La mia vita, più o meno.

La sfiga è furba

On air: Jessie J, Who’s laughing now
Eventi numerati in ordine cronologico:

1)   Devo fare una relazione per il mio corso di Audio Digitale. Ora, si dà il caso che in biblioteca non ho trovato molte informazioni, e anche su internet si trovano documenti o troppo generici o troppo tecnici

2)   Qualche giorno fa, dopo una perlustrazione minuziosa di tutto il web, riesco a trovare una ricerca che sembra fare al caso mio. È una ricerca che sta in rete dal 2000, e non viene aggiornata, modificata o cancellata dal 2000. Cioè da 12 anni. Dodici
3)   Ieri la suddetta ricerca viene rimossa dal web
Ora, io non sono nato ieri: sono perfettamente a conoscenza del disegno cosmico che l’universo ha progettato per rompermi le palle. E mi dispiace per l’universo, che riconosco essere davvero fantasioso nel trovare ogni volta un nuovo modo per architettare disastri nella mia vita, ma in tutti questi anni io ho maturato una certa esperienza nel settore.
2 e ½)   Io avevo salvato la ricerca su un file del pc.
La sfiga è furba, ma io sono scaltro. 
Puppamela.

La Trilogia del Giallo – epilogo

“No, dai, Elisa, scattamene un’altra, in questa sembro cretino”
“Sai, Ale: sei giallo”
Mia sorella non ha tutti i torti. Sono effettivamente giallo. Sono sei i colori della bandiera rainbow, e sei siamo noi che abbiamo deciso di andare al Pride di Bologna vestiti ognuno di un colore diverso. E tra sei colori, cosa mi sono scelto io? Il giallo, appunto. 
Che non è solo il colore dell’ittero o dell’urina, tanto per dire le prime due cose che mi vengono in mente. No, perché è anche il colore di frutti innocenti come il limone, o la banana. C’è da impegnarsi un mucchio per trovare un doppiosenso, insomma. Il colore di Titti, di Spongebob. E di Pikachu, quel coglione. 
E poi sì, c’è tutta quella sequela di cose gialle e terribilmente romantico-pittoresche, tipo le stelle, e il sole, e i capelli di Marilyn, e i daffodils di William Wordsworth che non ho ancora capito che fiori sono in italiano, ma sempre gialli sono. 
Non so se mi sento molto giallo, in questo periodo. Però una cosa in cui ho sempre creduto è che all’inizio bisogna un po’ sforzarsi a vestire il colore che vorresti, prima che il tessuto aderisca completamente alla tua pelle e diventi tuo davvero. E chi lo sa che essere giallo fuori non sia un inizio per diventare giallo dentro
“Se domani piove, ci sarai tu ad illuminare tutti”
“Da come lo dici, non sembra tanto un complimento”
“Infatti. Sembri proprio scemo!”
E qualcosa, a giudicare dalla foto migliore che ha scattato, mi dice che mia sorella non ha tutti i torti:
( trovi qui il capitolo 1 della trilogia,
qui il capitolo 2,
e qui il capitolo 3. E questa era la FINE,
spero che siate stati bene )

La Trilogia del Giallo – capitolo 3

Tre Gialli a Homer Simpson che bere birra suole,
Sette a Will Smith che però è un Uomo in Nero,
Nove a Lady Gaga a cui vestirsi strana non duole,
Uno per Tredici, che sono io, per davvero!
Nella Terra di Bologna, perché il Pride lo vuole.
Un Giallo per domarli, un Giallo per trovarli,
Un Giallo per ghermirli e nel buio incatenarli.
Nella Terra di Bologna, perché il Pride li vuole.

( trovi qui il capitolo 1 della trilogia
e qui il capitolo 2
e qui il capitolo 2 e mezzo
e qui il capitolo 2 e qualcosa quasi 3 vi giuro )
Lo so che tutti lo stavate aspettando. Lo so che non riuscivate a lavorare, a studiare, forse neppure a mangiare o dormire, a causa dell’attesa per questo terzo capitolo finale. Lo so che rispondevate Giallo ad ogni domanda che vi veniva posta, un lapsus che Freud interpreterebbe come chiari sintomi di disturbi sessuali ma che io interpreto in un modo solo: volete sapere come va a finire.

Ebbene, i vostri punti interrogativi stanno per ottenere delle risposte. Non tutte, probabilmente, ma lo dico solo perché a me piacciono i finali aperti – tranne quello di Donnie Darko, che è totalmente incomprensibile ed è aperto solo perché l’autore non sapeva come farlo finire.

Comunque, vi ricordate? Il nostro eroe Tredici aveva conquistato i sacri pantaloncini gialli e la sacra maglietta gialla. Mancava solo un accessorio per completare la triade gialla: i calzari. La sfida più difficile, in realtà, e proprio per questo tutti volevano dare la loro opinione: parenti, amici, conoscenti, e anche persone mai viste prima. Ieri mi ha telefonato un tipo che con accento pugliese mi informa che al mercato di Barletta vendono delle Converse tarocche gialle a poco prezzo. Lunedì la cuoca della mensa mi chiede se voglio il formaggio sulla pasta e se porto il 39. “Perché mio nipote te le può prestare!”. Interviene anche la tizia in fila dietro di me, aggiungendo che se avessi voluto avrebbe volentieri spiumato il suo pappagallo Gigione per fornirmi il materiale per tessermi le scarpe da solo.

La mia idea era molto meno aggressiva: comprare delle scarpe bianche alla Stefan (5,80 euro, praticamente regalate) e usare la Coloreria Italiana. Ma mia madre si oppone, perché dice che la lavatrice non sarebbe stata più la stessa. Mamma, è una lavatrice, mica una deportata ebrea. Ma la cara donna non voleva sentire storie.

Stavo già rivalutando l’ipotesi Gigione, quando quel genio incompreso di mia sorella se ne esce con la parola “spray”. Ora dovrei fare una parentesi per enucleare tutti i pregi di mia sorella, ma penso che la salterò, sarebbe troppo breve e inutile e soprattutto non vedo l’ora di sentire mamma a cena brontolarmi che non devi offendere tua sorella sul blog che lo leggono tutti.

E così il nostro eroe si trova a possedere tutte e tre le reliquie gialle: i pantaloncini, la t shirt, le scarpe. Adesso non c’è più niente da fare: Tredici è pronto.

[ Fine ]


Seeeee, credici.

La Trilogia del Giallo – capitolo 2 e qualcosa quasi 3 vi giuro

On air: Scissor Sisters, Keep your shoes on

( trovi qui il capitolo 1
e qui il capitolo 2
e qui il capitolo 2 e mezzo )

Mi scuso per questa ulteriore parentesi. Lo so che state tutti fremendo per il capitolo finale della trilogia – e magari qualche cicala che mi legge sta anche frinendo, e qualche ladro sta frugando e non mi viene in mente nessun altro verbo che comincia per fr quindi mi fermo qua – insomma, lo so che volete il capitolo 3, ma ora vorrei dire due cose:
la prima è che fino ad un minuto fa avevo le mani gialle, e non perché ho contratto l’epatite, bensì perché ero intento ad ultimare una creazione che potrebbe proprio proprio riguardare il terzo capitolo della trilogia
la seconda è che oggi sono andato in biblioteca e ho realizzato che posseggo un oggetto indispensabile e giallissimo, che è…
…il termos!

Scusate, la cosa mi ha effettivamente emozionato tantissimo.

La Trilogia del Giallo – capitolo 2

Tre Gialli alla Ventura che il chirurgo ama,
Sette per Paris, cioè la figlia di quell’Hilton,
Nove ad Uma Thurman che la testa di Bill brama,
Uno per Tredici, lo studente un po’ sfigatoN
Nella Terra di Bologna, perché il Pride lo chiama.
Un Giallo per domarli, un Giallo per trovarli,
Un Giallo per ghermirli e nel buio incatenarli.
Nella Terra di Bologna, perché il Pride li chiama.

( trovi qui il capitolo 1 della trilogia )
Siamo rimasti al punto in cui il nostro eroe Tredici – che poi sarei io ma nei fantasy c’è sempre un narratore onnisciente che racconta dall’esterno quello che accade – ha trovato la prima delle tre reliquie gialle che gli servono per andare al Pride di Bologna del 9 Giugno.

Ma a questo punto del racconto è indispensabile fare un salto indietro nel tempo per capire meglio alcune cose. Okay, in realtà non è davvero indispensabile, anzi è oltremodo inutile, ma ho sempre desiderato usare i flashback!

I sei amici che hanno deciso di andare al Pride hanno pensato di vestirsi ognuno di un colore dell’arcobaleno. Mi fate capire il caspio di motivo per il quale mi è toccato il caspio di giallo che è un colore di cui nell’armadio non ho un caspio?! È andata più o meno così:

Ci – “Se non mi date il rosso non vengo”
U – “Io ho solo vestiti blu”
L – “Verde verde verde verde verde verde verde verde verde”

Ora, capirete che se il rosso, il blu e il verde sono presi, rimangono solo l’arancione, il viola e il giallo. Uno valeva l’altro, per me. E anche per voi, perché non vi preoccupate che avrei potuto farvi benissimo anche la Trilogia del Viola o la Trilogia dell’Arancione, anche se col Giallo viene meglio. Perché, insomma, uno dei princìpi cardine della mia filosofia è che se vuoi fare schifo, devi fare schifo nel peggiore dei modi possibile. Quindi sì, lo ammetto una volta per tutte: io ho scelto il giallo.

Adesso possiamo tornare alla nostra storia. Tredici ha i pantaloncini corti gialli. Ha bisogno di una maglietta. E qual è il posto migliore dove poter trovare una maglietta gialla monocromatica a poco prezzo, oltre al cassonetto della Caritas? La risposta è semplice: asos.com.

Pochi clic, pochi euro, ed anche la seconda reliquia è stata conquistata. Ma manca la più difficile da raggiungere: il paio di scarpe gialle…

[ to be continued ]

La Trilogia del Giallo – capitolo 1

Tre Gialli alla Regina che di canarino splende,
Sette per la tizia che i Rocher ha pubblicizzato,
Nove ad Angelina che con Brad non si arrende,
Uno per Tredici, lo studente squattrinato
Nella Terra di Bologna, perché il Pride lo attende.
Un Giallo per domarli, un Giallo per trovarli,
Un Giallo per ghermirli e nel buio incatenarli.
Nella Terra di Bologna, perché il Pride li attende.
Succede che il 9 Giugno a Bologna c’è il Pride. Succede che ad andarci siamo in sei amici. Succede che toh! sei è il numero dei colori sulla bandiera arcobaleno. Ne consegue che mi viene la brillante (leggasi: malsana) idea (leggasi: stronzata) di andare al Pride vestiti ognuno di un colore diverso della bandiera. Senza esagerare, ché sennò poi la gente dice che è la solita carnevalata e noi non vogliamo fornire alla gente scuse per boicottare o criticare una manifestazione assolutamente pacifica.
Ora, io e i miei amici ci siamo divisi i colori. Forse un giorno vi spiegherò come mai a me è toccato il giallo – se mai lo capirò – fatto sta che a qualcuno il giallo doveva pur toccare. Apro l’armadio sfoggiando un’impassibilità che mi fa onore nel constatare che di giallo non ho niente. Neanche un braccialetto. O una maglietta verde scolorita. O un paio di mutande usate. 
Dio, che schifo, meno male.
Se fossi Aragorn sarei già montato sul mio cavallo e con la spada sguainata mi sarei già diretto verso il Regno di Gondor o qualche altro Regno il cui nome sembra una medicina per il mal di pancia. Tuttavia non sono Aragorn, mio malgrado: sono Tredici. E Tredici non ha cavalli, non ha spade da sguainare e soprattutto non va a Gondor: Tredici va a Zara, che tutto sommato è un regno che apprezzo di più.
Mi accoglie una commessa che viene direttamente dal Regno di Napoli e che deve imparare la cosa più importante dell’essere commessa: dire al cliente quello che il cliente vuole sentirsi dire. Invece questa mi diceva la verità, che è la cosa più sbagliata da fare.
“Ma non è che mi stanno larghi? Di solito prendo una taglia in più…”
“Eh, forse un pochetto in vita, aah, ma con una cintura accosì già stringe, aah, e poi se ci tieni sopra ‘a maglietta mica si vede, aah”
Non capisci ‘na minchia, cretina. Fortuna che c’è Fede, che mi manda un sms che risolve tutto:
Ascolta Ale, ti servono comunque un paio di pantaloni corti, questi oltretutto costano pochissimo e ti stanno da Dio, non è vero che sono larghi, assolutamente. E stamani hai preso 30, te li meriti.

E così l’acquisto si conclude. Il nostro eroe Tredici ora possiede i pantaloncini corti gialli di cui ha bisogno che ha trovato superando sfide impossibili. Ma restano da trovare la maglietta e le scarpe…

[ to be continued ]

Fiocco di Neve esiste e la amo

On air: Finley, Dollars & Cars

Stai cercando di smaltire la poltiglia che ti hanno rifilato a mensa. E stai cercando di smaltirla passeggiando per Corso Italia con il tuo amico U.

Ora, caso vuole che nemmeno il tuo amico U. sia totalmente allegro e spensierato, per cui la conversazione che ne esce è una cosa pressoché terribile che suona tipo così:

“Sto male buaaaahhh

“Anch’io buaaaahhh

“Mi sembra di stare più male a me però buaaaaahh

“No ma io di più buaaaahh

“Sempre uno più di te buaaaaahhh

Bene. Siamo quasi sul punto di litigare quando U. si arresta. Porta la mano ai suoi occhiali da sole e li solleva con lenta fermezza. Il suo sguardo rivela trepidazione, quella trepidazione che si ha solo in pochi casi. Quando stai per scartare un regalo e speri che dentro la scatola ci sia un modellino snodabile di Sabrina Salerno, per dire.

“Ale, ma lei è…?”

Mi indica un punto ormai alle nostre spalle. C’è una ragazza coi capelli biondo platino. Un giubbetto che le fa assumere una forma sferica da cui partono due gambine “sottili sottili”. Alle spalle uno zaino che sembra un enorme fiocco bianco.

“Ehm. Chi è?”

“…Fiocco di Neve!”

( ***dlin dlon***
Se non sai chi è Fiocco di Neve,
innanzitutto vergognati,
e poi se ti interessa clicca QUI QUI )

Sto quasi per urlare. Il gridolino da tredicenne mi si rompe in gola. Negli occhi avevo le stesse lacrime che hanno quelle adorabili ragazzine cretine quando Marco Carta vince Amici. Era lei, era davvero lei, il mio mito dell’inverno era lì, che respirava la stessa aria che respiravo io.

Questo per dire che ci sono delle giornate in cui vedere tutto nero è normale. Quasi obbligatorio, a volte. Però poi ecco che succedono queste cose. Stronzatine, sicuramente. Però, se oggi è Fiocco di Neve, chi mi dice che domani, o tra una settimana, o tra un mese, non sarà Lindsay Lohan?

( va bene, va bene,
la moralina finale è troppo trash. 
È per parlare terra terra… )

Friday Night Fever

– Thank God It’s Friday –
On air: The Cure, Friday I’m in love
Buonasera. Vi informo che sta per iniziare il primo weekend di sole, che io ho la febbre e che non la sto prendendo con filosofia. O meglio, se c’è una filosofia che esprime il mio modo di prendere la febbre potrebbe essere quella degli Angry Young Men che lo so che non erano filosofi ma è per dire dio santissimo che mi fate incazzare pure voi?!
Il fatto è che non sono abituato a stare con le mani in mano. O meglio, magari posso passare le giornate a gingillarmi (significa cazzeggiare), ma devo aver programmato di farlo, e in che modo. Pertanto, dopo aver visto il valore segnato dal mio termometro ho visto bene di esprimere il mio disappunto al mondo (significa smoccolare).

Okay, il fatto che abbia fotografato il termometro con
Instagram è indice che la malattia ha colpito pure il cervello

E poi mi è venuta un’idea. La febbre, soprattutto se autentica, può essere un ottimo modo per essere franco. No, non Franco. Franco, con la minuscola (sì, ora è maiuscolo perché viene dopo il punto). Franco, aggettivo. Nel senso di schietto. Che poi io sono abbastanza sincero anche normalmente, ma ci sono cose che anche la persona più schietta evita di dire. E la malattia è un’ottima giustificazione per le cose sincere che di solito si evitano di dire.

Ciao amica mia! Ma tu hai mai pensato a Tizio? Beh sai, io ti ci vedrei bene insieme, sareste proprio una bella coppia, secondo me lui ti vorrebbe molto bene e mi è giunta voce che… Come? Sì, devo essere impazzito. Ma sai, è la febbre. Beh, pensaci lo stesso!
Ehilà mamma! Come come? Ah, dici che mangiare tutto il barattolo di Nutella in un colpo solo non fa benino eh? Nemmeno se dopo ci bevo su un Negroni? Ah. Sto delirando, sì.
Tu, puzzi. Ahahahah che burlona quest’influenza eh?

Mi manchi. Ops, scusa. È la febbre.

Cose da non fare

– per una vita più semplice –
On air: Subsonica, Tutti i miei sbagli

1. In aula pc, estrarre dallo zaino la banana che ti sei portato per merenda. Le facce sconvolte dei tuoi colleghi ti faranno capire che vivi in una società che non è ancora pronta per le banane.

2. Indossare una maglia pesante in un vero giorno di Primavera. Perché dopo hai caldo. Anche se nelle ultime due settimane ti sembrava di essere a Dicembre. E la tua suoneria del cellulare è stata Jingle Bells.
3. Dare il tuo numero alla tizia dell’erboristeria che ti vuole fare la tessera sconti. A meno che tu non voglia ricevere ogni Giovedì una pubblicità dell’acqua di more e un invito a “passeggiare con noi tra aromi muschiati e freschi boschi d’estate”.

L’emicrania domenicale

On air: Kelly Clarkson, What doesn’t kill you 
Buongiorno a tutti. Sappiate che ho il mal di testa, e pertanto non mi curerò molto della punteggiatura di questo post. Sì, perché questo mal di testa mi colpisce proprio nella zona del cervello dedicata ai segni di interpunzione. E vi garantisco che è quella dei segni di interpunzione è una zona molto grande del mio cervello. Credo che tolga spazio a funzioni motorie. Il che spiegherebbe come mai sono bravo con le virgole ma non so toccarmi la punta del naso con la lingua.
Quant’è odioso il mal di testa? 
( oh, guardate, il punto interrogativo sono riuscito a metterlo! 
Uh, anche quello esclamativo! 
Uh, un’altra volta. Dio, sono un mostro ) 
Ma non parlo di un mal di testa in generale. Parlo di quello della domenica. L’emicrania domenicale. All’inizio pensavo che fosse una cosa dovuta al fatto che il sabato sera sono solito bere un goccetto (termine tattico per non far preoccupare papà, nel caso dovesse leggere il blog). Poi però ho notato che mi sente la testa anche dopo una sera in cui non tocco alcool  – perché sì, è capitato, giuro. Quindi forse è il mio corpo che capisce che è arrivata la domenica e mi fa stare male automaticamente. La domenica c’ho l’emicrania impostata a valore di default.
Eppure stamani è diverso. Mi sono svegliato col cervello che pulsava, e la più minima presenza luminosa mi faceva soffrire (la mattina la luce mi fa star male. Sono un po’ come un vampiro, ma senza tutto quel noiosissimo marketing). Guardandomi allo specchio mi sono visto squisiti foruncoli totalmente nuovi, e un volto inquietante che è la rappresentazione della morte.
Però c’era anche un’altra sensazione. Quella della nera del ghetto che schiocca le dita, per intenderci, o della Aguilera che canta Fighter. Quella di chi si sente di avere le contropalle, quella di chi si è preso le sue rivincite, quella di chi si sente di essere cresciuto, almeno un pochino. 
Sono ROCK, e volevo dichiararlo al mondo scrivendolo sul blog. Prima però ho affondato i denti in un muffin e ho bevuto il caffè. Per farmi passare il mal di testa, sapete. È passato.