Problemi esistenziali 2.0

On air: Immanuel Casto, Crash

“Non capisco come mai mi diminuisce il numero degli amici di facebook.

A volte scende, a volte sale… Boh, vado fuori di testa”

[ cit. mora al pc dietro di me,
aula H del Polo Fibonacci,
cinque minuti fa ]

Have a nice London!

On air: Planet Funk, Who said

“Fai ammodo”
[ mio papà ]

“Divertiti”
[ mia sorella ]

“Portami la regina. Anzi no, Pippa Middleton”
[ Lore ]

“Fate ammodo eh”
[ mio papà ]

“Non ho trovato i copriwater!!!”
[ Martina ]

“Mi raccomando fate ammodo”
[ mio papà ]

“Mi sta venendo un po’ di ansietta”
[ Ciuffo ]

“Buona Londra!”
[ Fede ]

23

Lelaina Pierce:     I was really going to be somebody by the time I was 23.

Troy Dyer:     Honey, all you have to be by the time you’re 23 is yourself.

Lelaina Pierce:     I don’t know who that is anymore.

Troy Dyer:     I do. And we all love her. I love her. She breaks my heart again and again, but I love her.

Tanti auguri a me,
tanti auguri a me ♪

Le frasi della giornata #2

On air: Romina Falconi, Un attimo

(1)
Vorrei ricordare lo stato d’animo con il quale 
gli italiani hanno dato larga adesione 
alle misure anche molto dure che il governo ha dovuto adottare
[ Mario Monti, evidentemente bisognoso di un ripasso
sul significato di dare larga adesione ]
(2)
Uhhh, senti come sarebbe bellino CLOACA per il nome di una bevuta!
Cloaca: un cocktail di merda!
[ Ciuffo, forse esaurito dallo studio ]
(3)
Certamente che abbiamo degli slogan:
– se stanno bene i giovani, staranno bene anche i vecchi
– tutti i giorni sarà una festa
– Lucca capitale mondiale della Toscana
[ Andrea Colombini, candidato sindaco per la città di Lucca. 
Avendo un cervello così non poteva che darsi alla politica ]
(4)
Non è da tutti quello che ho
se non mi preghi non te la do
[ Romina Falconi, Un attimo
Così giovane, già un mito ]
(5)
Che scioperino pure. Tanto io il taxi non lo prendo
[ mia sorella, a cena.
Così giovane, già un mito ]

Le frasi della giornata

On air: Gogol Bordello, My companjera
(1) 
Ogni cosa bella ha una fine, e questo è vero anche per le connessioni TCP

[ Kurose & Ross, Reti di Calcolatori e Internet – un approccio top-down ]

(2)

Più vuoi e meno avrai, più dai e meno prendi, prima lo si impara poi pappapparaparapappappara
Più sogni e meno fai, più fai e meno sogni, prima lo si impara poi pappapparaparapappappara

[ Fabri Fibra, Vip in trip ]
(3)
C’è una linea sottile, e dopo di quella… la perdizione!

[ una madre alla figlia ]
(4)
Mi dispiace dissentire, per me il caso è elementare: 
il ragazzo è un immaturo, non ha fatto il militare

[ Edoardo Bennato, Dotti, medici e sapienti ]
(5)
È la fine dell’Europa

[ mia madre in vena di catasfrofismo ]

(6)
Ti manca il potassio, Ale. C’è nelle banane

[ mia nonna ]

Come va?

E mi chiede, come va? […] Potrei dire: adesso che ti vedo capisco quanto mi sei mancata, e la sola idea che tu sparisca di nuovo mi fa morire, ti amo, ti amo, ti amo e se mi rispondi “sarai mica scemo”, giuro che mangio tutti questi pesci crudi e due chili di pane con la mollica poi mi butto nella pozza gelida, mi verrà una congestione, annegherò e avrai rimorso tutta la vita. 
Alla fine dico soltanto: va bene, insomma, e tu?
[ cit. Stefano Benni – Saltatempo ]

.

“Ho mentito. Non sono… fuori dal nostro rapporto, ci sono dentro talmente tanto che sono umiliata perché sono qui a supplicarti.”
“Meredith…”
“Sta’ zitto! Tu dici Meredith e io urlo, l’hai dimenticato? Ok, ecco qui. La tua scelta è semplice, lei o me. Io sono sicura che lei è una gran donna, ma vedi io ti amo, in un modo veramente incredibile, cerco di amare i tuoi gusti musicali, ti lascio l’ultimo pezzo di torta, potrei saltare dalla montagna più alta se me lo chiedessi e ciò che mi porta ad odiarti mi spinge ad amarti per cui prendi me, scegli me, ama me.”
Il dolore ti colpisce in tutte le sue forme: una fitta leggera, un pò di amarezza, un dolore che va e viene, la normale sofferenza con cui conviviamo tutti i giorni. Poi c’è un tipo di sofferenza che non riesci ad ignorare. Una sofferenza così grande che cancella tutti gli altri pensieri, che fa scomparire il resto del mondo. E a un certo punto non riusciamo a pensare ad altro che alla nostra grande sofferenza. Come affrontiamo il dolore dipende da noi. Il dolore: ci anestetizziamo, lo accettiamo, lo elaboriamo, lo ignoriamo. E per alcuni di noi il miglior modo per affrontarlo è conviverci. […] Il dolore… devi aspettare che se ne vada, sperare che scompaia da solo, sperare che la ferita che l’ha causato guarisca. Non ci sono soluzioni né risposte facili. Bisogna fare un respiro profondo e aspettare che il dolore si nasconda da qualche parte. La maggior parte delle volte il dolore può essere sopportato, ma a volte il dolore ti afferra: quando meno te lo aspetti ti colpisce sotto la cintura e non ti lascia in pace. Il dolore… devi solo conviverci, perché la verità è che non puoi evitarlo e la vita te ne porta sempre dell’altro. 

E i quadrifogli sono sempre nel mio portafogli,

e stanno morendo, proprio come me.


La Regina Zabo

Ci siamo, ho capito cosa non quadra in lei. Era una creatura sensibile un tempo, la Regina Zabo, una ragazzina che soffriva dei mali dell’intera umanità. Un’adolescente tormentata o qualcosa del genere. Enigmatica portatrice del dolore di esistere. Quando il tormento è diventato un calvario, e dopo innumerevoli esitazioni, è andata a bussare alla porta dello strizzacervelli alla moda. Quello, l’Ascoltatore, ha subito capito che era la troppa umanità a disturbare quella bambina vispa, e pazientemente, lettino dopo lettino, gliel’ha estirpata fino all’ultima radice, e al suo posto ha impiantato il sociale. Ecco cos’è, la Regina Zabo. Un’analisi riuscita: quando mangia, solo la testa ne trae profitto. Il resto non segue. Ne ho incontrati altri, si somigliano tutti.



Stasera ho finito di leggere Il paradiso degli orchi, di Daniel Pennac. Un capolavoro di ironia e originalità che consiglio veramente a chiunque voglia passare delle ore in compagnia di pagine leggere ma di qualità. 
Ho riportato la descrizione della Regina Zabo (che in realtà è solo il nomignolo che il protagonista affibbia alla spietata direttrice di una casa editrice) non perché fosse particolarmente importante; semmai perché ho avuto modo, proprio in questi giorni, di notare anch’io come chi ha la colpa di possedere troppa umanità, poi a poco a poco riesca a trasformarla in freddo raziocinio. E mi sono chiesto: è davvero l’unico modo per sopravvivere? In un mondo dove homo homini lupus sembra essere la regola più importante, l’unico modo di andare avanti per le persone che per loro natura non sarebbero sottomesse a tale massima è proprio adattarsi alla massima stessa.

Anch’io mi colloco tra coloro a cui non piace questo desiderio barra bisogno di sopraffazione. Non è presunzione. Ora come ora, la definirei più “sfortuna”. Ad ogni modo, se si può scegliere devo farlo adesso. Mi piegherò alla legge secondo cui vince più forte, o lotterò per trovare alternative più congeniali alla mia natura da ingenuo pacioccone? 

(questa cosa dell’ingenuo pacioccone dovrò poi ricordarmela prima di sfarmi di Long Island, però. Non sono molto credibile, con l’occhio penzolone. L’alcool mina alla mia reputazione!)

Sono una potenziale Regina Zabo. E la cosa mi terrorizza.

La finestra di fronte

Mio caro Simone, dopo di te, il rosso non è più rosso. L’azzurro del cielo non è più azzurro. Gli alberi non sono più verdi. Dopo di te, devo cercare i colori, dentro la nostalgia che ho di noi. Dopo di te, rimpiango persino il dolore che ci faceva timidi e clandestini. Rimpiango le attese, le rinunce, i messaggi cifrati, i nostri sguardi rubati in mezzo a un mondo di ciechi, che non volevano vedere, perché se avessero visto saremmo stati la loro vergogna, il loro odio, la loro crudeltà. Rimpiango di non avere avuto ancora il coraggio di chiederti perdono. Per questo, non posso più nemmeno guardare dentro la tua finestra. Era lì che ti vedevo sempre, quando ancora non sapevo il tuo nome. E tu sognavi un mondo migliore, in cui non si può proibire ad un albero di essere albero, e all’azzurro di diventare cielo. Non so se questo è un mondo migliore. Ora che nessuno mi chiama più Davide, ora che mi sento chiamare soltanto signor Veroli, come posso dire che questo è un mondo migliore? Come posso dirlo senza di te?

La risposta è il colore del grano

Stasera ho pianto. Mi vergogno un po’ a scriverlo, ma contemporaneamente mi sento meglio. Dirlo è come prendere una boccata d’aria fresca. E ho pianto per un libro. Era tanto tempo che volevo leggere Il piccolo principe, e finalmente l’ho fatto. Leggerlo da bambini non è come leggerlo a ventun anni. Ci sono tanti sottotesti che non puoi cogliere, da bambino. E’ un libro che contiene delle parole impossibili da ricollegare all’esperienza, per un bambino.
In effetti, Il piccolo principe non è un libro per bambini. Perché sarebbe assurdo, stupido ed umiliante aver passato ore, settimane, mesi a chiedersi che cos’è l’amore, se esiste l’amore, perché si ama, se poi la risposta – quella più semplice e che chiaramente è quella giusta – la trovi in un libro per bambini. Non in un saggio sociologico, né in un trattato psicologico, o in un tomo scientifico. Un libro per bambini. Ripensandoci, non è poi così assurdo. Né stupido. Né umiliante.


In quel momento apparve la volpe.
<< Buon giorno >>, disse la volpe.
<< Buon giorno >>, rispose gentilmente il piccolo principe, voltandosi: ma non vide nessuno.
<< Sono qui >>, disse la voce, << sotto al melo…>>
<< Chi sei? >> domandò il piccolo principe, << sei molto carino…>>
<< Sono una volpe >>, disse la volpe.
<< Vieni a giocare con me >>, le propose il piccolo principe, << sono così triste…>>
<< Non posso giocare con te >> disse la volpe, << non sono addomesticata >>.
<< Ah! scusa >>, fece il piccolo principe.
Ma dopo un momento di riflessione soggiunse:
<< che cosa vuol dire “addomesticare”? >>
<< Non sei di queste parti tu >>, disse la volpe, << che cosa cerchi ? >>
<< Cerco gli uomini >>, disse il piccolo principe. << Che cosa vuol dire “addomesticare”? >>
<< Gli uomini >>, disse la volpe, << hanno dei fucili e cacciano. è molto noioso! Allevano anche delle galline. è il loro solo interesse.Tu cerchi delle galline? >>
<< No >>, disse il piccolo principe. << Cerco degli amici. Che cosa vuol dire “addomesticare” ? >>
<< è una cosa da molto dimenticata. vuol dire “creare dei legami”…>>
<< Creare dei legami? >>
<< Certo >>, disse la volpe. << Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo >>.
<< Comincio a capire >>, disse il piccolo principe. << C’è un fiore… credo che mi abbia addomesticato…>>
<< È possibile >>, disse la volpe. << Capita di tutto sulla Terra… >>
<< Oh! non è sulla Terra >>, disse il piccolo principe.
La volpe sembrò perplessa:
<< Su un altro pianeta ? >>
<< Si >>.
<< Ci sono dei cacciatori su questo pianeta ? >>
<< No >>.
<< Questo mi interessa! E delle galline ? >>
<< No >>.
<< Non c’è niente di perfetto >>, sospirò la volpe.
Ma la volpe ritornò alla sua idea:
<< La mia vita è monotona. Io dò la caccia alle galline e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. Ed io mi annoio perciò. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi laggiù in fondo, i campi di grano ? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano….>>
La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe:
<< Per favore… addomesticami >>, disse.
<< Volentieri >>, rispose il piccolo principe, << ma non ho molto tempo, però. Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose >>.
<< Non si conoscono che le cose che si addomesticano >>, disse la volpe. << Gli uomini non hanno più il tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami! >>
<< Che cosa bisogna fare? >> domandò il piccolo principe.
<< Bisogna essere molto pazienti >>, rispose la volpe. << In principio tu ti siederai un pò lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un pò più vicino… >>
Il piccolo principe ritornò l’indomani.
<< Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora >>, disse la volpe. << Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sà quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore… Ci vogliono i riti >>.
<< Che cos’è un rito ? >> disse il piccolo principe.
< < Anche questa è una cosa da tempo dimenticata >>, disse la volpe. << è quello che fà un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora diversa dalle altre ore. C’è un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il giovedì ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedì è un giorno meraviglioso! Io mi spingo sino alla vigna. Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza >>.
Così il piccolo principe addomesticò la volpe.
E quando l’ora della partenza fu vicina:
<< Ah! >> disse la volpe, << … piangerò >>.
<< La colpa è tua >>, disse il piccolo principe, << io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi… >>
<< È vero >>, disse la volpe.
<< Ma piangerai! >> disse il piccolo principe.
<< è certo >> disse la volpe.
<< ma allora che ci guadagni? >>

<< Ci guadagno >>, disse la volpe, << il colore del grano >>.
Poi soggiunse:
<< Và a rivedere le rose. Capirai che la tua è unica al mondo.
<< Quando ritornerai a dirmi addio, ti regalerò un segreto >>.
Il piccolo principe se ne andò a rivedere le rose.
<< Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente >>, disse. << Nessuno vi ha addomesticato, e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre. ma ne ho fatto il mio amico ed ora è per me unica al mondo >>.
E le rose erano a disagio.
<< Voi siete belle, ma siete vuote >>, disse ancora. << Non si può morire per voi. certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi, Perché è lei che ho innaffiata. Perché è lei che ho messa sotto la campana di vetro. Perché è lei che ho riparata col paravento. Perché su di lei ho uccisi i bruchi (salvo i due o tre per le farfalle).
Perché è lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere.
Perché è la mia rosa >>.
E ritornò dalla volpe.
<< Addio >>, disse.
<< Addio >>, disse la volpe. <non si vede bene che col cuore.
L’essenziale è invisibile agli occhi >>.
<< L’essenziale è invisibile agli occhi >>, ripeté il piccolo principe, per ricordarselo.
<< È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante >>.
<< È il tempo che ho perduto pe rla mia rosa.. >> sussurrò il piccolo principe per ricordarselo.
<< Gli uomini hanno dimenticato questa verità.
Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato.
Tu sei responsabile della tua rosa… >>
<< Io sono responsabile della mia rosa..>> ripetè il piccolo principe per ricordarselo.”