La mia vita, più o meno.

Quattro cose false e una vera.

On air: Lykke Li, Get some
1. i Baiocchi mi fanno vomitare
2. penso che Mario Monti sia tremendamente sexy
3. non è vero che il mio naso assomiglia a quello della Befana
4. adoro ricevere le martellate sulle dita
5. di tutti i giorni di Febbraio, l’esame più importante del mondo, quello che se boccio non mi consentirà di laurearmi nel 2012, quello che in pochissimi riescono a passare la prima volta che lo provano, ecco, quell’esame lì, è stato messo esattamente due giorni prima della data del mio spettacolo teatrale, nel pieno della settimana delle prove generali.
Dai, indovina quella vera.

Armadio 2.0

Riassunto delle puntate precedenti: la sera del 24 Dicembre 2009, praticamente due anni fa, finisco di rendere il mio armadio un’opera d’arte. Non erano passate nemmeno otto ore che un fiume entra dentro casa mia senza chiedere il permesso, e tra le cose che ha danneggiato c’era anche il mio armadio-capolavoro. Potete trovare delle foto in fondo al post che vi linko qui, se vi interessa. 
Quando i miei ordinano l’armadio nuovo, io dico loro di non spenderci soldi e prendere il più scacioso di tutti, perché ci avrei di nuovo elaborato sopra qualcosa. Inciso: “scacioso” è un vocabolo appartenente a una terminologia prettamente tecnica e non mi aspetto che tutti la afferrino.
Caso vuole che mi sono trovato a stagliuzzare, scotchare e progettare proprio il 24 Dicembre. I miei lettori più sensibili saranno già esplosi in un poderoso Mavaaaa! e io metto subito le mani avanti: non l’ho ancora finito. Anzi, diciamo che l’ho semplicemente iniziato.
( mia sorella può testimoniare che l’ho fatto io, visto che è venuta a vedermi mentre ero all’opera. Tra l’altro ho sfruttato l’occasione per farle sviluppare una cultura sulla trash music, dato che mentre lavoravo avevo avviato la playlist trash che comprende perle come T’appartengo di Ambra Angiolini, Give a little mmh to me di Amanda Lear e Baratto di Renato Zero. Non conosceva nessuna di queste, ma ho provveduto, e quando se n’è andata stava ancora canticchiando il motivetto di Ode al reggiseno di Jo Squillo )
Comunque, questo è il risultato parziale. Sarebbe bellino se ogni volta che vado avanti con l’armadio pubblicassi gli sviluppi qui sul blog! Sì, che idea geniale, dai! Naa, non lo so se mi va.

On air: Sound of arrows, There is still hope

Through the fear and fire
Past love and lust for gold
Within the darkest hour
There is still hope

And in the dead of night
Out somewhere in the sky
The sun will always shine
Burning with hope

And it will never ever go away

After all their lies
And how it haunted me
And what they made me be
There was still hope

Following the wind
To make it possible
Deep down I knew
That’s what I’ll do

‘Cause it will never ever go away

When all is dead
You’re feeling mislead
Just let it go, let it go away

Words they said
Have gone to your head
Just let it go away

Through the fear and fire
Past love and lust for gold
Within the darkest hour
There is still hope
That you’ll come back to me

And you would never ever go away

When all is dead
You’re feeling mislead
Just let it go, let it go away

Words they said
Have gone to your head
Just let it go away

Now feel my heart it’s racing
Carrying the flame
All my bones are aching
I’ll never be the same

Climbing up the endless
Learn to be your own
Drums sounding like thunder
Bring the boys back home

L’informatico buon samaritano *

On air: Goldfrapp, Ooh La La

Dunque, partirei con un assunto: mi piace quello che studio. Il problema è che solitamente quelli che studiano ciò che studio io sono molto più appassionati di me. Nel senso che anche quando non studiano… studiano. Tornano a casa dall’università, e continuano a fare cose che più o meno riguardano l’università.
E sia chiaro: li ammiro e invidio molto, per questo. Okay, li considero anche dei deviati, ma è così che dovrebbe essere. Certo che molti avrebbero bisogno di una doccia ma, per fornirli di una giustificazione, non sono sicuro che sappiano dell’esistenza del sapone. O dell’acqua.
Quindi immaginate cosa sono stati questi anni all’università: sempre io a chiedere aiuto, e mai a fornirne. Non perché io sia un bastarducolo avido di sapere, ma perché solitamente il livello di conoscenza degli altri è pari o superiore al mio. La mia amica A. una volta ha definito noi due come “intelligenze medie”, e dopo un attimo di riflessione ho convenuto che come definizione fosse calzante – e neanche troppo discriminante. Devo dire che gli informatici sono sempre molto gentili nel darti aiuto. Magari a qualcuno fa piacere poi farti pesare il fatto che ti è assolutamente superiore e che probabilmente un giorno sarà il tuo capo, ma mi è sempre parso un prezzo accettabile. Anche considerando il fatto che forse un giorno lui sarà il mio capo: io potrò sempre crogiolarmi nel pensiero di non aver mai avuto i capelli unti.
Oggi è accaduto l’inimmaginabile. Ho aiutato una ragazza in laboratorio.
Che non sapeva spegnere il computer.
Con molta umiltà le ho mostrato il tasto di End session e lei mi ha ringraziato come se fossi appena diventato il suo guru informatico (un guru che si era fatto una doccia di recente, oltretutto). Sono entrato immediatamente in modalità DELIRIO DI ONNIPOTENZA e adesso sto pensando anche che, se mai mi capiterà di avere una scarsa autostima, potrei cercarla per spiegarle come si fanno le lettere maiuscole.
* sì, come titolo fa cagare. 

Hai mai provato il sapone?

On air: Baustelle, Panico!
Cosa da sapere #1: ai Lucca Comics and Games danno un braccialetto di carta (ogni giorno dell’evento è di un colore diverso) che tu devi indossare e mostrare all’ingresso dei padiglioni. Così i tizi dello staff capiscono se hai pagato il biglietto per quel giorno: se ti vedono il braccialetto del colore del giorno ti fanno entrare, altrimenti no. Ripeto, è un braccialetto di semplicissima carta che viene via alla prima doccia.
Cosa da sapere #2: i Lucca Comics ci sono a fine Ottobre, inizio Novembre. Mentre oggi – ahinoi – è il 2 Dicembre.
Cosa da sapere #3: sono appena uscito dalla lezione di Calcolo delle Probabilità e Statistica, e il tipo che era seduto accanto a me emanava un leggerissimo odore di unto. Gli guardo il braccio, e aveva al polso il braccialetto verde fosforescente dei Lucca Comics del 30 Ottobre.
Ora che sapete queste tre cose, secondo voi, chi vince gli Sporco Awards 2011?

Di come ho scoperto la verità su Babbo Natale

On air: Edoardo Bennato, Quando sarai grande
Lo so: è troppo presto per un post sul Natale. Non solo, ma nessuno sente il bisogno di un post sul Natale… adesso. Tre giorni fa mi sono svegliato spalancando gli occhi e gridando Oh no: tra un mese è Natale. E sono stato male tutta la giornata perché quella consapevolezza si era impadronita di me e mi lacerava l’animo. Un po’ come il verme solitario, insomma.
Comunque, vorrei esorcizzare questo mio disturbo intestinale parlandovi di come ho scoperto la verità su Babbo Natale. È stato quello stronzetto di Nicola F, in terza elementare. Io ero (ero?) ancora un ingenuo bimbino che in quel momento stava fantasticando sui regali che Babbo Natale gli avrebbe portato di lì a poco, e lui con fare subdolo e un ghigno malvagio mi fa Ma guarda che non esiste.
Io che ero (ero?) bravo e buono e bello, non riesco a credere ad una cosa del genere. Quindi vado da quella che per me era (era?) la massima autorità in qualsiasi campo, la detentrice della verità: LA MAESTRA LEDA. “Maestra, maestra, ma Nicola ha detto che Babbo Natale non esiste!” Oddio che antipatico che ero. (ero?)
E lei? Si mette a ridere. E dice di chiedere ai miei genitori.
Okay. Torno a casa e con fare molto pratico e solenne raduno mamma e papà in salotto. “Mamma, papà, ma Nicola ha detto che Babbo Natale non esiste.” Stavolta non metto il punto esclamativo finale, ma il punto fermo. Come a dire che il sottotesto era: vorrei che mi forniate una spiegazione esauriente, grazie. E loro si guardano. E poi cominciano a spiegarmi tutto, che non esiste davvero, che erano loro che prendevano la lettera, la leggevano e andavano a comprare i regali, che non bisognava dirlo a mia sorella (che poi quella farabutta lo scoprì ma finse di non saperlo, perché lei è quella furba dei due), che era nonno che buttava i dolcetti sulla parete in modo che sembrasse che cadessero dal soffitto…
Io ascolto tutto e comincio ad elaborare. Ero (ero?) un bimbino piuttosto razionale, quindi non accusai troppo lo shock, ma cominciai subito a pensare. Quando giunsi alle mie conclusioni, dovetti chiarire un ultimo punto. E feci:
“Ma la befana esiste però, vero?”

Le frasi della giornata

On air: Gogol Bordello, My companjera
(1) 
Ogni cosa bella ha una fine, e questo è vero anche per le connessioni TCP

[ Kurose & Ross, Reti di Calcolatori e Internet – un approccio top-down ]

(2)

Più vuoi e meno avrai, più dai e meno prendi, prima lo si impara poi pappapparaparapappappara
Più sogni e meno fai, più fai e meno sogni, prima lo si impara poi pappapparaparapappappara

[ Fabri Fibra, Vip in trip ]
(3)
C’è una linea sottile, e dopo di quella… la perdizione!

[ una madre alla figlia ]
(4)
Mi dispiace dissentire, per me il caso è elementare: 
il ragazzo è un immaturo, non ha fatto il militare

[ Edoardo Bennato, Dotti, medici e sapienti ]
(5)
È la fine dell’Europa

[ mia madre in vena di catasfrofismo ]

(6)
Ti manca il potassio, Ale. C’è nelle banane

[ mia nonna ]

Passione post studio

On air: Regina Spektor, Fidelity
Torno a casa dopo un’intensa giornata di studio della quale tralascio tutti i dettagli. 
Non credo che vi importi qualcosa di un DNS. Finché non vorrete creare un sito e verrete a scoprire che itrucchidinonnavanna.com è un dominio già registrato. Allora vi importerà sapere cos’è un DNS, ma fino a quel momento no.

Ora che ci penso, anche allora potrebbe non importarvi.
Per inciso, itrucchidinonnavanna.com non esiste, e potete tranquillamente registrarlo, anche se per essere coerenti dovreste quantomeno avere una nonna di nome Vanna, oppure essere appassionati di porno senile.
Prima che pensiate che sono gerontofilo (“No Ale, pensiamo che tu sia scemo“, posso già sentirvi, piccoli merdosetti) vado avanti. Dicevo che torno a casa dopo questa intensa giornata di studio della quale non parlo ma vi ho già detto che ho studiato il DNS di cui non vi frega niente. Apro la porta. La prima, perché poi c’è quella della cucina, quindi apro anche quella. 
E la cosa che mi colpisce non è mia sorella che fa trigonometria insieme ad altre tre marmocchie.
Bensì un qualcosa che sta sul ripiano di marmo accanto al frigorifero. Uno strumento demoniaco. L’inferno fatto materia. Una trasposizione culinaria del mitologico vaso che racchiudeva tutti i mali. L’incarnazione di tutte le più primitive e animalesche pulsioni umane.
No, Silvio, non è il Viagra.
È la lussuria fatta zucchero, è la gola fatta pasta, è la gioia e la felicità e tutto quel che di bello esiste fatti cibo: è il pandoro.
In una frazione di secondo la mia mano era già scivolata dentro il cassetto ad arraffare il primo coltello disponibile, e stavo già per abbassarlo sull’oggetto del mio desiderio, potevo sentire la lama affondare nella pasta morbida e profumata e deliziosa, e già ambivo a soddisfare le mie voglie dopo un’intensa giornata di studio della quale ormai sapete tutto e non sto a ripetermi proprio ora, che finalmente arraffo la fetta che con passione ho tagliato, e già la bocca mi si apre e le fauci pregustano il sapore quando, all’improvviso, un atroce pensiero fa capolino nella mia mente:
“Oh no ma è Natale”
E poi continuo a mangiare.

Dai, vedrai che ti va bene

On air:  Robyn, Don’t fucking tell me what to do
Ora, io non sono scaramantico. Ho smesso. (questa è una battuta, ridete) (Anche questa tra parentesi era una battuta, rid… Ah, ma che ve lo dico a fare)
Dicevo, io non sono scaramantico, però prima di un esame c’è sempre stata una congiura organizzata dai miei famigliari per farmi innervosire. Stavolta è stato il turno di mia nonna che ha osato interrompere la mia merendina di oggi pomeriggio arrivando a dire (udite udite):
“Dai, vedrai che ti va bene”.
Ora, al di là del fatto che io non avevo manifestato all’esterno alcuna mia potenziale preoccupazione interiore che giustificasse un’uscita in proposito, la frase Dai, vedrai che ti va bene un po’ mi irrita. E non solo per quanto riguarda gli esami. Ma poi nemmeno fosse una novità! È da prima della mia nascita che non voglio che mi si dica. Quando mia madre doveva fare un’ecografia, se qualcuno diceva Dai, vedrai che ti va bene, scalciavo. Giusto per mettere pressione. Sì, ero palloso anche in pancia.
Ma non è complicato: le cose che dovete evitare di dire sono Dai, vedrai che ti va bene prima di qualcosa che può – anche solo in maniera remota – andare male, e la domanda Come va?/come stai? quando sono triste. Come fare a capire se sono triste, mi dite voi. Beh, se siete indecisi non chiedete. Oppure preparatevi a sorbirvi un pappardellone di mezzora sul mio stato d’animo. Sarà terribile, sarà noioso e sarà ciò che la prossima volta vi farà ricordare di non chiedermi come sto.
P.S. No, non ho il ciclo! Sono nervoso, no?, è chiaro. E sì, sfogo il mio nervosismo sul blog. Sì, nella maniera più antipatica possibile. Sì, sono antipatico, e allora? Ma vi fate gli affari vostri!?
P.P.S. No, non scriverò qui sopra l’esito dell’esame, in nessun caso.

L’ultima migliore canzone dei Coldplay non è dei Coldplay

Succede che sono in laboratorio ad ascoltare la musica prima di mettermi a studiare. Ascolto Rihanna ed intanto medito intensamente: ciò è possibile in quanto ascoltare Rihanna e pensare non sono azioni mutuamente esclusive, nel senso che posso compierle entrambe contemporaneamente.
Succede che alla fine enucleo la mia conclusione e la esprimo al mio compagno di banco. Il problema è che ho le cuffie nelle orecchie, quindi parlo un po’ troppo ad alta voce. Ora, il parlare un po’ troppo ad alta voce non sarebbe stato un problema, se solo la frase non fosse stata:
Sì, via, mi dispiace per Gaga che ha meno popolarità, 
ma devo diventare fan di Rihanna su facebook“.
Fortunatamente il laboratorio non è ancora pieno di gente, e quei pochi che mi sentono sono troppo fulminati dall’informatica per degnarmi d’ascolto (almeno spero). Invece il mio compagno di banco trova molto divertente il fatto che abbia espresso una tale considerazione nel silenzio più totale di un luogo pubblico. E con “trova molto divertente” intendo che sta un quarto d’ora a ridere minacciando di rinfacciarmi tale fatto per il resto della mia esistenza. Ergo, prima che lo faccia lui, racconto io questa cosa (così posso far finta di non essere imbarazzato e scherzarci anch’io quando lui lo dirà in giro: “ahahah sì che scemo che sono stato ahahah sìsì sono proprio un cretino!”).
Ora, per dare un po’ di sostanza a questo post completamente idiota, volevo dire che dopo due mesi di aspettative su Mylo Xyloto, l’attesissimo album dei Coldplay, ne sono venuto in possesso. E dopo tre ascolti ho concluso che non potevo rimanerne più deluso. Forse Chris Martin dovrebbe togliersi quel berrettino che porta sempre in testa, cosicché: 1) potrebbe lavarlo, finalmente, e 2) avrebbe modo di far prendere aria al cervello.
Per spezzare una lancia a favore dei Coldplay, invece, voglio dire che proprio stamani ho ascoltato una canzone che hanno arrangiato, e mi è piaciuta un sacco. Peccato che non sia dei Coldplay, ma di Rihanna. Comunque, questa è la loro cover di We found love che mi piace un sacco!

Don’t stop beLondon • Day 7

E, come nella favola di Cenerentola, quando tutto sembrava perduto, arrivò la zucca. Che per noi sarebbe il pullman della Teravision. In effetti questa vacanza presenta molti punti in comune con la favola di Cenerentola, il più rilevante dei quali è che sia io che Ciuffo alla fine non abbiamo più una lira. Ad ogni modo, abbiamo giusto il tempo per respirare l’ultima volta l’aria di Londra, prima di montare sul pullman che ci avrebbe portato a Stansted.
Il mio viso si appoggia al finestrino mentre dall’altra parte del vetro scorrono uno dopo l’altro i simboli della città. I teatri, i palazzi, il London Eye, il Big Ben. Com’era? L’ultima stella a destra, e poi dritto fino al mattino? Lo diceva Peter Pan ai ragazzi, ed era proprio sul Big Ben.
Il pullman ci permette di dormire un pochino. Come certamente saprete, dormire in pullman non è un’esperienza di cui si ricorda la comodità. Diciamo piuttosto che al risveglio ti chiedi se sia il caso di far amputare il collo. Una volta all’aeroporto comincia quello che ho rinominato “Il balletto dei chili“. Dunque, avevamo una valigia più due bagagli a mano a disposizione. Trentacinque chili in totale, e dimensioni fisse da non superare. Armati di tanta pazienza – che avevamo comprato da Primark, anche quella – ci mettiamo a sfare e disfare le valigie. Alla fine tutto era più o meno posizionato a dovere (ci avanzavano quattro etti), e avevamo sacrificato i seguenti oggetti: 1) mio shampoo 2) mio bagnoschiuma 3) lacca di Ciuffo, e mi sembra basta, se non che io sono stato costretto ad indossare, sopra alla maglietta e alla felpa classica, un cardigan, il giubbetto e il k way. Ma si fa tutto, pur di non pagare la sovrattassa di RyanAir.
“La senti, l’aria diversa?”
“No, cosa?”
“L’aria diversa, Ciuffo, la senti? È un’altra aria, rispetto a quando eravamo là”
“Ah, sì, è vero”
Mind the gap
between the train and the platform
“Eh, perché voi dovete andare a Londra, non lo sapete quante belle cose che abbiamo qua in Italia. Voi in Italia non ci andate, voi andate all’estero. Ah, ma i monumenti e le piazze e i campi dell’Italia…”
“Nonno io veramente ho girato tanto anche per l’Italia. Ma non è quello, non è questione di monumenti…”
E come glielo spiego a mio nonno che la magia di Londra non è nelle cose? Non nelle piazze, o nelle battaglie vinte, o nell’antichità di questo o quel museo, o di questa o quella civiltà. È la gente che è diversa. È l’odore di quando esci dalla metropolitana; è quando ti svegli e ti accorgi che quelle nuvole non spariranno, o forse un po’ sì, se sarai proprio proprio fortunato; sono i ragazzi con le cuffie alle orecchie; sono le persone che sanno chi sono e cosa vogliono; è la voce metallica che ti avverte della prossima stazione; sono tutti, che ti chiamano sir, anche se poi ti guardano come se ti volessero ammazzare; è quando ti dicono sorry, ma poi continuano a scontrarti; sono le strade, che sono state calpestate da coloro che hanno influenzato l’arte di tutti i tempi; è la città, la città stessa, che ha il sapore del mondo.
Mind the gap
between the train and the platform
Ah, no, scusate.
C’è quest’ultima cosa che voglio fare.
Un po’ scema, forse teatrale, non lo so.
Grazie, a te.
Non ci sarei venuto senza di te. Non ce l’avrei fatta senza di te.
Se tu non avessi insistito, pregato, fattomi ridere, detto che ne valeva la pena, detto che mi avrebbe fatto bene, se tu non mi avessi sopportato, incoraggiato, fatto in modo che mi sentissi al sicuro, sorbito i miei sfoghi – subito i miei sfoghi.
Sì, sei zoppo, e ti vesti in tecnicolor, e sei sdolcinato, un po’ tonto, e ti butti giù e a volte non hai fiducia in te stesso, e mi svegli con Viola Valentino. Ma sei una persona eccezionale, eccezionale, e io mi sento fortunato e fiero e tutto, quando penso che sei mio amico.

Mind the gap
between the train and the platform
Le riconosci, le risate?

Don’t stop beLondon.