La mia vita, più o meno.

Il tè senza zucchero

Un paio di settimane fa io e i miei amici eravamo particolarmente in vena di sentirci eterosessuali, così abbiamo deciso di passare la serata in una sala da tè. Ora, il medico mi ha prescritto di non andare in paranoia per le questioni lessico-grammaticali, e vi giuro che questo necessita di uno sforzo considerevole da parte mia, tuttavia cercherò di non controllare se “tè” è la corretta dicitura, o se è meglio thè o te o the o thé o tiè o teh o hte o qualsiasi altra permutazione di queste tre lettere.
La sala da tè dove ci rechiamo ha un nome in francese adattissimo per una sala da tè o per un profumo o per una prostituta d’alto borgo, ed è un posto molto grazioso. I tè nella lista sono tantissimi e hanno dei nomi che ricordano vagamente le posizioni del kamasutra, così io ne scelgo uno dal nome innocuo: “Polvere da sparo”, che secondo la descrizione avrebbe potuto risvegliare qualsiasi cosa per cui, penso, magari funziona anche con la mia umanità.
A servirci è un ragazzo eterosessuale quanto Solange che ci porta le teiere, le tazze, i piattini, i cucchiai, le fettine di limone, lo zucchero E NESSUN BISCOTTO. “Il tè non si beve, si degusta. E se mangiaste intanto che degustate, rovinereste la degustazione“, dice intanto che io mi figuro di affogarlo nel brodo di pollo. Poi, per essere proprio sicuro di essere odiato fin nel profondo, aggiunge: “E non ci dovete nemmeno mettere lo zucchero, per lo stesso motivo”.
A distanza di due settimane, spinto dai sensi di colpa per aver passato i giorni di festa senza ingerire alcuna fibra vegetale o, più genericamente, alcunché di salutare, mi sono fatto un tè verde, che è quella bevanda paracula che assumiamo quando abbiamo qualcosa da farci perdonare al nostro organismo. Ed è successo che nel tragitto dal fornello al tavolo i miei occhi non hanno potuto fare a meno di notare il pacco di Gocciole Pavesi che gridava il mio nome.
Ed è andata più o meno così:
È andata più o meno così, per più o meno dieci volte.

Robe varie riguardo al CNR di Pisa

Quello che segue è l’elenco di servizi e istituiti e mazzi vari che offre il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche, uououo) di Pisa:

IBBA- Istituto di Biologia e Biotecnologia Agraria
ILC- Istituto di Linguistica Computazionale “Antonio Zampolli” 
IBF- Istituto di Biofisica 
INO- Istituto Nazionale di Ottica 
IPCF- Istituto per i Processi Chimico-Fisici
IFC- Istituto di Fisiologia Clinica
IN- Istituto di Neuroscienze
ITB- Istituto di Tecnologie Biomediche 
IIT- Istituto di Informatica e Telematica – Sede
ISTI- Istituto di Scienza e Tecnologie dell’Informazione “A. Faedo”
IGG- Istituto di Geoscienze e Georisorse 
ISE- Istituto per lo Studio degli Ecosistemi 
ICCOM- Istituto di chimica dei composti organo metallici 
Uffici amministrativi
Uffici tecnici
Biblioteca
Mensa
Servizio Tecnografico
Officina meccanica
Ospedale
Area verde
Io volevo solo una cazzo di farmacia.
Comunque, lunedì inizierò il tirocinio al CNR. Mi hanno finalmente preso, e credo che la motivazione principale sia che gli ho fatto pena. La scorsa settimana ero in uno stato comatoso, vi giuro, se Charles Dickens mi avesse conosciuto si sarebbe suicidato, penso. Adesso che ho quattro tipi di farmaci diversi da assumere giornalmente e che il mio corpo dipende dagli sviluppi della medicina va un po’ meglio, anche se per non avere ricadute vado in giro tutto imbacuccato in stile Oliver Twist quando è ancora all’orfanotrofio (o una qualsiasi fashion blogger in una foto autunnale, che poi è uguale solo che non io non ho l’espressione sofisticata).
Il CNR mi spaventa, proprio perché è immenso e tutto uguale. Il mio amico biologo mi ha portato nel suo dipartimento che consiste in una serie infinita di scale, porte e corridoi tutti uguali. Vedevo la gente coi camici che diceva cose tipo Devo fare la pcr o L’hai prenotata la centrifuga? o LE CELLULE, iniettala nelle cellule! o AAAAAAH tanto che io ho pensato prima di denunciarli tutti per induzione volontaria alla labirintite e poi che sono pazzo perché questo reato non esiste, che non sarei mai uscito di lì, che la mia vita è arrivata al capolinea, che passerò il resto dei miei giorni nutrendomi di zebrafish qualsiasi cosa siano, poi morirò e forse un giorno Ryan Murphy si ispirerà a me per una nuova stagione di American Horror Story.
E ritroveranno questa foto, quando l’edificio sarà infestato dagli zombie:
[ lo so che questo post vi ha fatto schifo ma oggi è Halloween 
e mi sento autorizzato a farvi orrore ]

The sweetest disposition

Ieri ho fatto un colloquio per un tirocinio. È stato molto bello perché ero mezzo malato, con la tosse forte, un raffreddore che mi faceva colare ogni cosa dalle narici, la voce tappata rumeno-style, poi gli occhi vacui e lucidini, il volto pallido, e ah, a un certo punto mi si è messo a sanguinare il naso. Sembravo una puntata di The walking dead. 

Ah, e poi l’esaminatore mi chiede se mi interessa di più Android o iOS, e io rispondo con una brillante voce nasale “Android, ma Ber una quesDione di simBaDia“, e lui si mette a ridere, e io penso di essere stato un ganzo vero, se non che lui estrae il suo iPhone e lo poggia sul tavolino.

E niente, tutto questo mi sembra il giusto contesto per introdurvi alla suoneria attuale del mio cellulare, dato che l’ho cambiata da quando avevo quella che descrivevo qui.

– Donald Duck Theme Song,
di Oliver Wallace –

Who’s got the sweetest disposition?
One guess, guess who?
Who’d never, never starts an argument?
Who never shows a bit of temperament?
Who’s never wrong but always right?
Who’d never dream of starting a fight?
Who gets stuck with all the bad luck?
No one but Donald Duck!

Tredici sfumature di grigio

Ero nella mia cameretta a interrogarmi su questioni profondamente esistenziali e cioè se sia più elegante il Georgia o il Times New Roman, quando mi arriva un messaggio su facebook. È la Ade, che mi passa il libro più venduto del 2012, Cinquanta sfumature di grigio. Mi sento un vero criminale a essermi procurato questo libro illegalmente – che poi “illegalmente”, insomma, neanche fosse una dose di eroina o un pacco di wafer alla marjuana -, ma farei di tutto pur di non dovermi presentare in libreria a comprarlo. Il commesso mi ha già classificato come perfetto deficiente dopo che tre anni fa comprai Spero che vendano birra all’inferno, un romanzo di tutto rispetto la cui copertina nera e chic si è rivelata utilissima come soprammobile.
Il fatto è che in diversi mi hanno suggerito di leggere questo Cinquanta sfumature, credo che la speranza sia che io ci trovi qualcosa di antropologicamente rilevante. Non si può negare che quest’estate lo hanno letto tutti, e beh: dopo un po’ diventi curioso.
Non vorrei passare per quello poco intellettuale, tipo la casalinga italiana che guarda Uomini e Donne e urla COSTANTINO AMORE MIO NON TI FIDARE DI QUELLA PUTTANA davanti al televisore come se la De Filippi potesse sentirla.
– Dio, questa scena è raccapricciante.
Perché le scrivo, ‘ste cose, mi domando –
Tuttavia, non voglio passare nemmeno per quello tanto intellettuale che trova che perfino respirare sia troppo mainstream. È molto bello che in questo momento stia prendendo le distanze sia dalla massa che dagli snob, e che così facendo stia diventando una specie di snob al quadrato che mi eleva a livelli di antipatia mai raggiunti da qualsiasi personalità umana fatta eccezione forse per Cicchitto.
Bene, ora che sono odiato da tutto il mondo (e quindi sono a conoscenza di cosa prova una twitstar) voglio precisare che leggerò queste Cinquanta sfumature con occhio critico ma oggettivo. Cioè magari non così:

questa foto è tratta da un servizio di Repubblica i cui giornalisti 
sono stati pagati per raccogliere foto dei lettori di Cinquanta 
sfumature di grigio. Da grande voglio fare il giornalista di Repubblica

Lo spogliatoio

Toglietevi dalla testa il luogo comune che un omosessuale nello spogliatoio passi tutto il tempo a guardare gli altri che si denudano. Per quello c’è la videografia di Paola e Chiara. Certo, non dubito che ci sia qualche invertito pervertito che un’occhiatina ogni tanto la lancia – stiamo pur sempre parlando di gay, cioè la categoria umana che dopo anni e anni di battaglie per i diritti civili si è finalmente conquistata il titolo di comunità meno sessuofobica del pianeta (gli etero per vedere due chiappe devono ancora ricorrere a mezzucci ipocriti come Miss Italia, o True Blood).
Quindi ecco: nonostante il libertinismo che ci scorre nel sangue insieme all’amore per Madonna, non passiamo tutto il tempo negli spogliatoi a spiare gli altri. Non io, almeno. Lungi da me fare quello puritano, non sono il tipo e se avete letto il mio ultimo post sapete bene che in questo periodo mi farei anche quel marmocchio orientale che canta Gangnam Style. No, aspettate, lui magari no.
Tuttavia, ascoltare quello che gli altri dicono rimane una delle mie attività preferite. Devo pur trovare qualcosa da fare per non pensare al fatto che la cuffia della piscina stressa i capelli e dopo mi cadono e se ci penso mi stresso ancora di più e mi cadono ancora di più poi divento pelato e mi suicido. Quindi devo ascoltare quello che dicono gli altri, sennò muoio
I miei preferiti sono i bambini. In un mese di piscina, mi sono fatto un’invidiabile cultura su Phineas e Ferb. Lunedì scorso Filippo spiegava a Matteo dove abitano tutti i suoi SEDICI compagni di classe. Non due o tre, eh, SEDICI. Non ho ben capito dove sta Lorenzo Matteucci perché in quel momento ero sotto il phon. Comunque Filippo e Matteo sono simpatici. Filippo è chiaramente la personalità dominante, il Beyoncé della situazione. Matteo invece è un po’ come quello dei Litfiba che non è Piero Pelù, e poi è tonto e non sa nemmeno che Perry è un ornitorinco spia.
Gli altri avventori dello spogliatoio non sono simpatici come Filippo e Matteo. C’è quello che si lamentava che ha lasciato i vestiti nella borsa e ora sono tutti ammarciti, che se avesse mia mamma come madre adesso sarebbe già fuggito in Albania per non essere preso a sassate dalla genitrice. E poi ce n’è un altro che si crede figo (e lo è, in realtà) ed entra sempre fischiettando una canzone dei Muse. Ho anche tentato una mezza interazione: andando via, ho canticchiato All I wanna do is fuck your body, oooohohohohohoh. Chissà se ha afferrato.

Allarme Pompelmo

In questi giorni sono un po’ nervoso. Un po’ nervoso è la dicitura ufficiale leggermente eufemistica: quella informale suona più come isterico scassacazzi. Ciò che mi distingue da una femmina in pieno ciclo mestruale sono l’apparato riproduttore, la barba e il fatto che da Zara le cose mi costano di più. A volte nemmeno la barba. Se ci fosse il termometro dell’acidità, il mio starebbe lampeggiando compulsivamente su Allarme Pompelmo
Non credo che il problema sia la mancanza di sesso; anche se, a pensarci bene, l’altra sera una mia amica ci chiedeva se durante l’amplesso facciamo dei gemiti o dei versi, e tutti dicevano la loro, e io ci ho pensato ma ho realizzato che non me lo ricordo. Forse mi dovrei preoccupare?
Ah, e poi è successo anche che avevo finito l’allenamento in piscina e risalivo le scale per andare via, e intanto canticchiavo l’ultima di Christina Aguilera, pensando che non ci fosse nessuno: all I wanna do is fuck your body, ooohohohohohohohohooooh… Quando sono arrivato su ho visto l’intera squadra di basket femminile di Lucca che mi fissava con espressione attonita. Non so se questo fatto è indicativo ma è stato oltremodo imbarazzante.
Una volta ho letto in un libro che il nostro corpo è come una spugna: esso assorbe l’amore finché può e quando lo spremi lo restituisce. Tutte le volte che penso a questa similitudine idiota mi immagino una mano gigante che palpa le persone e queste che esplodono in mille stelline e arcobaleni tipo Sailor Moon quando si trasforma. Io vi avviso, se spremete me esce fuori vodka lemon.

Lory-Tredici 1 a 1

Okay, devo ammetterlo, me la sono cercata. Volevo fare il brillantone e lei mi ha scovato. Ora, non so cosa faccia un grande personaggio come Loredana Lecciso sul mio account twitter, probabilmente ha così tanto lavoro che passa le giornate a googlare il suo nome un po’ ovunque. Fatto sta che mi ha risposto per le rime: 

Poi vabbè, c’è da dire che non mi sento smodatamente intelligente. E neanche smodatamente intelligente con tutti quegli orribili punti esclamativi!!!!!! Semplicemente, la ritenevo una cantante degna di riportare un equilibrio nella mia mente. Ma devo ammettere la mia sconfitta, e lo faccio pubblicando qui la sua strabiliante hit. Godetevela.

I raggi (storia di un baccaglio in tre puntate) – 3

(voce maschile e idiota)
And that’s what you lost on I raggi:
TERZA PUNTATA
A ballare con te? Ma dicevamo dei raggi?

I raggi…

Sì, li ho distrutti siccome

Balliamo?

Come li… ehm, riattacco?
Ballando con me – si avvicina pericolosissimissimamente.

C’è una colla, tipo?

Balliamo?

Non so, silicone…
Balliamo? – mi prende anche la mano.

Magari se li incastr… che fai?

Balliamo?
Arriva quel momento, in un approccio, in cui si incanta il disco. L’approcciante, ormai esaurito di tutte le energie di cui dispone, si rifugia nella famosa strategia del martelletto: in poche parole, l’approcciante martella l’approcciato finché quest’ultimo, per sfinimento, gli concede la sua virtù.
Tuttavia, talvolta capita che l’approcciato abbia saldi principi morali, come me
– SMETTETELA SUBITO DI RIDERE –
e che pertanto, non sentendosi in vena di elargire il proprio fiore al primo ubriaco che passa, per qualche motivo che non ho voglia di spiegarvi, debba attuare il diversivo di fuga chiamato Manovra Ohmaeccoilmioamico, che funziona più o meno così:
Oh, ma ecco il mio amico! Allora ciao eh, è stato davvero un piacere, ci vediamo!

The End
Titoli di coda (che non guarda nessuno e quindi li saltiamo)
Scena finale post titoli di coda, in cui si vede il tizio che c’ha provato con me che stava parlando con un altro tipo. Passandogli accanto, ho distintamente udito la parola “raggi”. Buona fortuna! A entrambi.

I raggi (storia di un baccaglio in tre puntate) – 2

(voce maschile e sexy
Previously on I raggi: link alla prima puntata
SECONDA PUNTATA

Hai solo quattro raggi. Te ne mancano tre.
Ora, io devo dire che di frasi da approccio ne ho sentite e dette tante. Voglio dire, io sono quello del “Scusa, è tua questa pallina?” e del “Ehi. Mi presti un appuntalapis dove con appuntalapis intendo il tuo numero di telefono?” e del “Ciao. Sto per fare una figura di merda: mi chiamo Tredici e mi piaci” e del “No scusa è che un mio amico mi ha spinto e comunque Tredici, e tu sei…?”
– un inciso franco e veloce: scrivere su un blog 
ti fa capire come mai sei single. Fine dell’inciso franco e veloce –
Comunque, nonostante la mia esperienza nel settore, nessuno mi aveva mai approcciato parlandomi dei miei raggi.
Ehm. I raggi? – domando, immaginandomi una bici, e poi il sole dei Teletubbies con la mia faccia dentro. Il mio interlocutore annuisce come se parlare di raggi in una discoteca fosse la cosa più naturale del mondo. Alché decido di fare il simpaticoAhhh già i raggi: sì, li ho lasciati in frigo.
Ma che frigo, li hai distrutti, deh. 
Eheheh che imbranato. (Ciuffo, Giuliano, dove siete?)
Non mi hai ancora detto che ci fai qui da solo…
Non te lo posso dire – cerco di tagliare corto. Mica gli posso stare a spiegare che mi girano gli zebedei perché le mie due prede della serata hanno deciso di unirsi biblicamente sotto i miei occhi impreparati ad osservare quella drammatica scena.
“Non te lo posso” dire è una sovrastruttura. – fa lui – “Non te lo voglio dire” è la verità. 
A questo punto credo di avere sufficienti elementi per ritenerlo pazzo, ma siccome sono in vena di masochismo continuo a parlare. Il fatto è che non sopporto le persone che se la tirano e che non danno nemmeno una possibilità, e non voglio tirarmela le volte che mi capita di piacere a qualcuno [non capita spesso, N.d.A.]. E poi questo tipo ha persino esordito con qualcosa che non fosse scontato come, non so, la scena di sesso a metà di un film di James Bond. 
Il problema è che, prima o poi, l’altro dirà qualcosa come…
Dai, vieni a ballare con me.
Ecco, appunto.
TO BE CONTINUED