La mia vita, più o meno.

I raggi (storia di un baccaglio in tre puntate) – 1

PRIMA PUNTATA

Ma cos’ha lui più di me? A parte i capelli biondi, le spalle larghe 
e quel visino pulito che mi divertirei a puntellare con un chiodo.
Sono solo, in una discoteca, seduto su un divanetto, abbastanza impegnato a maledire l’eventualità, tipicamente omosessuale, di dover spendere qualche secondo della tua vita a osservare gli unici due ragazzi che ti piacciono mentre limonano l’uno con l’altro. Gli etero possono risparmiarsi questa crudeltà visiva, e forse è per questo che sono mediamente meno acidi e riescono a guardare cose come il meteo del TG4 o un qualsiasi sketch che coinvolga Carlo Conti e trovarle simpatiche. 
Sono appunto intento ad enucleare tutti i programmi televisivi di cui avrei potuto godere quando sento una voce. Dolorosamente troppo vicina perché io possa fare finta di niente.
Ehi. Che ci fai da solo così sconsolato?
Non mi volto. Anzi, alzo lo sguardo e noto ancora una volta le due lingue maledette che si contorcono l’una sull’altra in un’esplosione di passione e saliva, saliva che spero sia secreta in quantità sufficiente affinché l’epatite B sia trasmessa da uno all’altro. Ho controllato, esiste una minima possibilità di contrarre l’epatite B tramite bacio. C’è scritto su Yahoo Answer che in questo momento è la fonte più scientifica e nessuno osi contraddirmi per favore. 
Nah, niente – faccio.
Il tizio ridacchia e si siede. Ciò che dirà dopo tre secondi mi avrebbe fatto restare di sasso.
TO BE CONTINUED

Alternativa definitiva all’inventiva

Se il Creatore del Disegno Intelligente, al momento di far evolvere i bonobi in esseri umani, mi avesse chiesto quali caratteristiche far sviluppare nella nostra specie e quali no, avrei senz’altro dato la conferma per il pollice opponibile, che è molto utile per sbucciare le arance e togliere i cubetti di ghiaccio dal Negroni, ma mi sarei categoricamente opposto a questa fregatura di poter pensare.

Sì: non sono un grande fan del pensiero. Mi rende inquieto sapere di cosa è capace la mente umana, e non mi riferisco a banalità come la bomba atomica o la caccia alle balene, ma piuttosto a concepimenti ancora più terribili, tipo la maionese del Mc Donald’s, o lo sbiancamento anale, o le felpe con scritto ITALIA. E soprattutto le paranoie, le paranoie che rendono turbolenta la mia esistenza, le paranoie per le quali maledico di possedere un cervello.

Per questo sono rimasto colpito da un curioso macchinario che ho trovato al Museo della Scienza di Valencia: un tavolo su cui è posta una pallina. Due persone si siedono ai lati opposti del tavolo e poggiano la fronte su una specie di casco che analizza la loro attività cerebrale. La pallina comincia a muoversi verso l’uno o l’altro a seconda dell’intensità del loro pensiero. In pratica, vince chi pensa meno.

Capite bene che non posso che rimanere affascinato da un simile aggeggio, tant’è che ho costretto Ciuffo, il mio compagno di scorribande e di merende, soprattutto di merende, a giocarci con me. Ci siamo seduti, ci siamo squadrati e insultati come farebbero due neri del ghetto americano, e la partita è cominciata.

Dovevo pensare alla cosa più vuota e inutile del mondo.

Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton Paris Hilton.

Vuoto per vuoto, pensavo.

Ma la pallina scorreva comunque verso di me decretando la mia sconfitta. Ciuffo ha vinto, e non mi ha nemmeno voluto dire come ha fatto.

Chissà a quale bionda ha pensato.

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[ articolo originariamente pubblicato su Maintenant,
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Valencia #2

– Sono tutti italiani –

Tu credi che Valencia sia una città spagnola. In realtà no, anzi è una delle più floride e vive tra le succursali italiane. E ciò comporta un notevole numero di svantaggi, tra cui quello che vi vado ad esporre con un simpatico aneddoto.

In metropolitana c’era un tipo che presentava obiettivamente un elevato valore del coefficiente di fregnosità. Forse un po’ piccoletto, ma insomma ci sono certi fregni che sono come il vino: bisogna assaggiarli da piccoli, per assicurarsi che invecchino bene. Ecco.
Insomma, io estraggo il cellulare dal mio pratico porta-cellulare che in realtà è un calzino spaiato e faccio una foto a Ciuffo e Laura, che erano seduti accanto al fregno in questione. Ma attenzione: fotografo solo loro due, come posso dimostrare:

‘ellini.
Tuttavia Ciuffo pensa che le mie intenzioni siano più maliziose: “Dopo la voglio vedere la foto eh?” fa, sperticandosi in occhiate ammiccanti.
Io, suorina mode ON, faccio: “Noooo, ma ho fotografato solo voi, hihihi!” come a dire che dammi un minuto e ti immortalo il biondo forevah and evah. Alché il tizio fregno in questione si rivolge al tizio non fregno e per togliersi dall’imbarazzo inizia a parlargli in una lingua terribilmente simile all’italiano. Laura, finora silenziosa spettatrice, inizia a ridere e smetterà solo quando scoprirà che nell’appartamento manca l’acqua calda.

Ah, comunque, italiano o meno, la foto gliel’ho fatta:

Ah, il fregno sarebbe quello a destra. Ma son gusti, ecco.

Si spalanchino i cieli

e si aprano gli oceani, si sciolgano i ghiacciai e crollino le montagne, si scuotano le foreste e tutte le foglie di tutte le piante di questo mondo, i leoni ruggiscano, i cavalli nitriscano, gli uccelli cinguettino, i cani abbaino, i gatti miagolino, i lupi ululi… ulul… ulunin… vabbè, i galli cantino al mattino, gli usignoli cantino la notte, le rane gracidino la sera, e a mezzogiorno gracidi pure anche la Clerici, come al solito insomma, giochino i bambini, si divertano, ridano, urlino di gioia e d’amore e di tante cose belle, suonino le campane, squillino le trombe, rullino i tamburi, rollino i drogati, e i cuochi cucinino, i sarti tessano, i medici curino, i suonatori suonino, i politici non facciano un cazzo come sempre, e i nuotatori nuotino, i corridori corrano, i calciatori scommettano, gli schermidori schermisc… scherm… schern… bravissimi, gli schermidori, eh, dicevo degli sciatori, gli sciatori sciino, i ciclisti pedalino, i pallavolisti schiaccino, facciano muro, Mila, tua, ATTACK!, aaaaaltra schiacciata vincente della Hazuki il pubblico è in delirio, e i mari s’innalzino, i vulcani eruttino, le tempeste si scatenino, gli uragani distruggano, fieeeesta: here we go, ale ale ale, go go go, ale ale ale, arriba va, el mundo esta de pie, go go go, ale ale ale, e l’Apocalisse arresti il suo passo e cominci a indietreggiare, e le sventure e i mali di questo mondo fuggano via, e tutto ciò che è vivo gioisca e si rallegri e faccia festa per un mese intero,
perché io, Ale, ho passato Reti dei Calcolatori.

Post delirante di un blogger delirante

Carissimi, 
( come dice Don Andrea nella letterina che dà ai fedeli dopo la messa per indottrinarli anche nei giorni lavorativi. Letterina che tra l’altro ogni settimana vede peggiorare l’impaginazione perché beh, essendo fatta con Publisher… Vabbè. Comunque ora che ci penso non scrive carissimi, scrive fratelli e sorelle. Ricomincio )
Fratelli e sorelle,
volevo scusarmi pubblicamente per la mia assenza di ieri. Ho avuto la febbre e non riuscivo proprio a toccare il computer. Ho provato ad alzarmi per andare a fare colazione, ma una volta raggiunta la cucina ho iniziato a vedere una serie di lampi bianchi che mi hanno costretto a sedermi. Sì, lampi bianchi. Lì per lì ho pensato che ci fosse un Pikachu schizofrenico nella dispensa, invece poi ho concluso che era la febbre a farmi impazzire.
A proposito, vorrei scusarmi anche per questo post. Sì, è vero che adesso sto un po’ meglio ma, come avete già potuto arguire dalle prime righe, non sono del tutto sicuro che i deliri non siano terminati. Beh, se vi va bene non mi metterò a fare foto con Instagram al termometro, come qualche mese fa.
La malattia è stata presa molto seriamente dalla mia famiglia. Innanzitutto da mia sorella, che ora fa il tirocinio da un pediatra e questo la fa sentire una dottoressa arrivata. Ieri sera è tornata a casa, si è armata di torcia elettrica e mi si è avvicinata cautamente. Poi tutt’ad un tratto è partita all’attacco: mi ha agguantato la lingua e ha esplorato la mia cavità orale, proferendo frasi da battaglia, stile Aragorn o Sailor Moon, per dire. La paladina della medicina ha infine concluso che non ho la polmonite pustolosa.
Poi ci sono i miei. Mia mamma è una di quelle mamme apprensive che quando il loro figlioletto sta male si trasformano in delle macchine da guerra inarrestabili. Ho sempre pensato che al mondo non esista soldato più motivato di una madre. E insomma la mia era lì pronta a smobilitare l’intero reparto di otorinolaringoiatria quando ha preferito dedicarsi ad attività più semplici, come trasformare la mia stanza in una camera sterile. Anche mio papà ha partecipato attivamente alla lotta contro la malattia: ieri sera se n’è uscito con “Ti ci vuole un bel brodino bollente!”. Per la tonsillite? Sì, oppure potrei spalmarmi del cioccolato direttamente sui linfonodi, se tanto devo morire.
Infine c’è mia nonna. La cara nonna-gufo. Non perché è saggia come un gufo, ma perché gufa. Stamani mi provo la febbre e lei è lì, in attesa di sapere il responso del termometro per essere la prima a poter esprimere la propria opinione clinica. “Oh, 36,6! Evvai!”, faccio io con sommo gaudio.

“Eh, ma sai Ale, ora è mattina. Nel pomeriggio ti può salire”

Di quella volta in cui aiutai James Franco

Ero nel laboratorio I quando James Franco mi è apparso. Sì, mi è apparso, come la Madonna a Medjugorje. Era illuminato da una luce divina e mi ha detto le seguenti, sagge parole: “scusa, ma per autenticarsi ci vuole la password del dipartimento?”. Okay, forse la luce non era proprio proprio divina, magari era quella dei neon del laboratorio, ma vi giuro che era James Franco. E va bene, non era nemmeno James Franco, ma un po’ gli assomigliava.
Si trattava di uno studente del primo anno, biondino e senza barba, e lo chiameremo James Franco per due motivi. Uno, la vaga somiglianza col famoso attore, e due, il fatto che James Franco è l’unica celebrità che gli utenti di google non accostano a una qualche posizione del kamasutra per arrivare al mio blog. Così adesso fornisco ai motori di ricerca dei nuovi fantasmagorici spunti. Me li immagino già, gli utenti, lì a digitare James Franco fa sesso con Medjugorje nel laboratorio I, o ancora A Medjugorje, Madonna fa una cosa a tre con James e Franco, oppure Flirt in dipartimento tra James Franco e un neon.
E insomma James Franco era alla postazione accanto alla mia, e dopo un po’ mi fece: “Scusa, ti posso chiedere un consiglio? Sai, mi sono iscritto a Informatica da poco però pensavo di cambiare e andare a Ingegneria Informatica e non so se faccio bene”.
Ora, dovete sapere che per un informatico vero sentirsi accostare a ingegneria informatica non è gradevole. Anzi, sconsiglio a tutti di farlo. È come andare ad un raduno di nerd e gridare GAME OF THRONES CACCA!, non lo fate.
Mantenendo un certo aplomb gli chiesi per quale motivo volesse cambiare. Rispose: “È che siccome ingegneria la fa la mia ragazza. Qui però ho i miei amici…”. Che belli i giovani innamorati, eh? Mi fanno quasi tenerezza, così ignari del fatto che l’amore li renderà dei mostri e che tra cinque o dieci anni avranno gli antidepressivi nel cassetto più alto del comodino. 
Senti, James Franco, tesoro – gli feci – tu sei il mio attore preferito, capisci che è da quando hai fatto il cattivo in Spiderman che io sono perdutamente innamorato di te, tu devi fare coming out e dichiararti a me, tu devi ascoltarmi bene: non andare ad ingegneria. E non rimanere nemmeno qua. Scappa, va’ via. Prendi un biglietto sola andata per gli Stati Uniti e non tornare mai più. Vendi hamburger di plastica da McDonald’s finché un giorno una ricca signora annoiata ti noterà e ti assumerà come giardiniere nella sua villa ad Hollywood dove ti costringerà alle più perverse acrobazie sessuali mentre il marito è via per affari.
Ed è così che ho aiutato James Franco a cambiare vita.

Caro Caronte

Caro Caronte, so chi sei. È stato Studio Aperto a crearti una settimana fa, dopo aver esaurito le notizie sulle tette delle veline e sui cani che sbranano i bambini. Inutile dire che gli altri giornali hanno subito sfruttato questa entusiasmante novità del caldo in estate per rinnovare i servizi da dare. Immagino che il medico che consiglia di bere tanta acqua e di non uscire nelle ore calde sia ormai morto: è lo stesso da quando sono nato. E ci sta sempre bene un servizietto così alla fine di un tg, dopo venti minuti in cui si parla di calcio e spread.
Caro Caronte, lo so che in realtà tu fai parte del segreto complotto dei professori di italiano per far imparare la Divina Commedia ai maturandi. Già, perché Caronte è stato ripreso da Dante nell’Inferno. E dire che io ‘sta cosa l’avrei saputa anche senza il tuo nome che oggi è sulla bocca e nei tweet di tutti. Ma il professore, alla mia maturità, non mi chiese Dante, no: mi chiese cosa c’è nel salotto dei poeti crepuscolari. E io sfido chiunque a sapere cosa c’è nel salotto di un poeta crepuscolare.
Caro Caronte, so anche che ti sei materializzato nel tipo che si è appena seduto vicino a me, in biblioteca. Vedi, devi sapere che qui non funziona l’aria condizionata e studiare è già abbastanza complicato di per sé: adesso che ho a due metri un giovincello alto e biondo e perfetto e con un paio di occhiali neri che gli danno un’aria trasandata e al contempo molto sexy e con un debole alone di sudore che senza renderlo volgare o farlo puzzare gli rende la pelle abbronzata ancora più tonica di quanto non sia di suo grazie a quei suoi muscoli guizzanti, ecco, adesso studiare è proprio impossibile.
Caro Caronte, caro, carissimo Caronte: mi devi una granita al limone.

Non sto guardando la partita

Non sto guardando la partita.
Ebbene sì: l’Italia, proprio in questo momento, è silenziosa come la bocca di Madonna mentre canta in playback, o come Andreotti di fronte ai magistrati, o come la foresta amazzonica dei proverbi, quella in cui cade sempre un albero e nessuno può sentire che rumore fa questo cazzo di albero che cade – che poi dico: è un albero che cade, vedrai un pochetto di rumore lo farà, a idea, eh.
L’Italia è silenziosa, e l’unico debole ticchettio proviene da me che batto le dita sulla tastiera.
Non sto guardando la partita. 
Non è per desiderio di anticonformismo, ci mancherebbe. Anzi, mi piace fare le cose mainstream, se sono cose mainstream che mi piacciono. Tipo mangiare dal McDonald, modificare le foto con Instagram, dire che è caldo.
Non sto guardando la partita. 
E vi dirò di più: della partita non me ne frega proprio una beata straminchia (ops, scusate, talvolta mi escono le parole in francese e non me ne rendo conto), ma non ho niente contro chi la guarda, ci mancherebbe altro, anzi guardatela pure. Però mi sento così solo ._. 
( chiedo perdono per questo post del tutto inutile e privo di qualsivoglia morale. 
È che non so che fare, abbiate pazienza. Magari vado a farmi la doccia, che puzzo )

Oh oh oh oh eh eh ah ah ah eh eh

Quando sei in macchina e ascolti la radio, può capitare che senti una canzone che ti piace ma di cui non conosci il titolo. Se fai un po’ di attenzione a non sfracellarti contro un palo, puoi avviare Shazam dal cellulare, o ancora meglio SoundHound, che ti registra il suono e poi quando trova una connessione ad Internet te lo ricerca nel database.
Ebbene, ieri ero in macchina con Ciuffo e abbiamo sentito una canzone. La danno spesso in radio, tant’è che l’avevo già sentita, ma non sapevo il titolo. È quella che fa oh oh oh oh eh eh ah ah ah eh eh. Se pensate che non sia un’informazione sufficiente per capire che canzone sia, proseguite nella lettura.
Uhhh, qual deliziuosa canzuoncina! Sai per caso chi sia la giovinciuella che la canta?

Mi duole ammettere che non mi appartiene una tale informazione.

Oh, acciderbolina, ma non temere, che avvio SoundHound!
Ma nemmeno SoundHound è riuscito a capire che canzone fosse. Stamani mi sveglio, e la prima cosa che faccio è avviare Shazam e provare a cantargli il motivetto. Mia sorella mi deve aver preso per idiota, visto che cantavo a un cellulare. Ma niente.
E allora mi sono detto: cosa faccio quando non conosco una canzone? Googlo il testo. Ora, il problemino era che in questo caso il testo era una serie di sillabe equivoche e io non mi volevo ritrovare nel porno della Contessa De Blanck. Alla fine decido di rischiare.
La verità è che qualsiasi domanda tu possa avere, qualcuno l’ha già avuta prima di te. E l’ha postata su Yahoo Answer. Ed è così che io ho ottenuto la mia canzone, e me la sto ascoltando da dieci ore consecutive. Oh oh oh oh eh eh ah ah ah eh eh oh oh oh oh eh eeeeeh!
Lisa Hannigan
What’ll I do

La prostituta e i miei pensieri

On air: Shevaree, Goodnight Moon
12 Giugno
ore 22:24
Okay, la situazione è assurda. Sono in un parcheggio che aspetto un’amica e a dieci metri da me c’è una prostituta che per difendersi dal freddo sta ballando. 
È tutto buio qui, e tira un sacco di vento, e nonostante sia Giugno fuori dalla macchina non è per niente caldo. È proprio buio. Beh, sì, è notte, anche se non dovrei ripetermelo perché effettivamente tutto questo ha un che di inquietante e io in queste situazioni sono davvero bravissimo ad autospaventarmi.
Balla pure male.
Quasi quasi scrivo a qualcuno dove sono. Nel caso venissi squartato dalle prostitute, per dire. Che ne so perché dovrebbero arrabbiarsi. Forse sto invadendo il loro territorio, forse hanno anche loro un codice, un codice che devi essere una prostituta per conoscerlo, che magari quando diventi prostituta devi giurare su questo codice eterna fedeltà alla sacra prostituzione, non lo so magari questo codice dice che solo le prostitute e i clienti delle prostitute possono stare qua, proprio dove sto io. 
Oddio, e se mi uccide?
Se fossi una prostituta terrei sempre un’arma a portata di mano, per i clienti più aggressivi, dico. Chessò, un coltellino tra le tette. Nel caso specifico credo che c’entrerebbe un’intero cassetto di posat ODDIO STA ARRIVANDO UNA MACCHINA! Anzi, no, due, due macchine! Il tizio che guida la prima sta parlando con la prostituta. Che si diranno? Riguarda me? Mi sa che stanno contrattando sul prezzo.
La prima macchina va via. Ora anche la seconda. Acc, gli è andata male. Deve essere una di quelle prostitute molto costose. Una per clienti esigenti, dico. Effettivamente ha un vestito leopardato molto succinto. Dio Santo, mi sa che mi ha notato. Eh certo, Ale, anche te che tieni il cellulare acceso, l’avrà attirata lo schermo luminoso.
Mi guarda.
Le devo fare ciao? Dio, ma cosa dico. Poi metti caso che viene qua, col coltellino e tutto. Faccio finta di non vederla, ho deciso. 
Mi guarda.
Non so come mai, ma mi sento una merda. 
Mi dispiace. Davvero, dico.