Forse non è la canzone che esprime al meglio il mio umore,
forse non ho voglia di dire qual è la canzone che esprime al meglio il mio umore.
Forse non so che dire.
Forse clicco su Pubblica post e basta.

Le confessioni di un pesce rosso

Avete presente la sensazione di non saper come iniziare a fare una cosa che tuttavia sapete di dover fare? Ecco, mi sento così. Non so cosa scrivere, ma so di dover scrivere qualcosa. La verità è che la scrittura per me è qualcosa di particolare: è complicato da spiegare, ma è come se i miei pensieri diventassero reali solo dopo averli scritti. O meglio: è come se solo scrivendo io riuscissi ad ammettere le cose a me stesso.
Per questo motivo sento di dover scrivere qualcosa: perché, in realtà, io devo ammettere qualcosa. Qualcosa che finché non scrivo non riuscirò a credere.
Ma da dove comincio?
Nella mia vita ho avuto quattro pesci rossi. Due erano miei, e si chiamavano Lillo e Lilla. E due erano della mia classe, in quinta superiore, ma effettivamente erano miei perché gli davo sempre io da mangiare; e a ricreazione chi puliva il loro acquario? Io. Ed è legge, che se pulisci l’acquario sei anche automaticamente il padrone dei pesci rossi. 
Mi hanno sempre fatto pena, come animali domestici, i pesci rossi. No, non per il fatto che non ti comunicano sensazioni, e non per il fatto che non ti danno affetto, e nemmeno per il fatto che è evidente che sono più o meno degli animali da arredamento. Mi hanno sempre fatto pena perché sono soli, racchiusi in una boccia di vetro che filtra loro solo alcune distorte immagini dell’esterno.
Mi sento un po’ un pesce rosso. Solo, e con tanta vita al di fuori dell’acquario, vita che tuttavia non riesco a mettere bene a fuoco. Mi avvicino al vetro e scorgo un po’ di cose. Due occhi verdi. Una focaccia. Una bottiglia di vodka. Farfalle viola. Un paio di scarpe bucate, le mie preferite, e una t-shirt nera della Coop. Un piumone che bastava appoggiare. Un accappatoio tra la maniglia e il muro. Una catena. (Rubata.) Una serratura rumorosa. E ancora gli occhi verdi.
Ho passato gli ultimi mesi a costruirmi la vita basandomi sulla persona che abita questa stanza. E ho commesso un errore atroce. E naturalmente non perché questa persona non mi meritasse, o non fosse quella adatta a me, o non fosse una bella persona. Cazzate. L’errore è stato un altro, e cioè quello di dimenticarmi del mio acquario. Quello in cui vivo solo io, quello in cui mi nutro e nuoto. Dimenticarmi che prima della stanza c’è il mio acquario. Che prima degli altri ci sono io.
Non sono stati giorni semplici. Non saranno giorni semplici. Anche in questo istante preferirei qualsiasi cosa piuttosto che essere nella mia mente. Delle volte mi sembra di esplodere. Altre volte mi manca il respiro. È come se mi avessero aspirato il cuore e non ci avessero messo neppure un po’ di segatura per sopperire al vuoto. Perché è così che mi sento: vuoto.
E per dieci giorni mi sono sentito così: vuoto e spento e totalmente privo di un motivo. Sapevo che doveva funzionare così. Mi sono preso il mio tempo per stare male, perché tanto sapevo che avrei dovuto stare male. Ed effettivamente sono stato male, e non potevo farci niente, assolutamente niente.
Ma poco fa ho ripensato a un messaggio che ho mandato ad una mia amica il mese scorso. Si era appena lasciata dal ragazzo e io le ho scritto che doveva costringersi ad essere forte. Sì, perché lo so che a volte non si riesce ad essere forti, ma bisogna esserlo, sennò non lo si diventerà mai.
E allora adesso prendo quel messaggio e me lo spedisco. Ale, devi essere forte. Costringiti ad essere forte. Trova un motivo dentro di te, non nelle altre cose, non negli altri. Rispetta i tuoi amici, rispetta chi ti vuole bene, ma soprattutto rispetta te stesso. Devi volerti bene. E no, cazzo, non è una frase detta così per dire. È la base da cui partire: è assolutamente necessario che tu ti voglia bene.
Non è stato facile scriverlo. E non solo perché tutto questo potrà sembrare ridicolo, paraculo, vittimistico e bisognoso di attenzioni, ma anche perché adesso mi tocca impegnarmi e reagire.
Comincia un periodo in cui dovrò imparare a pensare a ME. Alla MIA felicità. Alla MIA indipendenza. Al mio acquario, che invece di acqua è ripieno di Negroni. Scriverlo non è stato facile, ma metterlo in pratica lo sarà ancora meno. E non sarà divertente, e non sono nemmeno così sicuro che dopo sarò una persona migliore, e non ci sono certezze su dove sia il punto di arrivo, se ci sia, quanto ci si metta per raggiungerlo.
Ma di una cosa sono convinto: prima di amare gli altri, devo amare me stesso. Fanculo tutti.

Maiuscole

Le persone mi chiedono come mai in chat, su facebook, ovunque, metto sempre le maiuscole all’inizio del discorso – infatti l’abitudine della gente è quella di non preoccuparsene.

Ebbene: metto sempre le maiuscole perché voglio che un giorno, quando non ci sarò più, dicano di me: “Era un bravo ragazzo… Metteva sempre le maiuscole”

Usi e costumi





Alle cinque di pomeriggio
le signore inglesi 
bevono il thè.

Alle cinque di pomeriggio
le popstar
stanno ordinando un Cosmopolitan.


Il primo.



Notte, biscotti.

Non ho niente da dire.
Sono in camera mia, c’è un casino assurdo sulla scrivania, la luce della lampada è accesa, le mie dita battono sulla tastiera e mi sento vuoto.
Forse è per questo che cerco di riempirmi con dei biscotti. Che poi non dovrei, perché a che serve andare a correre se mi rimpinzo di biscotti non appena ho spazio nello stomaco?
Bisognerebbe convivere con il senso di vuoto. Se riusciamo ad andare avanti con niente, figurati come vai forte quando hai qualcosa. Ma se vai avanti solo quando hai qualcosa, se perdi quel qualcosa poi non riesci più a muoverti.
Proviamo. Dato che mi sento vuoto, voglio farvi vedere che riesco ancora a dire qualcosa. Potrei fare come Natalia Kills, che quando ha un calo d’ispirazione inizia a cantare parole a caso – meglio di Vasco Rossi, che quando ha un calo d’ispirazione comincia a dire cose come “EHHH”. Pensieri a caso.
Piove sempre nel weekend. Anche il prossimo, pare.
Quando studio a Lucca vado sempre a pranzo da Danne, che è una specie di alimentari che però fa anche primi, insalate e panini, e da un po’ di tempo mi sono fissato con l’insalata tonno e olive. Che è buonissima, tra parentesi. Solo che non capisco perché si chiami tonno e olive, visto che dentro c’è di tutto. Ieri la bimba mi c’ha messo dentro anche il mais. E oggi mi ha chiesto se ci volevo il farro. “Massì, va bene”, ho detto. E la cosa buffa è che la cosa meno presente nell’insalata di oggi era l’insalata.
Colleziono bustine di zucchero. Ne sgraffigno sempre una in più quando prendo il caffè al bar.
Sono tricotillomane, e mi odio per questo.
Su certe cose ho un’alta opinione di me, ed è una sensazione molto bella capire di piacersi. 
Sono alla ricerca di una collanina con un ciondolo. Maschile, nel complesso. Mi piacerebbe che il filo fosse di quelli neri, tondino, non so se avete presente. E che il ciondolo non sia volgare, tamarro, brutto, grosso. 
Da piccolo dicevo “carta genica”, e nessuno si è mai accorto dell’errore (o non mi hanno mai corretto). L’ho scoperto da solo, delle due i mancanti.
Tra libertà e solitudine quanta differenza c’è? Dov’è il confine? (questa devo ricordarmi di metterla nelle prossime Questions)
Ecco, ho finito il succo all’ananas – pineapple in inglese. Sono proprio a) drogato b) un pozzo senza fondo c) un pozzo di succo d’ananas senza fondo.
Ecco, non avevo niente da dire.
E l’ho detto, il niente.

Attenzione: Natalia Uccide

Domande, #8

Credo che le risposte rendano saggi
ma le domande rendono umani






Se gli amici mi capiscono
più di quanto io riesca a capirmi
significa che ho una capacità autoanalitica scadente
o che ho dei buoni amici?
Forza: qualcuno mi dà una definizione?
Perché mi interrogo continuamente su cosa sia?
Perché mi chiedo come si faccia ad ottenerla?
Ma si può davvero ottenere?
Ma non è che mi sto un po’ troppo fissando, 
su questa forza?
Qualcuno si offre per aiutarmi col laboratorio di reti?
Qualcuno può far smettere di ridere Lore?
(SMETTILA SUBITO, LO SO CHE È FACILE,
MA NON MI RIESCE UN PUNTO!)
Se un errore è
– per te che l’hai commesso –
anche
la cosa più bella del mondo,
dovresti commetterlo di nuovo?
Basta vestire d’arancione
per essere persone arancioni?
Dire a sé stessi 
che “è mancata la volontà”
è una scusa sufficientemente verosimile
affinché sé stessi ci caschino?
Se la meraviglia reincarnata
ti dorme accanto,
bisogna svegliarla?
È vero che troviamo sempre il modo di stare male?
Anche gli ipertimici?
Se è vero che sono ipertimico,
perché a intervalli regolari mi sento una merda,
e senza motivo?
Quanti fallimenti bisogna affrontare
prima di decidere di arrendersi?
Perché non vietano i biscotti?
E soprattutto: perché sono così buoni?
Quanto si sta bene
a parlare con gli amici?
Ma possibile che l’unico concerto a cui mi interesso
ha l’organizzazione peggiore d’Italia?
Quando ricominciano le lezioni?
(Oddio, questo è un dubbio serio.)
Glielo dico che ho capito che ha fatto sei mesi?
Glielo dico che sono contento per loro?
Non ti vedo: stai sorridendo, adesso che te l’ho detto?
Non è forse vero che
una persona che ti fa senso
non è
una persona che ti fa sesso?
Posso andare a dormire ora?

L’ultimo giorno d’inverno

Copio il testo da internet lasciando la formattazione, la punteggiatura e l’uso originale delle maiuscole, per quanto non condivida per niente l’uso dei due puntini anziché tre, il non mettere quasi mai le maiuscole, i vari errori ortografici (alcuni li ho corretti perché proprio non riuscivo a sopportarli) e lo scriteriato uso degli a capo. Solo che ho sonno e non ho voglia di riscriverlo tutto, abbiate pietà. Consiglio la visione del video mentre si legge.


L’ultimo giorno d’inverno
non sarò qui.. dove sono ora
perchè non farà così freddo fuori come
fa adesso
e non sarò da solo a casa
ad aspettare che passi l’inverno


Io non lo so se sarò con te..
è più probabile che anche tu sia altrove
e se ci sarà qualcosa che mi infastidirà,
perchè mi conosco.. e ci sarà
è che tu non ti sarai nemmeno accorta
dei viali di Milano
che saranno diventati rosa.. e bianchi
ai lati,
perchè ancora ci si ostina a credere
che Milano
è una città dove mancano i colori
ma io ti assicuro che l’ultimo giorno
d’inverno,
i bastioni, per chi si potrà permettere
il lusso
di guardare non solo avanti
ma anche di fianco
saranno uno spettacolo di pura e concreta
bellezza.


Chissà se ti ricorderai anche tu di
alzare lo sguardo
l’ultimo giorno di inverno
perchè gli alberi in fiore della salita
a Porta Venezia
bisognerebbe che tutti
almeno una volta ci si fermasse a osservarli.


Io avrò le mie nuove canzoni
pronte per non essere più soltanto
nostre
e sò che con un pò di imbarazzo di
qualcuna..
ancora rivendicherai la storia e l’inizio
delle altre non ti curerai più
e tu finirai sulle riviste colorate
ed io farò brutta figura con il mio
vicino di posto
poco dopo il decollo in aereo
perchè per sapere qualcosa di te
avrò sbirciato tra le pagine dei suoi
giornali
di me penserà soltanto che sono un
cafone
e non che ho aspettato che finisse
l’inverno


però davvero poi basta, me lo prometto
saranno passati così tanti giorni dal
momento in cui ti sto scrivendo
che aver bisogno di parlare ancora
di te, senza parlare con te
sarà solo una stucchevole deriva criminale
ed io forse se sarò bravo se riuscirò
a ricordare a me stesso
che non necessariamente saremo meglio
o peggio di quel che siamo oggi
mi fermerò prima di quello strazio
che ancora mi sfonda il cuore


Ho capito che ci portiamo dentro 
chi non siamo riusciti ad avere accanto
ma questo non potrà essere più motivo
per sentire sempre
lo stesso giro infinito di parole
sempre lo stesso giro infinito


Non avremo colpe ne io ne te.
l’ultimo giorno d’inverno.
Sai che avrò imparato a vestirmi meglio,
ma quello un pò lo faccio già da ora
se posso avere un’attenuante
è che a me i maglioni pesanti non stanno
molto bene.


L’ultimo giorno d’inverno.. avrò una
giacca leggera ed elegante
per le scarpe vediamo
prenderò dimestichezza con le mie nuove
occasioni
e anche con nuove posizioni sulla chitarra
mi serviranno a gettare al mondo le
mie parole
quelle che non suoneranno più così
inopportune
e a non cominciare
e a non finire
tutto nello stesso modo
tutto nello stesso modo
tutto nello stesso modo

[ Niccolò Agliardi ]

QUESTO è Lunatika.

Partirei da una citazione. Massì. Il citazionismo non è effettivamente solo molto funzionale, ma va pure di moda.
 Io sono Oberon Dj, voi siete pura eccitazione, e questo è il Lunatika!
Ebbene, non sono d’accordo. O meglio: questa definizione è approssimativa e rischia di far capire che il lavoro che c’è dietro Lunatika sia stato minimo o superficiale. Provo io – dal mio modestissimo punto di vista – a spiegarvi cos’è Lunatika.
Lunatika è un insieme di canzoni che riflettono umori e caratteri. C’è Battiato, ma c’è anche Marilyn Manson; ci sono i Ladytron così come gli Infernal; c’è il re del pop ma anche i Baroni delle sagre; c’è il motivetto del Mojito (dum dum dum dum dum dum dum dum dum du!) e un sacco di altre cose.
Lunatika è William Shakespeare. Non un bardo, ma IL Bardo. 
Lunatika è il Sogno di una notte di mezza estate. Gli intrecci sono praticamente ricalcati; le caratteristiche dei personaggi sono riprese da quelle del testo originale; perfino il titolo richiama alla luna, elemento importante dell’opera di Shakespeare.
Lunatika è il gruppo che si è formato due anni fa durante un corso di scrittura. In particolare Giovanni Beani, Riccardo Francesconi, Laerte Neri e Daniele Pierotti, che per mesi e mesi ogni settimana si sono trovati  insieme a me, Tiz e Fede per dare una forma a questa commedia.
Lunatika è Mattia, che non solo mi ha aspettato per quaranta minuti al Bruchetto (ordinando mezza dozzina di caffè) per fornirmi di pantaloni enormi, che non solo riesce a infrangere il codice stradale (per sbaglio) più volte durante la stessa serata, ma che soprattutto è un fonico eccezionale.

Lunatika è Chiara, che ha inventato la coreografia della sigla, e si è preoccupata che non venisse un troiaio. E soprattutto ha il merito di non essere esplosa quando, circa mezz’ora prima dell’inizio della prima, le ho comunicato che sarebbe stata il nostro aiuto di scena.

Lunatika è Andrea, il nostro straordinario tecnico delle luci, capace di salire su una scala a duemila metri di altezza (erano meno? Mh…) per sistemare un’americana – che per chi non se ne intende, come me, è un faretto – e che mi ha “illuminato” (notare il gioco di parole) sul fatto che lui vede più persone con gli occhiali da sole in discoteca che di giorno…
Lunatika è una stanza della sede di Mangwana, in Via San Nicolao, a Lucca, composta da due tavoli, una lavagnetta con incisa la parola CULO e decisamente troppe sedie.

Lunatika è Igli, che oserei definire la vera rivelazione del coro. Ad un’occhiata superficiale può apparire un po’ tra le nuvole, ma quando si tratta di beccare è un vero maestro. A proposito, mia nonna è ancora sotto l’effetto afrodisiaco dell’occhiolino che le hai fatto!

Lunatika è Federica, che è stata capace di trasformarsi da buttafuori rigida e impassibile (non le è piaciuta nemmeno la mia sciarpina grigia! Tks.) a dolcissima ballerina dal vestito luccicoso.

Lunatika è un telo nero su cui un gessetto ha impresso le differenze che sussistono tra l’iconografia di una banana e quella della luna.
Lunatika è una rete di metallo da buttare via, riciclata in modo da essere una fantastica scenografia.

Lunatika è Michele, un barman d’eccezione. Forse l’ho fatto patire un po’ per i costumi, al punto che il giorno dello spettacolo mi ha portato ben quattro combinazioni diverse di camicie e pantaloni, ma resterà il miglior preparatore di Desdemopolitan della Terra

Lunatika è Cecilia, la straordinaria Polly. È inutile e scontato che io dica che mi ha fatto scompisciare, forse è più simpatico farle sapere che qualche ragazzo mi ha chiesto il suo numero di telefono…

Lunatika è un’intricata tabella di orari impossibili da far combaciare, e delle accese discussioni su Facebook per capire quando poter mettere le prossime prove.

Lunatika è Francesco, il cui entusiasmo mi ha fatto tornare il buonumore. È un ragazzo molto disponibile, ma soprattutto la sua euforia per la partecipazione a questo spettacolo era tangibile, e per un regista questo è meraviglioso e appagante.

Lunatika è Alfredo, che ha interpretato un Ughino the king di gran lunga migliore di quello che era stato pensato, che è stato mesi a imparare la coreografia del Ballo del Pesce e si è anche fatto una cultura sulla discografia di Giuliano e i Baroni per entrare meglio nella parte – o per mero diletto, ma preferisco pensare che l’abbia fatto per una questione di interpretazione. Penso che sarebbe stato impossibile dare un’umanità a un personaggio stereotipato come il suo. Toh, il Marasti è riuscito anche in questo.

Lunatika è Giulia, che Sabato pomeriggio è stata l’unica che è riuscita a farmi calmare per qualche minuto. Le avevo chiesto se aveva del ghiaccio per i cocktail del bar, e lei mi ha risposto domandandomi se erano troppo pochi 240 cubetti – una quantità che superava di gran lunga le mie aspettative.

Lunatika è Nanou, che a Settembre mi fermò per strada e tutta contenta mi disse “Aleee ma allora sono io Mery! Ho letto il copione: il mio personaggio è odiosissimo!!!“; piano piano ha iniziato a prendere confidenza con la parte, arrivando alla fine con un’interpretazione perfetta della puttansuora del Lunatika. La dimostrazione che nel teatro… “non ci si finisce mai di divertirsi“.

Lunatika è Martina, che aveva iniziato questo progetto come costumista e che ha dovuto mollare perché abitando a Firenze le era impossibile partecipare in maniera più attiva. Ma la ringrazio lo stesso, perché era entusiasta di far parte ancora dei Postumi, e la avviso che prima o poi tornerà tra noi, non se la scampa.

Lunatika è un tempo che va dai cinque minuti all’ora e mezzo; un tempo che regolarmente, dopo ogni prova, veniva speso nella mia macchina, a parlare di questo spettacolo, di come erano andate le prove, di come gli attori erano migliorati, di cosa non veniva ancora bene, di come avremmo potuto insistere sulle scene, di quanto fossimo indietro, del perché facessimo teatro, di chi ce l’aveva fatto fare, di quanto eravamo stanchi, di quanto eravamo fieri.

Lunatika è Lorenzo, che mi ha sempre dato l’idea di possedere la tenerezza e la giocosità tipica dei bambini. Un ragazzo che – posso dirlo? daidaidaidai – ho visto crescere (artisticamente parlando), da quando ha creato la prima sua bozza del personaggio a quando, in scena, sotto la luce delle americane di Ponte a Moriano, ha dimostrato di incarnare il vero Oberon Dj, sicuro, freddo e perfetto.

Lunatika è Eleonora, che alla fine di tutto mi fa “Certo è difficile fare le cretine, io non credevo fosse così…”. Un plauso particolare per essere andata a importunare mia mamma, che Domenica a pranzo mi ha elencato tutti i motivi per cui le ha chiesto di non mettere la sua foto su facebook.

Lunatika è una fontana fuori da Porta San Gervasio e Protasio. Che qualcuno baciava, ogni santa volta.

Lunatika è Chiara, la discreta spacciatrice di tic tac, di cui però devo denunciare un fatto perché i suoi genitori potrebbero desiderare la mia impiccagione: non l’ho costretta io a tagliarsi i capelli, se lei vi ha detto così sappiate che non è vero! Comunque così sta benissimo, mpf.

Lunatika è Elena, che c’era, ma poi non ci doveva essere più, ma poi finalmente ha deciso che ci sarebbe stata. Avrei voluto lavorare molto di più con lei, ma questioni molto più importanti hanno ostacolato questa cosa. Tuttavia, siamo ancora giovani (io ho 19 anni, lei 18. E NESSUNO DICA IL CONTRARIO, tanto non avete prove) e chi lo sa: magari, in futuro… Puntini puntini, e una faccetta gialla che sorride.

Lunatika è una Barbie, anzi, due Barbie, imprigionate dentro una rete, col solo scopo di non far sembrare quella rete un cestino della spazzatura.

Lunatika è Emanuele, che ha iniziato quest’avventura dicendomi: “Ale, ma non è che mi avete scelto per Dimitri perché sono truzzo, vero?”. E io gli ho risposto che NOOOAFFATTO, perché “Il Giorgi” – chiamiamolo col suo vero nome, anche perché mi ha confessato che non gli piace molto chiamarsi “Emanuele” – in realtà repelle il truzzo. Ma in cuor mio sapevo che avrebbe dato di Dimitri un’interpretazione magistrale. E così è stato.

Lunatika è Tommaso, ed è Giulia. Entrambi si sono dati da fare per accontentare le nostre strambe richieste musicali. Mi hanno confessato che è stato simpatico dover interpretare le mie note che chiedevano “una canzone dance circense”

Lunatika è Anna, che con molta pazienza mi ha mostrato praticamente tutto il suo armadio nella speranza di trovare qualcosa che andasse bene per il suo ruolo da cubista, e che con altrettanta pazienza ha cercato le calze secondo le mie dritte – “a rete, coi buchi grossi. E scure, mi raccomando, sennò non si vedono dalla platea!” -, e che con ancora un sacco di pazienza ha ballato per quasi 80 minuti di canzoni che con ogni probabilità detesta.

Lunatika è Diletta, che vagava per la platea chiedendo – tra le altre cose – una piastra per capelli. Mia sorella ha pensato che tu l’avessi persa… Non aggiungo altro, adorabile scroccona mia!

Lunatika è Guia, che evidentemente era così in sintonia col personaggio da catturarne perfino la sfiga: infatti si è ammalata più volte, durante questi mesi, e nemmeno i fiori di Bach avrebbero potuto farci niente. Una ragazza speciale – e scrivo “speciale”, perché è l’aggettivo più bello che mi viene in mente – che ha avuto l’ulteriore sfortuna di dover interpretare quello che è il personaggio a cui tengo di più, e quindi ha dovuto sopportare tutte le mie elucubrazioni e stramberie. Ma, alla fine, tu ERI Elena, e io sono fiero di te.

Lunatika è Matteo, che non è solo “bono bao” (citando la prima e unica pagina del quadernino delle firme che avevamo lasciato all’ingresso del teatro), e non è neanche solo un ottimo attore, e non è neanche solo capace di fare facce buffissime prima di iniziare un discorso importante, e non è neanche solo perfetto per la parte di Sandro, e non è neanche solo in grado di capire quando ho bisogno di un abbraccio, e non è neanche solo divertente quando durante le prove si accorge di aver saltato una battuta e grida SI-HO-SBAGLIATO-LO-SO prima che tu possa riprenderlo; ma è anche colui che, alla fine dello spettacolo, mi ha salutato dal palco mettendo le mani come quelle di Lady GaGa in Bad Romance, E LO SO CHE È UNA COSA SCEMA MA IO MI SONO COMMOSSO…

Lunatika è Sara, che dovrebbe ricevere l’oscar. Io così ubriaco non sono nemmeno da ubriaco. E lei non aveva bevuto, e aveva pure la febbre. Ed era su quel palco lo stesso…

Lunatika è Fede. Fede che ha scritto Lunatika, Fede che ha scritto Tania, Fede che è Tania, Fede che mi chiede come vestirla due mesi prima che iniziassimo a parlare di costumi, Fede che si scervella per i calzari del suo personaggio, Fede che ascolta i miei sfoghi pre-prove, Fede che sa sempre cosa fare per me ma che non sa mai cosa fare per lei, Fede che si preoccupa se qualche attore è minorenne, Fede che ha sempre la battuta pronta, Fede, la mia amica Fede.

E sì, lo sapete tutti che manca ancora qualcuno. E sapete benissimo che l’ho messo in fondo perché per i più elementari principi di retorica si tiene in fondo quello a cui si vuole dare un po’ più d’importanza.

Ma la verità è che finora avrò descritto più o meno un cinquanta per cento di cos’è Lunatika.

C’è quest’altro cinquanta per cento di cui bisogna parlare, e per forza, perché non mi riesce essere vero ad una cena, perché forse riesco a dire queste cose solo per scritto, magari illudendomi che poi non verranno pubblicate, e forse sembrerò artificioso anche adesso, ma sono le lacrime di ora che mi fanno pensare che invece riuscirò a farvi capire quanto ci tenga.
C’è quest’altro cinquanta per cento che mi ha sopportato per mesi, quando mi incazzavo per quello che in fondo era un niente in confronto a tutta la soddisfazione che ho ricevuto nel mettere in scena Lunatika.
È il cinquanta per cento che ha voluto che io fossi accanto a lui, ha insistito e pregato e fatto salti mortali per convincermi a non lasciare tutto, a non andarmene dopo tre o quattro mesi di lavoro.
È il cinquanta per cento che mi ha consigliato su come agire, che mi ascoltava mentre mi sfogavo, anche se a volte mi sfogavo su di lui, e che mi consolava per quando ero triste, per quando non riuscivo a farmi capire dagli attori, per quando accusavo una certa differenza d’esperienza tra me e lui, per quando sentivo che i miei sforzi erano poco riconosciuti persino da me stesso.
È il cinquanta per cento che conosco come conosco me stesso, e che mi conosce come conosce sé stesso, e che mangia una quantità di pasta difficilmente misurabile dalle bilance che solitamente si tengono in cucina, e che mi manda messaggi tipo “Lunatika sarà uno spettacolo fantastico WAAAAAAAA”, e che arriva persino a comprarsi il portacellulare della Sweet Years solo per averlo arancione, e che se vuole trova del genio e del bello in chiunque, e…
Ed è il cinquanta per cento che mi vuole bene, un bene incondizionato che non vuole davvero niente in cambio, un bene che (io non so come sia possibile) resiste anche a un carattere come il mio, un bene che una volta tanto cazzo voglio gridare perché non è sempre giusto tenersi tutto dentro. (e un bene che adesso mi ha fatto uscire le lenti dagli occhi e qui in laboratorio tutti si stanno chiedendo se ho l’allergia o cosa)

Lunatika è il mio amico Tiziano. Ti. Voglio. Bene.

Ecco. Dovrei aver dato una definizione abbastanza articolata di questo spettacolo.

IO sono Lunatika.

VOI siete Lunatika.

QUESTO
è Lunatika.

Ansia da pre-spettacolo #3

Sarei molto più in ansia,
se avessi tempo.

Invece sono di fretta.

Merdaaaaaaaaaaa!