Sette anni tra parentesi

Oggi Zucchero Sintattico compie sette anni di permanenza sulla rete, e siccome sono una persona che si prende molto sul serio ho deciso di organizzare una piccola festicciola virtuale. Inutile dire che, be’, sarà il floppone del secolo, quattro gatti in croce, du’ stronzi, seguito meno della seconda stagione di True Detective, ecco, perché noi zuccherini sintattici siamo pochi (seppur belli, soprattutto dentro).

Ma SETTE anni sono tanti, zuccherini. Sette come i re di Roma, sette come i colori dell’arcobaleno, sette come i nani, sette come le spose e sette come i fratelli, sette come i giorni della settimana, sette come le note musicali, sette come i mari secondo i greci, sette come le vertebre cervicali, sette come i peccati e le virtù, sette come i giocatori di Quidditch, sette come BUBUSETTETE, sette come le ossa del tarso nel piede umano, sette come la famiglie dei roditori sciuromorfi, e sette come le volte in cui ho dovuto aprire Wikipedia per scrivere questo inutile elenchino.
Proprio perché sette anni sono tanti, domenica prossima ho deciso di dare una festa. Cioè: non davvero, non sia mai che trovi una scusa per uscire di casa. Una festa virtuale, a cui partecipare comodamente seduti dal proprio divano o, nel caso dell’attuale re dei sette regni, dal proprio trono di spade.

Una festa dedicata a chi mi segue da sempre, ma anche a chi mi segue una volta ogni tanto. Non la voglio fare troppo melodrammatica quindi eviterò il discorsino toccante, anche se sarei capacissimissimo di scrivere un componimento epico e commovente, con circonvoluzioni retoriche da far impallidire i migliori sofisti del pianeta, e auspicabilmente emozionarvi fino a farvi gonfiare gli occhi e vedervi scendere una lacrima lungo il viso, rapida ma delicata, per poi annuire con orgoglio mentre ve la asciugate, mormorando: “Ah, Zucchero Sintattico, quello sì che è un blog”.
Ecco l’invito:
(lo so, è su facebook, mi dispiace per chi non ha facebook, come ad esempio il mio amico che assomiglia a James Blunt. Magari, chi ci tiene può scrivermi nei commenti, tipo)
Cosa succede in questa festa? Sostanzialmente niente: è solo una cazzata in più. Ma se volete, potete scrivere un pensiero, vestirvi a festa e pubblicare una vostra foto, chiedere una canzone al dj, fare delle cose zuccherose, mandarmi dei fiori, dedicarmi una stella o intestarmi un assegno. Insomma, quello che volete. Potete invitare chi vi pare, gli imbucati sono i benvenuti. Gradito il dresscode a righe, e tanti biscotti.
Tra parentesi: Happy Blogday!

Sei anni di zucchero

In tutta onestà non ricordo se alle elementari ci fosse il distributore delle merendine. Non credo, anche considerando che né io né gli altri miei compagni possedevamo il portafogli o qualcosa da metterci dentro. Nella stanza delle bidelle c’era qualcosa che portava a del caffè, ma probabilmente era un thermos.

Le mie scuole medie non ricordo nemmeno come fossero fatte, e questo vi dà un’idea di quanto mi siano piaciute, le scuole medie. Spero di non offendere nessuno, dicendolo. Ma figurarsi, non credo che i membri di quella marmaglia di cattiveria siano capaci di offendersi – né di affezionarsi, scherzare, amare, o provare sentimenti più o meno umani. Ma da qualche parte doveva pur esserci una macchinetta delle bevande, perché ricordo distintamente il professore di musica dire, prima di abbandonarci alla visione di qualche cinepanettone, che intanto sarebbe andato a prendere un caffè.

Ho ben presente, invece, dove fossero posizionate le macchinette e i distributori del liceo. Ma in cinque anni li avrò usati una manciata di volte, perché le mie scuole superiori, oltre a ricordare l’esterno di una prigione e a cambiare ogni anno i docenti di filosofia, erano perlustrate da sinistri personaggi chiamati Merenderi, che a prezzi ridicoli vendevano panini, trecce di cioccolato, focaccine, triangoli, pizzette e (solo alla fine della prima ora e solo al secondo piano) valdostane.

All’università iniziavi a capire le macchinette solo a metà del secondo anno, tanto che ho sempre avuto il sospetto che prendere il migliore caffè facesse parte dell’esame di Analisi. Quella all’ingresso era la più economica, ed essendo lontana da molte aule aveva anche la fila statisticamente più corta; le due nell’atrio centrale avevano perfino il mocaccino con cioccolato; quella al piano di sopra era guasta una volta su due. Invece, c’era un distributore che si bloccava senza darti la merenda, ed eri perduto se non conoscevi il punto preciso su cui puntare la spallata.

Oggi questo blog compie sei anni. L’idea è sempre stata che lo zucchero è la cosa più importante, e che il resto serve solo a sopravvivere. Non sottovalutate mai le cose che non c’entrano niente.

Tempo di buoni propositi

Ieri ero in biblioteca col mio amico U, quello che è andato a studiare in Svezia, e guardando i suoi appunti pieni di grafici e variabili ho pensato a quanto era diversa la mia vita un anno fa, quando anch’io ero chino su quaderni pieni di codice e non sulle novelle del Decameron. 
Pensavo, poi, a quale potrebbe essere il mio buon proposito per il 2014. Sapete, è tempo di buoni propositi. Non che ci creda particolarmente, ma sono quelle cose che almeno per Gennaio funzionano: l’anno scorso mi ero riproposto di non correggere gli apostrofi e per qualche mese ho resistito.

Mi sono avvicinato alla macchinetta del caffè, parlando con U di malattie veneree – è tradizione che quando siamo in pausa affrontiamo questo genere di argomenti così mettiamo paura agli altri e rimaniamo soli per sempre come piace tanto la vita a noi. Ho selezionato il mio cappuccino con cinque pallini di zucchero (una mia amica non mi considera uomo per questa cosa: la zuccherofobia è la nuova frontiera della discriminazione). Il problema è che, tra una battuta sulla gonorrea e una sulla clamidia, ho premuto il tasto finale troppo tardi, e i pallini di zucchero si sono azzerati.

Mi sono voltato verso U con uno sguardo che lo implorava di mettere fine alle mie sofferenze.
– Ti prego, strangolami.
– Oh, Ale. È così: se aspetti troppo, la vita diventa più amara. Scusa, dovevi dirlo tu, vero?
Sì, avrei dovuto dirlo io, perché sono io quello che scova le conclusioni filosofiche nelle idiozie. A ogni modo, il mio proposito per il duemilaquattordici mi viene suggerito da un cappuccino non zuccherato.

Buon anno a tutti. E non aspettate troppo.

It’s funny how some distance makes everything seem small
And the fears that once controlled me can’t get to me at all
Up here in the cold thin air I finally can breathe
I know left a life behind but I’m to relieved to grieve

Let it go, let it go
Can’t hold you back anymore
Let it go, let it go,
Turn my back and slam the door

La magia del Natale (la sentono anche le persone sole)

Il mio psicanalista immaginario sostiene che le persone sarebbero più felici di attendere il Natale se fossero già felici per conto loro. Recentemente mi ha detto che la magia del Natale è come moltiplicare per trentaquattro: se tu sei 100, fa 3400. Se sei zero, fa zero.

Se sei Tredici, fa – prendo la calcolatrice, scusate – fa 442, che effettivamente non è male, poteva andarmi peggio, e questo 442 è formato da famiglia, amici e vivere in un Paese dove non c’è la guerra (anche se, be’, c’è Forza Italia da vent’anni). Tutte cose bellissime, ovviamente, ma spesso arrivo al 25 Dicembre con un unico, piccolo rimpianto: quello di non poter cantare il vero simbolo del Natale, quello che rende questa festa realmente unica e speciale, e cioè non Gesù bensì Mariah Carey. Perché il Natale non è un alberello illuminato, non è consumismo, non è la natività, non è che tutti sono più buoni: il Natale è All I want for Christmas is you.

Ho deciso che avere questo rimpianto è inutile. Posseggo un sacco di complementi oggetti da sostituire allo you finale della canzone. Anch’io voglio godermi le cose belle di questa festa: i sorrisi, i regali, le cene, gli addobbi, le luci, e pure le canzoni di Mariah Carey. Perché la magia del Natale la sentono anche le persone sole.

All I want for Christmas is you, pandoro riscaldato nel forno.

All I want for Christmas is you, spot di Andrew Cristian con tanta gente mezza nuda.

All I want for Christmas is you, canzone natalizia dei Killers.

All I want for Christmas is you, saldi.

All I want for Christmas is you, diagnosi di raffreddore cronico per Alessandra Amoroso.

All I want for Christmas is you, Negroni sbagliato ma fatto come si deve.

All I want for Christmas is you, ritorni.

[…in aggiornamento]

E comunque ieri ero in cucina. In casa c’eravamo solo io e mia sorella. Quando torno in camera, getto un’occhiata veloce sul letto. Proprio sopra una pila di vestiti che terminavano con un paio di boxer della Coca Cola (me li hanno regalati, giuro) stava posato un Bacio Perugina. Mia sorella giura che non ce l’ha messo lei, e tendo a crederle, visto che conoscendola so che se lo sarebbe mangiato, ma allora… chi è stato? Babbo Natale esiste, e mi vuole bene.

Lettera aperta a Zucchero Sintattico

Ciao blog.
Ho deciso di scriverti perché non l’ho mai fatto. In cinque anni che esisti, non ti ho mai parlato direttamente, e credo che questo sia dovuto al fatto che un certo quantitativo di sanità mentale sono riuscito a mantenerlo; ma ormai sono partito, svitato, svanito, completamente esaurito, e pertanto posso permettermi di scriverti, anche se in realtà tu sei la parte virtuale di me, nel senso che io in questo momento sto scrivendo a un’entità non pensante, ma cambiamo argomento che è un attimo poi che mi internano e senza dirmelo comprano da mia madre i diritti per fare un film su di me, una di quelle cose tristi che mandano su Rai 5 in seconda serata.
Caro blog, prima di scriverti mi sono riletto qualche post di questi cinque anni. È buffo, perché ci si accorge bene di quanto sia cambiato. Be’, ovviamente adesso scrivo un pochino meglio, e ho imparato anche a dosare le parole in modo da filtrare solo le sensazioni che voglio pubblicare. In pratica, tu non sei proprio proprio me, così come i miei altri profili virtuali non sono proprio proprio me. Non credo che sia un grande vantaggio, in realtà, perché poi le persone iniziano a fare confusione tra te e me, leggono te e credono di conoscere me, con la conseguenza che per far conoscere me (e non solo te) devo faticare un po’ di più. Ma preferisco così, perché odio spiattellare su internet quello che provo. Quello che penso, ecco, quella è un’altra cosa. Anche perché di solito penso scemenze. Se c’è una cosa di cui ho il coraggio, è della mia demenza. Tutti dovrebbero avere il coraggio della propria demenza.
Nell’ultimo anno, poi, direi che sei stato fondamentale. Certo, mi aspettavo che mi assumessero nello studio grafico quando ho detto loro di te, ma tra tutti i post che potevano leggere, sono andati a finire proprio su quello con le mie conversazioni su Grindr. Sei stato importante per un sacco di cose, in quest’ultimo anno, e tra quelle che voglio dire ci sono sicuramente i Macchianera Italian Awards. Siamo arrivati quinti, che è una posizione oltre ogni aspettativa. Ho quasi rischiato di montarmi la testa, ma sono realmente troppo sfigato per farlo. Questa cosa della sfiga, alla fine, è una fortuna.
Ho la vaga percezione che questa lettera faccia sfrantecare le palle da quanto è noiosa. Per ravvivarla ci sono due strategie: la prima è quella di inserire qualche cazzo di fottuta espressione colorita, cazzo, e la seconda è quella di concludere. Volevo concludere ringraziando i tuoi lettori: quelli di ora, che sono tanti, adorabili, cattivelli, sapientini, riservati; e quelli che se ne sono andati, perché non gli piaccio più o perché hanno di meglio da fare o perché è finita o perché ora mi odiano o perché io li amo; e poi quelli che ci sono sempre stati, silenziosamente o meno, perché sono un po’ la famiglia di Zucchero Sintattico, che è una bella famiglia. Se sei riuscito a farli sorridere anche solo mezza volta, o a farli pensare/emozionare/distrarre in qualche modo, se tu sei riuscito a fare questo, allora io sono soddisfatto.
Tanti auguri, Zucchero Sintattico. Cinque anni di scemenze. Tra parentesi.

Auguri di Natale post sbornia

Scrivo questo post ora che non devo passare il mio tempo a staggarmi da quelle ottocentomila foto di facebook con l’alberello, la scritta auguri, il bimbo che ride con il berretto di Babbo Natale, foto in cui sarò inserito insieme ad altri settanta miliardi di vostri amici a me sconosciuti. Lancio un CONTEST NATALIZIO: quest’anno non usate le classiche foto, siate creativi, originali, ironici. Taggate responsabilmente.
Scrivo questo post a tema natalizio e lo scrivo adesso che i postumi della sbornia stanno passando. Ieri sera sono andato a ballare – sorvolerei sul mio outfit azzurro e blu che mi faceva assomigliare a un puffo. Puffo Zara tipo, quello che vuole essere più biondo di Puffetta – e mi sono divertito. Nel senso che dopo due Negroni si divertirebbe anche il Papa, che peraltro farebbe molto meglio a impiegare il suo tempo a scolarsi intere bottiglie di Martini invece di dire minchiate tutt’altro che pacifiche.
Stamani mi sono svegliato con un mal di testa allucinante e con una voce che parevo Bane doppiato da Filippo Timi. Vagavo per casa in modalità zombie-style in cerca di caffè o acqua, con chiunque che mi faceva un qualche appunto non richiesto su quanto fosse pessima la mia voce e io che radunavo le ultime energie rimaste per replicare NON VOGLIO IL MIELE DATEMI ACQUA, ACQUAAAAA.
Il mio sentitissimo regalo di Natale per voi è un video di YouTube che mi ha passato un amico stamani, quando la mia testa stava esplodendo e il dramma di mia madre era se col dolce di oggi ci stessero meglio le forchettine o i cucchiaini. Praticamente insegna tutti gli accorgimenti per evitare o ridurre i postumi della sbornia. Tipo non bere.

A parte gli scherzi, ci tengo a farvi tantissimi e zuccherosissimi e sintatticissimi auguri di Natale. So che non sono un granché, ma sempre meglio di… non so, dell’ultimo libro di Bruno Vespa.
Dio Santo, non esiste augurio peggiore.

Mi pare di arguire che oggi è il 12/12/12

Mi pare di arguire che oggi è il 12/12/12, come mi viene ricordato da calendario, cellulare, radio, tv, giornali, blog, twitter e praticamente metà dei miei contatti facebook – ragazzi, ma se ci emozionano così tanto ‘ste cose, non so, compriamoci la wii, o un libro sui templari. Comunque, oggi è davvero un giorno speciale: non solo per la data simpatica fatta di numeri tutti uguali (l’anno scorso era di tutti 1 e per l’occasione scrissi due post: link1, link2), ma soprattutto perché la mia sorellina adorata e scema compie gli anni.
Mia mamma l’altro giorno mi fa: “Ale, perché non le organizziamo una colazione a sorpresa per farle gli auguri prima di tutti?”, “Oh, madre, che idea deliziuosa!”, “Bene, fallo tu. E muoviti, anche”
A parte la crudeltà di mia mamma, una colazione a sorpresa è un’idea carina: il festeggiato si sveglia ed è talmente rincoglionito che non ce la fa a sospettare una colazione in suo onore. Tuttavia va organizzata bene. Conscio di questo, mi sono chiesto: cosa farebbe Enzo Miccio al mio posto? A parte indossare un completo beige, credersi bello e assumere una faccia schifata da prendere a ciaffate, che è l’espressione naturale di Enzo Miccio.
Allora ho pensato ad un cd con alcune canzoni importanti, poi dei manifestini con delle foto che la mettessero in terribile imbarazzo, poi una tovaglia bianca con disegnato sopra qualcosa di gay e colorato, poi il regalo e infine dei palloncini.
Ebbene, ieri sera parto e vado a comprare ‘sti palloncini. Entro in una cosa come due milioni di negozi. Alla Coop non ce li avevano. Al Brico neppure. Cartolandia era chiuso, così pure un’edicola vicina, ed era chiuso anche Cartè, anche se c’era dentro una commessa che non mi ha voluto aprire e che per questo non dico che spero che soffochi schiacciata da Moira Orfei, ma qualcosa di simile, ecco. Infine sono andato dai cinesi. 
Quando ci viene il timore che l’Oriente conquisterà l’Europa, non occorre addurre motivazioni economico-sociali: basta entrare in un negozio di cinesi. Sono sconfinati, hanno in diffusione qualcosa di nippo-trash-dance, sono pieni di oggetti tamarri e mutande sempre troppo larghe. Eppure avevano i miei palloncini, così li afferro con gaudio e torno a casa soddisfatto.
E questo è il risultato. Una colazione a sorpresa, dove incombe un’invisibile presenza cinese.

I miei amici mi hanno regalato

– un fantastico cardigan verde e due splendide T shirt, perché conoscono il modo in cui mi concio
– un sacchetto di baci perugina e un altro di biscotti al cioccolato, perché conoscono le mie droghe
– una Moleskine e una penna Parker, perché conoscono i miei sogni
– una maglietta di Angry Birds, una di Snoopy e un volume di fumetti dei Peanuts, perché conoscono le mie fisse
– gli album della Rettore, di Amanda Lear e di Sabrina Salerno, perché conoscono i miei desideri proibiti
– uno scaldatazza USB e una borsa dell’acqua calda a forma di cuore, perché conoscono le mie trasgressioni notturne

– i fiori di Bach “calma & serenità”, perché conoscono le mie ansie

On air: The Corrs, At your side




23

Lelaina Pierce:     I was really going to be somebody by the time I was 23.

Troy Dyer:     Honey, all you have to be by the time you’re 23 is yourself.

Lelaina Pierce:     I don’t know who that is anymore.

Troy Dyer:     I do. And we all love her. I love her. She breaks my heart again and again, but I love her.

Tanti auguri a me,
tanti auguri a me ♪