello stronzetto di Nicola F, in terza elementare. Io ero (ero?) ancora un ingenuo bimbino che in quel momento stava fantasticando sui regali che Babbo Natale gli avrebbe portato di lì a poco, e lui con fare subdolo e un ghigno malvagio mi fa Ma guarda che non esiste.
Io che ero (ero?) bravo e buono e bello, non riesco a credere ad una cosa del genere. Quindi vado da quella che per me era (era?) la massima autorità in qualsiasi campo, la detentrice della verità: LA MAESTRA LEDA. “Maestra, maestra, ma Nicola ha detto che Babbo Natale non esiste!” Oddio che antipatico che ero. (ero?)
E lei? Si mette a ridere. E dice di chiedere ai miei genitori.
Okay. Torno a casa e con fare molto pratico e solenne raduno mamma e papà in salotto. “Mamma, papà, ma Nicola ha detto che Babbo Natale non esiste.” Stavolta non metto il punto esclamativo finale, ma il punto fermo. Come a dire che il sottotesto era: vorrei che mi forniate una spiegazione esauriente, grazie. E loro si guardano. E poi cominciano a spiegarmi tutto, che non esiste davvero, che erano loro che prendevano la lettera, la leggevano e andavano a comprare i regali, che non bisognava dirlo a mia sorella (che poi quella farabutta lo scoprì ma finse di non saperlo, perché lei è quella furba dei due), che era nonno che buttava i dolcetti sulla parete in modo che sembrasse che cadessero dal soffitto…
Io ascolto tutto e comincio ad elaborare. Ero (ero?) un bimbino piuttosto razionale, quindi non accusai troppo lo shock, ma cominciai subito a pensare. Quando giunsi alle mie conclusioni, dovetti chiarire un ultimo punto. E feci:
“Ma la befana esiste però, vero?”

Happy Blog!

Dai, dai. Butto giù due righe.
Questo blog compie tre anni.
Ecco, sono due righe. Oh, no: adesso che sto scrivendo anche questa riga sono diventate tre! Beh, ormai posso buttare giù qualche altra riga. Diciamo che non ricordavo nemmeno che il 26 Novembre fosse il compleanno del blog. Nel 2008 si chiamava ancora Nel senso (titolo riferito al fatto che dico spesso “nel senso”), poi l’anno scorso ha cambiato titolo e indirizzo ma la sostanza è rimasta la stessa: cazzate.
Nel mio primo post (snif snif, che emozione rileggerlo, potrei vomitare) dicevo che avrei evitato volentieri che mio papà lo leggesse. E adesso, a tre anni di distanza, so che mio papà è uno dei miei più accaniti lettori. Forse l’unico.
Saluto mio papà e tutti quelli che mi conoscono!
On Air: Natalia Kills, Activate my heart

7 Link Project

On air: Giulia y Los Tellarini, Barcelona
La carissima Eleanor Rigby mi invita a fare questo giochino, e io colgo la palla al balzo almeno faccio pubblicità al mio blog. Devo linkare sette miei post

1) il post il cui successo mi ha stupito

Sicuramente questo: Dolcenera // Freddo resoconto della notte di Natale. L’ho scritto più per sfogo che per pubblicarlo. Avrei potuto liberamente tenerlo per me, e invece mi ritrovo il blog invaso dalle visite.
2) il mio post più popolare
Le statistiche di Blogger mi dicono che è questo: Elenco di insulti ed elucubrazioni pungenti relative alla neve. La sera avrei dovuto far baldoria dopo una settimana di prove e cose altamente stressanti, e la neve mi ha bloccato in casa. Nervi.
3) il mio post più controverso
Credo questo, per l’argomento trattato: La mia personale e discutibile opinione sulla terribile vicenda di Sarah Scazzi. Sono sempre stato un pochino cinico.
4) il mio post più utile
Bene, dovete sapere, nel caso non ve ne foste accorti, che IO NON HO SCRITTO MAI NIENTE DI UTILE!!! Però linko questo post perché ricordare questo post a qualcuna delle mie amiche potrebbe essere utile 🙂 La mia amica Federica è come la bella Camilla…
5) il mio post che, secondo me, non ha avuto l’attenzione che meritava
Non so, non mi sono mai fatto troppe aspettative sui miei post. Metto questo qui, che ha segnato un passaggio importantissimo della mia vita: Tagliare. Ehm, sì, si parla di capelli.
6) il mio post più bello
Sono abbastanza sicuro, stavolta. A te, io auguro è un post che ho scritto davvero col cuore. In un periodo in cui potevo permettermi di scrivere col cuore, perché sarò anche stato imparanoiato da mille cose, ma ero un paranoico felice. Dovrei rileggerlo, questo post, dovremmo rileggerlo tutti. Forse più tardi.
7) il mio post di cui vado più fiero
Tutto il mio maestoso Progetto Faces. Perché è una stronzata, ma è una stronzata geniale!
Ma siccome è un singolo post che si chiede, dico questo: Orfeo.
Adesso devo passare la palla ad altri sette blog. Eccoli qua!
6) http://www2.imperial.ac.uk/blog/insertcoffeehere/ (non so se Alan ha scritto già sette post, ma quelli che ha scritto sono fantastici!)

Le frasi della giornata

On air: Gogol Bordello, My companjera
(1) 
Ogni cosa bella ha una fine, e questo è vero anche per le connessioni TCP

[ Kurose & Ross, Reti di Calcolatori e Internet – un approccio top-down ]

(2)

Più vuoi e meno avrai, più dai e meno prendi, prima lo si impara poi pappapparaparapappappara
Più sogni e meno fai, più fai e meno sogni, prima lo si impara poi pappapparaparapappappara

[ Fabri Fibra, Vip in trip ]
(3)
C’è una linea sottile, e dopo di quella… la perdizione!

[ una madre alla figlia ]
(4)
Mi dispiace dissentire, per me il caso è elementare: 
il ragazzo è un immaturo, non ha fatto il militare

[ Edoardo Bennato, Dotti, medici e sapienti ]
(5)
È la fine dell’Europa

[ mia madre in vena di catasfrofismo ]

(6)
Ti manca il potassio, Ale. C’è nelle banane

[ mia nonna ]

Pocket Cocaine

Probabilmente quella che vi sto per proporre è un tipo di ironia molto facile, però in questo momento è più forte di me. Per favore, guardate questa pubblicità. Sempre che non l’abbiate già vista: perfino io che la televisione la utilizzo più per ricordarmi che siamo in una società lobotomizzata dalle immagini che per personale intrattenimento, questa pubblicità l’avrò vista un sacco di volte.

Ora, sarà che Irene Grandi mi ha sempre fatto pensare ad una drogata (chi sa come mai ho questa idea così astrusa, pofferbacco!), o sarà che la canzone della pubblicità è esattamente la versione in strofe di ciò che dice un eroinomane al proprio spacciatore, o sarà che il camper del video è il classico luogo dove si radunano i trentenni il sabato sera a farsi di crack, fatto sta che tutte le volte che guardo questo spot ho l’impressione che al posto del Pocket Coffee la cara Irene tiri fuori dalla borsetta un bel sacchettino di polvere bianca. La carica e l’energia, sempre con te, insomma.

On air: Oh Land, Voodoo

Scala della bellezza

On air: Sound of arrows, Magic
Stavo osservando la mia scrivania nella vana attesa che si rimettesse in ordine da sola. Come si arguisce facilmente dal tattico accostamento dell’aggettivo “vana” alla parola “attesa”, la scrivania non si è messa in ordine da sola, ma durante la mia osservazione ho potuto scorgere un tovagliolo rosso.
Un tovagliolo molto importante, perché era pieno di scritte, la maggior parte delle quali non si possono riportare, dato che diverse persone perderebbero la loro credibilità già di per sé irrisoria. Diciamo che la scritta più grossa e centrale del tovagliolo è TAVOLO DEGENERO. 
Ad ogni modo, una cosa abbastanza carina – e riportabile senza troppe conseguenze – è la Scala della Bellezza. Ovverosia la classificazione dei termini con cui definire la bellezza di una persona. Se aveste per caso qualche dubbio, preciso subito che si tratta di bellezza prettamente fisica. Sia mai che voglia esprimere un concetto profondo, io. 
1. Fabile. Letteralmente “che si può fare”. Scopabile, diciamo. Ma carinega ( = “carino/a, ma da ‘na sega”). Cioè, proprio se sei disperato. O ubriaco. O entrambe, che è una cosa molto comune. 
2. Carino/carina. Possiede il minimo indispensabile per essere ritenuto classificabile. Che ne so: un bel colore degli occhi. Delle belle mani. A volte mi sono ritrovato a dire “beh, ha un bel collo”. Ecco.
3. Carino carino/carina carina. Nel complesso ha un aspetto gradevole. Una bella acconciatura, un bel viso, un bel fisico. Serve per definire quelli individui che… beh, non è proprio possibile definire belli, ma solo carini non basta. Allora sono carini carini.
4. Mooolto carino/carina. Notare le tre o, che sono fondamentali. Deve essere pronunciato come una specie di muggito. Provate. Il muggito serve per sottolineare come ci sia una certa differenza con il carino carino nell’ambito dell’attrazione fisica.
5. Figo/figa. È il ragazzo che se entra in una stanza non sei il solo che si gira a guardarlo. È la ragazza che se ti siede accanto a mensa c’è il rischio che tu ti sbrodoli la minestra addosso.

6. Bono/bona. No, rinunciaci: non lo avrai mai.

7. Bello/bella. La perfezione. Sia il suo viso che il suo corpo sono così belli che staresti un’ora a guardarli e non ti stancheresti. È assimilabile a una divinità. È una di quelle cose che vedi al cinema, o sui giornali, e quando le vedi pensi che non esistono. Effettivamente, nessuno sa se esistono o no.

Sul tovagliolo sono anche presenti delle bozze delle Scale del Fascino (che è una cosa ben diversa dalla bellezza!) e della Bruttezza, ma devo perfezionarle prima di poterle pubblicare. So che adesso manifesterete il vostro dissenso nei confronti della terminologia sopra espressa, ma datevi pace: il Tavolo Degenero non sbaglia. Soprattutto dopo svariati bicchieri di prosecco.

Cosa è successo oggi 11/11/11 alle ore 11:11.

On air: Regina Spektor, Us
Io, in un laboratorio informatico di Pisa, stavo leggendo Introduzione alla probabilità, non capendoci niente.
Emilio Frassini, sempre a Pisa, in Borgo Stretto, stava inzuppando una macina in una tazza di thè caldo. Non era andato a lavoro per una leggera influenza, e in quel momento si stava godendo il piacere di essere malato.
Alice Solfrizzi, quindicenne di Siena, osservava i suoi ricordi dal finestrino del treno in movimento. Era la prima volta che marinava la scuola, ma ora che l’aveva fatto non ci trovava niente di così emozionante.
Francesco Del Vecchio osservava la sua Marina Di Campo completamente distrutta. Con la casa allagata e la macchina messa fuori uso dal corso d’acqua che pochi giorni prima aveva travolto la zona, pensava di essere fortunato ad essere sano. Si asciugava le lacrime, appena prima di riprendere la pala e continuare a pulire.
Annarita Martini, 63 anni di Caserta, aveva appena vinto la terza partita di Briscola contro suo nipote Federico, e stava pensando che adesso lo avrebbe fatto vincere.
Maria Chiara Giordano rileggeva i messaggi di Michele e piangeva.
Donato Bachini, 45 anni di Torino, ascoltava il suo dottore dirgli che no, quello che si evinceva (o una parola simile che Donato non capiva) dalle lastre non era affatto grave e che no, non era necessaria un’operazione, e che certo, se voleva poteva chiamare la moglie per tranquillizzarla.
Il professor Rugani spiegava in una scuola nel comune di Varese che per due punti passa una e una sola retta e che per un punto passano infinite rette; e Filippo Grimaldi scarabocchiava sul quaderno il suo nome, pensando che i punti da soli hanno infinite possibilità mentre quando sono in due devono seguire un’unica strada, e poi sorrideva perché si era accorto che stava pensando una cazzata.

Giovanni Astolfi si trovava all’anagrafe di Vicenza e firmava gli ultimi documenti. Di lì a poco suo figlio avrebbe ufficialmente assunto il nome con cui tutti lo avrebbero chiamato per tutta la vita: Felice, Felice Astolfi.

Giada Davini teneva per la mano Michela e le confessava che avrebbe tanto voluto un figlio, che lo avrebbe voluto biondo e con le lentiggini, ma che lo avrebbe amato anche se fosse stato moro o di qualsiasi altro colore di capelli, e sentiva le dita di Michela che si stringevano alle sue.

Amedeo Vannucchi, 23 anni di Messina, riponeva il telefono e tornava dentro le coperte dove i suoi sogni potevano finalmente riprendere.

Domande, #10


Credo che le risposte rendano saggi

ma le domande rendono umani




Sentivamo davvero la necessità
di un nuovo album di inediti di Laura Pausini?
Perché in Inghilterra la 29 è una 26?
Non è buffo
che in Italia il giornalista medio
sia un coglione?

Vero che
MDMA
sarebbe un magnifico nome per un gattino?
Vero? Vero?

Ma credete davvero
di potervi permettere
di tirarvela
così tanto?!

Vedere Shakespeare stuprato
su un palco, è un motivo sufficiente
per non andare più a teatro
per un mese?

Okay, sei svedese
e io non so nemmeno pronunciare
“Swedish” in inglese,
ma questo è un buon motivo
per non offrirmi la tua vodka alla menta?

Non voler sentire niente
riguardo all’alluvione di questi giorni
significa che sono un insensibile?
Devo davvero giustificarmi?

Silvio, ma ti dimetti o no?!

Riuscirò ad evitare di ascoltare i nuovissimi,
attesissimi, “bellissimi” 19 brani del Teatro degli Orrori?
Radio, avete pietà di me?

Quanta ansia può riuscire a calmare un Negroni?
Per quanto tempo?
Perché parlo solo di alcool?
NON SONO UBRIACO (vero?)

Come si sta
a non dover tenere a bada un innamorato?
Come si sta
a non avere nessun immaturo tra i piedi?
Come si sta
a non doversi curare di chi ha bisogno di te?
Una vita perfetta è
davvero
così perfetta, ora?
On air: Florence + The Machine, All this and heaven too
(è o non è una signora canzone? Cristo, lo è o no!?)