#1 · La cannuccia
«Me l’ha insegnato una tipa al bar, che non è più tempo per le cannucce di plastica. Sì, lo so, in questa foto posso sembrare uno che di mestiere fa il modello, ma in realtà lavoro da Gino, qua all’angolo. Preparo principalmente cappuccini, ma ogni tanto qualcuno mi chiede anche da bere. Questa tipa arriva, poggia le tette sul bancone, e mi chiede un Cuba Libre. “Molto Cuba, poco Libre” mi dice strizzando l’occhio. Le osservo la scollatura con disgusto e rispondo Bel ciondolo, è di Pandora? La prima cosa da fare quando arrivano le eterosessuali è far capire i tuoi gusti. Non ho niente contro gli etero, anzi ho molti amici etero, che preferirei tuttavia non si prendessero troppe confidenze con me, non so se mi spiego. Ognuno nel suo letto, ecco. Insomma, lei capisce l’antifona, perché si rabbuia un po’. Doveva essere una tipa piuttosto permalosa, perché dopo averle passato il drink lo squadra per bene e ci toglie la cannuccia. Me la restituisce e dice “Credi che abbia dodici anni? A cosa mi serve la cannuccia?” Beh, per bere? Ipotizzo io, facendo quello sarcastico. Lei replica a tono: “Bevo dal bicchiere, magari? La cannuccia non serve a niente, e in più inquina, non vedi che è di plastica?” Ci sono rimasto secco, devo dire. Le donne di nuova generazione ne sanno una più del diavolo, ma non ci posso fare niente se mi piace il… Beh, comunque, è per questo che adesso non servo più i cocktail con la cannuccia. E anche quando sono io il cliente, pure se sto ubriaco fradicio, chiedo sempre di non metterla. Dai. Non ho mica dodici anni.»
#2 · I cotton fioc
«Ognuno ha i suoi problemi, e il mio era non riuscire a togliere il cerume dalle orecchie. Devo ammazzarmi per questo? Ho delle richieste semplici. Vedo la felicità nelle piccole cose. I have a dream: sentire. Mi bastava, davvero, tornare a poter sentire. Invece era tutto ovattato: sembrava di essere nell’anticamera del paradiso, ma senza nuvolette ovunque o santi che parlano di caffè. Non sentivo più niente, l’altro giorno una cliente mi ha chiesto di farle un taglio alla Loretta Goggi e io ho capito Luciano Moggi. Mi era parsa una richiesta un po’ strana, ma arrivano spesso clienti originali, sapete. Che poi comunque non stava così male, quasi pelata. Dicevo, questa cosa del cerume mi dava ai nervi. Non li voglio usare i cotton fioc, sono fatti di plastica, quella non si smaltisce più, come le extension di Ariana Grande, ha fatto più danni ambientali lei che tutte le discariche della Lombardia. Adesso non li vendono neppure più, i cotton fioc, proprio per una questione ecologica. E poi ho letto da qualche parte che comunque non bisognerebbe usarli, perché spingono tutto il cerume all’interno e creano un tappo di schifo che dopo per toglierlo devi farti esorcizzare da un otorino. Ho provato anche il cono da infilare nell’orecchio, quello che poi devi bruciare, stando piegato per mezz’ora mentre hai una torcia gigante conficcata nel padiglione auricolare che intanto ti va a fuoco. Non molto comodo, senza contare il rischio incendio per il condominio. Sapete cosa ho fatto, allora? Mi sono servito dell’arma primordiale. La soluzione finale. Il passepartout uditivo. C’ho infilato dentro il mignolo, insomma. Ahhh, che liberazione! Sì signore, arrivo subito e facciamo una bella acconciatura come Fiorello. Che? Panariello? Ahh, Vianello! Vabbè, magari me lo scrive eh»
#3 · La borsa di stoffa
«Voi sottovalutate Greta. Lei è ovunque, lei ti vede. Greta si annida nella cassiera della Lidl che mi chiede, accennando un sorriso, magari, con la cortesia riservata ai clienti che fanno la spesa di mattina: “Vuole un sacchetto, signore?” Ecco, Greta è lì, che aspetta il tuo errore. Il diavolo veste un impermeabilino giallo. Mai accettare le offerte del demonio: “No, grazie, ho portato la borsa di stoffa.” Non cederò, Greta. Lo so che mi osservi, lo so che questa donna, vestita da commessa, è una delle tue spie. Le hai anche fatto mettere l’ombretto azzurro e masticare una gomma alla fragola, così si mimetizza meglio nella fauna delle cassiere milanesi. Ma a me non la si fa, ormai ho imparato a essere un bravo ecologista. Non mi avrai, anche se la tua informatrice continua a bluffare, assottiglia gli occhi, come se non capisse. Ma ho studiato: “Sa, bisognerebbe evitare le buste di plastica. Ha presente Greta Thunberg?” Lo sgomento negli occhi del nemico: “Ma chi? La ragazzina che non va a scuola per il clima?” È un altro tranello, vuole farmi parlar male di lei. Per incastrarmi. Ma io l’ho capito. Per questo porto sempre borse di stoffa con me. Per non inquinare. Perché Greta mi vede. Greta ci vede tutti. E in ognuno di noi c’è una piccola Greta»
#4 · La borraccia
«La mia tecnica per ubriacarmi sul posto di lavoro era effettivamente perfettibile: andavo al distributore automatico, compravo una bottiglietta d’acqua, ne bevevo circa metà e la rabboccavo con la vodka. Nessuno si accorge se una bottiglietta d’acqua è in realtà un vodka tonic, o un gin tonic, o un Martini senza quelle inutili olive: hanno inventato così tante sostanze alcoliche trasparenti che avrei potuto organizzare un open bar in ufficio e nessuno se ne sarebbe accorto. Per non parlare dei bei Cuba Libre che vengono con la coca cola delle macchinette. E se alle cinque gli inglesi hanno l’ora del tè, non vedo perché io non debba celebrare l’ora del Long Island Iced Tea! Sono un uomo semplice: non sopporto nessuno, quindi mi alcolizzo. Recentemente però ho riflettuto su una cosa: consumando una bottiglietta al giorno, in fondo al mese produco una quantità di plastica inimmaginabile. Sì, la mia vita è orrenda, ma non voglio che questo faccia diventare orrendo anche il mondo. Perciò ho rispolverato la borraccia di mio nonno: è in alluminio, mantiene la temperatura, entra nello zaino ed è riutilizzabile ogni volta, tenendo al fresco ogni tipo di cocktail. Ed essendo scura non è possibile vedere cosa contiene! La mia tecnica per ubriacarmi in ogni momento della giornata è finalmente perfetta. Oggi per esempio ho un Mimosa, ideale per una colazione da campioni. Se la vita ti dà limoni, facci una limonata, diceva la nonna di Beyoncé. O un vodka lemon, dico io. Alla salute!»
#5 · Riparare
«Buongiorno, le ho detto, dove la porto? Mi ha dato l’indirizzo e siamo partiti. Era molto carina, almeno stando a quanto riuscivo a vedere dallo specchietto retrovisore. Ma ho una regola, mai provarci con i clienti. Il fatto è che chi sale su un taxi vuole arrivare a destinazione il prima possibile, non c’è molto tempo per approfondire. Che faccio, mi imbosco col cliente mentre il tassametro continua a correre? Non sono mica un escort, con tutto il rispetto. Però magari due paroline le faccio: come si chiama, signorina? Firenze, mi dice. Ma Firenze è una città, le dico io. Risponde: oh, sì, i miei si sono conosciuti lì. Meno male che non si sono conosciuti a Treviso, faccio. Si zittisce, deduco che non l’abbia trovata un’uscita simpatica. È andata così. D’altronde, sui taxi non possono nascere storie d’amore. Devi essere bravo a coltivare tutte le altre. E se qualcosa va male, provare a rimediare. Un po’ come quando ti si rompe una scarpa, o un elettrodomestico, o una ruota: tendi a buttare via tutto, dicono che facciamo prima a comprare una cosa piuttosto che aggiustarla, ma non è vero. Riparare è un gesto che abbiamo dimenticato. È naturale, è affettuoso, e peraltro non crea rifiuti inutili. Certo, acquistare un oggetto nuovo è più facile, ma aggiustarlo è più giusto. E ti permette di conoscere il calzolaio, o la gommista, che se ti va bene è pure single. Firenze è arrivata, paga, scende, saluta. E mi sorride: forse l’ha capita ora. Al diavolo le mie regole, magari la prossima volta le offro da bere.»
#6 · Lo spazzolino da denti
«In prima media ero un caso disperato. Durante la ricreazione, mentre i miei compagni uscivano in cortile, chiacchieravano tra loro, parlavano male di quella di Storia, si davano appuntamento per limonare nei bagni, e ponevano le basi per quegli aneddoti di scarsissima importanza che si sarebbero rivelati utili giusto nelle cene di classe degli anni a venire, io me ne stavo alla finestra ad osservare le interazioni tra gli abitanti della scuola. Avrei voluto esserci anch’io, là fuori, o nei bagni a limonare, e invece sgranocchiavo una merendina in attesa della campanella. Un giorno ho notato che sul davanzale della finestra era inciso un indovinello: “qual è quella cosa lunga che si mette in bocca e fa schiuma?” Da una parte ho constatato con piacere che il misterioso enigmista non aveva messo l’apostrofo a “qual è”, dall’altra mi interrogavo sulla soluzione. Davvero non ero al corrente di qualcosa di lungo che in bocca facesse schiuma, mi stavo arrovellando il cervello. In quel momento è passato di lì Anthony. Era di terza, e anche lui era spesso solo, come me; ci eravamo sempre affacciati da due finestre differenti. “Dai, ti do un aiutino”, mi ha detto, “io ce l’ho di bambù”. Forse mi ha persino strizzato l’occhio. Non ci arrivavo, ve l’ho già detto che alle medie ero un caso disperato? Così Anthony mi ha preso per mano e mi ha portato in bagno a farmi vedere il suo spazzolino di bambù. Non dimenticherò mai quel giorno, perché da allora ho evitato gli spazzolini di plastica, che ci mettono secoli per essere smaltiti, e soprattutto perché da quel giorno le mie ricreazioni non sono state più solitarie.»
#7 · Le bustine del tè
«Non hai idea di quali magie possa fare un po’ di fard nei punti giusti. Si chiama trucco mica per niente, tesoro! Non che basti quello, è ovvio che senza una personalità glitterosa come la mia non vai da nessuna parte. L’unica cosa glitterosa che uso ancora, tra l’altro: quegli sbrilluccicocci saranno pure belli da vedere, ma sai quante microplastiche contengono! Una buona parrucca, unghie lunghe venti centimetri e il make up giusto sono imprescindibili. È così che tutti i weekend divento Lady Firenze. Come sarebbe che non hai mai sentito parlare di me?! Mi chiamo così perché conosco tutti i posti di battuage della Toscana, ma lì ci vado vestito… in borghese, diciamo. Come drag queen sono irriconoscibile, quasi mi confondi con una donna vera, o al massimo con Enzo Paolo Turchi. Persino un tassista, due settimane fa, c’è cascato in pieno. Mi stava portando al locale dove dovevo esibirmi, e credo che si fosse invaghito di me. O almeno lo speravo, è tanto che non faccio un po’ di sano… frichi frichi, diciamo. Ma, dato che siamo qui a spettegolare, vuoi un po’ di tè, tesoro? Ho quello sfuso, ovviamente, perché ho scoperto che alcuni tè in bustina non sono totalmente biodegradabili. Ma certo che mi sono informata, sono una drag queen, versare del tè fa parte del mio lavoro… Spilling the Tea, honey! Ma torniamo a noi, c’era questo tassista, che mi guardava dallo specchietto e mi faceva battutine. Non lo so mica se aveva capito che sotto la gonna e un doppio strato di nastro adesivo nascondevo… uno spazzolino di bambù, diciamo. Vuoi sapere com’è andata a finire? Che sono scesa e ho pagato. Tesoro, il trucco fa magie, ma a me serve un miracolo!»
#8 · Le piccole cose che non costano niente
«Sono Anthony, ho quasi trent’anni, e mi sono rotto il pene. Il dottore l’ha chiamata “sindrome del chiodo rotto”, si dice così in gergo, e di solito accade quando hai un’erezione e qualcosa di pesante te lo prende in pieno. Nel mio caso, quel qualcosa di pesante era Alfonsino, che ha questo soprannome dai tempi delle medie, ma non è più minorenne, ve lo garantisco. In quel momento era in piedi, pronto a saltarmi addosso, ma poi, prima di farlo, ha visto una pantegana lì nell’erba, ha perso l’equilibrio ed è finito proprio sul mio… spazzolino di bambù. Non è stato un bel momento, ed è iniziato tutto da quella pantegana. Che poi in realtà sapete cos’era? Una busta. Avete capito bene, una busta di plastica vuota che volteggiava come in quel film con Kevin Spacey. E io mi sono rotto il pene. Mi sono rotto il pene di voi che lasciate le buste di plastica nei parchi dove la gente si infratta per fare ricreative attività all’aperto. Non costa niente riportare a casa i sacchetti, dopo i picnic. Mi sono rotto il pene di voi che gettate le sigarette per terra. Il marciapiede non è un posacenere! Così come mi sono rotto il pene di voi che non spegnete le luci quando uscite da una stanza, di voi che non chiudete l’acqua mentre vi lavate i denti, di voi che buttate la carta nell’indifferenziata, di voi che avviate una lavatrice per quattro calzini, di voi che usate le posate di plastica in casa. E poi vi lamentate se ad aprile fa troppo caldo, e date la colpa ai turisti se d’estate andate al mare e trovate le spiagge sporche. Mi sono rotto il pene di voi a cui non frega niente. Forse sarete troppo pigri ed egoriferiti per prendervi cura del pianeta, ma ci sono alcune cose, piccolissime, che non costano niente. Mi sono rotto il pene, perfino letteralmente, se non avessi reso abbastanza bene l’idea.»
#9 · Le palettine del gelato
«Leccare è meraviglioso. Leccare è così bello che proprio non so come potrei resistere alla tentazione di farlo con qualsiasi cosa sia a meno di un metro da me. Passare la lingua sugli oggetti, assaporare il loro gusto esatto, godere delle sensazioni che una superficie ruvida o morbida o liscia o fredda restituisce al tatto. Credo sia un disturbo psichiatrico, ma non voglio prendere medicine. Nessuno vuole curarsi se adora la sua malattia. D’altra parte, chi può biasimarmi: leccare le cose è stupendo. Ho una mia strategia per non farmi prendere per pazzo: ogni volta che sento l’impulso di leccare una cosa nelle vicinanze, vado in gelateria. Ne spuntano un sacco di nuove, in questo periodo, praticamente ovunque ti giri ne becchi una. La mia preferita è quella vicino casa, il gelataio è un tipo sulla quarantina, alto, brizzolato, col mento squadrato e una tremenda passione per lo sport. I suoi muscoli guizzano sotto il colletto della polo bianca, le dita sono salde e appassionate nello stringere il porzionatore con le palline ai gusti che ho richiesto, e le sue labbra vibrano quando mi chiedono: “Cono o coppetta?”, con quella voce profonda e incredibilmente erotica. Cono, sospiro. Cono, esalo, sciogliendomi. Prendo sempre il cono, è questa la mia strategia. Del cono si può mangiare tutto, non c’è niente che vada buttato, e non occorre nemmeno sprecare quell’inutile palettina di plastica che andrebbe successivamente buttata. Basta leccare. Leccare. Soltanto leccare. Leccare è meraviglioso»
#10 · Evitare di comprare il superfluo
«Il primo passo per curare un problema è riconoscere di averlo. Bene, facendo un rapido calcolo ho individuato almeno ventotto problemi. Questo significa che ho fatto ventotto primi passi… e sono fermo qui. Forse dovrei consultare di nuovo un professionista. In fondo oggi non esiste più lo stigma contro chi va dallo psicologo, per fortuna. Gli unici che ancora lo dicono sottovoce sono i vecchi e gli sfigati. Praticamente tutti hanno un terapista, è quasi uno status symbol, come avere l’iPhone o il fidanzato meridionale. È che l’ultima volta che ci sono stato mi ha detto una cosa terribile: che devo pensare prima di estrarre la carta di credito. Già, perché l’ultimo dei miei ventotto disturbi è che spendo troppo, e per acquistare cose che non mi servono. È buffo, perché è sia un problema sia la conseguenza di altri problemi, mi ha detto il dottore. Come a dire che compro per soddisfare una parte di me insoddisfatta da altro: la tipa mi ha lasciato? Vabbè, compensiamo con questo paio di scarpe di pessima fattura. Il capo non mi dà l’aumento? Concentriamoci su questa nuova inutile tendina a pallini per la doccia, poco importa se l’ho appena cambiata. Dovrei davvero cominciare a ragionare sui miei acquisti, ha aggiunto lo psicologo. Forse temeva che a un certo punto non avrei più avuto i soldi per pagarlo, ma adesso comincio a pensare che avesse ragione. Anche da un punto di vista ecologico, accumulare roba che chiaramente non mi serve e che probabilmente viene prodotta con materiali di scarsa qualità e di brevissima durata non fa che aumentare i rifiuti. Senza contare il crollo nel grafico del mio conto in banca. In effetti se smetto di comprare cose inutili forse potrei risparmiare abbastanza da poter tornare dallo psicologo. E risolvere gli altri ventisette problemi.»
#11 · Asciugarsi le mani
«Sono una persona semplice: se mi scarichi, io scrivo il tuo numero nel cesso di un autogrill. Non è giusto, lo so, ma ormai è diventato un rito. Le mie storie durano un lasso di tempo che va dalle tre ore ai due mesi: quando mi dicono che dobbiamo parlare, io li ascolto, annuisco alla proposta di rimanere amici, li guardo allontanarsi per l’ultima volta e poi accendo la macchina per recarmi nel bagno dell’area di servizio più vicina. Ho un pennarello speciale, blu cobalto, punta larga, lo impugno con forza, ed è nella stretta della mano che concentro tutto il dolore. Ne ferisce più l’uniposca che la spada. Scrivo le cifre del numero di telefono del mio ex, e magari aggiungo una piccola postilla biografica, tipo “Sono Manfredi, te lo do, basta che lo chiedi” oppure “Mi chiamo Achille e ti arrivo alle tonsille”, o ancora “Piacere Marco, se vuoi i tronchi ti aspetto al parco”. Non sempre è così facile. Uno dei miei fidanzati si chiamava Alan, e lì bisogna ricorrere a figure retoriche più complesse, come l’allitterazione. Una volta completata l’opera, esco dalla toilette, e faccio pure finta di averla usata. Mi lavo le mani, e me le asciugo evitando di sprecare salviette di carta. Forse l’ideale per l’ambiente sarebbero gli asciugamani di stoffa, ma non tutti i bagni ne sono provvisti; allora preferisco gli asciugatori elettrici ad aria fredda, che sono di nuova generazione e rappresentano la soluzione migliore sotto molti aspetti. Rientro in auto, e guido fino a casa piangendo tutte le mie lacrime. Sono lacrime di rabbia, sì. Ma sono le lacrime di un cavaliere senza macchia e con tanta paura, le lacrime del vendicatore delle relazioni finite, le lacrime del poeta dei cessi dell’autostrada.»
#12 · I libri usati
«La prima volta è stata a pagina 58 del Paradiso degli Orchi, sapete, di Pennac. Era un foglio di quaderno ripiegato in quattro, e c’era scritto: “Con la speranza che ti faccia innamorare come è successo a me. Tuo, Gionni.” Leggere quel biglietto è stato strano, e magico come possono esserlo solo le cose inusuali. Acquistare libri usati ha diversi vantaggi: li paghi meno, eviti che vengano buttati via, e poi c’è il fascino di avere tra le mani qualcosa che è stato vissuto, sofferto, amato da qualcun altro. Io mi sono innamorato dei personaggi di Belleville, esattamente come previsto da Gionni. Chissà, mi chiedevo, se anche la persona a cui era rivolto il biglietto aveva apprezzato le avventure dei Malaussène. Qualche settimana dopo sono tornato alla bancarella dei libri usati, e ad aspettarmi c’era La fata carabina. “Fidati. Se hai apprezzato il primo, adorerai il secondo. Tuo, Gionni.” Scritto dietro la copertina, ed era verità. Benjamin, Thérèse, Clara, il piccolo Jeremy, perfino Julius il cane: ormai era come se li conoscessi. Nell sesto capitolo della Prosivendola ho trovato una margherita essiccata, e a metà di Signor Malaussène un biglietto per Napoli. Non sapevo cosa fosse successo a Gionni, ma ero preoccupato. Dopo averli letti sono tornato alla bancarella, e ho chiesto al venditore se avesse anche il quinto della saga. Ci ha messo un po’ per trovarlo, perché Ultime notizie dalla famiglia era in una scatola polverosa seminascosta da qualche parte. Appena comprato, ho iniziato a leggerlo nervosamente, alla ricerca di uno di quei segnali a cui Gionni mi aveva abituato. Avevo quasi perso le speranze ma, alla fine, subito dietro l’indice: “Mi vuoi sposare?” La risposta l’ho avuta qualche giorno dopo, nella dedica di La passione secondo Thérèse: “Per le nostre nozze di carta. Tuo, Gionni.”»
#13 · I nostri amici a quattro zampe
«All’inizio non mi piaceva che mi chiamasse Fuffi, ma poi mi sono abituata. Quando dice “Fuffi!” so che devo andare da lui, perché così mi fa le coccole, mi gratta sotto la pancia che è una cosa che mi piace tantissimo, mi dà le carezze sulla testa. È dolcissimo. Tra me e me io lo chiamo Sgrufo, anche se lui non può sentirmi. Sgrufo mi dà da mangiare, e ogni tanto mi dice “Zampa!” e non mi è tanto chiaro perché lo faccia, ma so che se gli do la zampa lui mi ricompensa con un chicco. Li compra sfusi, al mercato dei chicchi, non nelle confezioni di plastica che poi andrebbero nei rifiuti. Adoro i chicchi, li adoro quasi quanto andare a spasso. So che quando dice “Fuffi, si va a spasso” significa che mi porta un po’ fuori, e fuori è bellissimo! A volte andiamo al parco, dove mi lancia un rametto e io glielo riporto: è emozionantissimo! Un tempo mi tirava quei giochini di plastica, ma il legnetto è molto più fico. Poi faccio la popò, e Sgrufo la raccoglie in dei sacchettini biodegradabili, e spesso incontriamo degli altri cani, con degli altri umani, e ci stiamo sempre molto simpatici. Sgrufo si mette sempre a parlare con l’altro umano, ride, è contento, e il più delle volte torniamo a casa in quattro, ad annusarci tutti insieme. È divertentissimo!»
#14 · Regalare alberi
«Conosco decine di persone che si lamentano di non riuscire a trovare utenti di Grindr disposti a incontrarli. Dicono che le conversazioni sono tutte uguali, si sperticano in chat infinite, una sequenza interminabile di foto di genitali, spesso gli stessi organi inquadrati da diverse angolature, e alla fine non concludono niente, nemmeno una palpatina davanti al portone, niente, è tutta virtualità, l’idea di una scopata che rimane nel regno del possibile. Non vorrei essere presuntuoso, ma io ho il problema opposto. Ho troppi trombamici. Il fatto è che mi affeziono subito, per me l’intimità è una cosa importante: per questo la do a tutti. E non voglio iniziare una relazione stabile con uno di loro, perché significherebbe escludere tutti gli altri, mi seguite, giusto? Non sono fatto per la monogamia, proprio no, ma non è un problema. Il dramma sono i compleanni. Cosa si regala a chi conosci solo per il metodo di accoppiamento? Recentemente ho scoperto un sito che permette di regalare alberi in varie parti del mondo, finanziando dei contadini del luogo che se ne prenderanno cura al posto tuo. Sì, proprio alberi, per ripopolare il pianeta che ne ha sempre meno e sempre più bisogno. L’ho trovata una bella iniziativa: in fondo, cosa vuoi regalare a un amico di letto se non un bel tronco? La migliore metafora con cui augurare buon compleanno, direi. Forse anche i tipi di Grindr dovrebbero prenderla in considerazione: la natura è così importante!»
#15 · Il sapone sfuso e l’ammorbidente naturale
«Quello del pubblicitario è un mestiere da uomini. Non tanto perché hai a che fare con dei clienti deficienti, e dei consumatori finali ancora più deficienti, e soprattutto delle consumatrici veramente, ma veramente, idiote, e neppure perché non glielo puoi dire, a tutte queste persone, quanto siano stupide. Il fatto è che devi vendere cose che tu non utilizzeresti mai, e devi fare in modo che trovandole al supermercato persino a te verrebbe voglia di comprarle. Devi sottomettere il consumatore, come fai con le mogli, insomma. Prendiamo ad esempio questo nuovo ammorbidente. L’hanno chiamato SQUIRT, e io devo inventare lo slogan. Già chi ha scelto il nome è un cretino. SQUIRT. Cosa significa? Parole di questo tipo non mi fanno risuonare niente! L’ho fatto presente alle mie clienti, e quelle oche si sono pure messe a ridere. Ma poi chi comprerebbe un ammorbidente naturale, al giorno d’oggi? Peraltro questo SQUIRT si vende solo sfuso, roba da fighette. Chissenefrega se gli ammorbidenti chimici contengono sostanze tossiche e inquinanti: io sono un vero uomo, e i veri uomini puzzano, oppure si vestono con maglioni pregni di benzil acetato, chissenefrega. Solo una donna potrebbe trovarla una cosa intelligente, questa frociata dell’ammorbidente naturale. Oh, mi è appena venuto lo slogan: SQUIRT, lo sporco spaventa, le donne accontenta! Ha ha, sono una sagoma, ora glielo propongo davvero, a quelle sgallettate!»
#16 · Tenersi aggiornati, ma nel modo giusto
«C’è un motivo se il momento della giornata che preferisco è la golden hour. E non è per lo spritz. Osservate il tramonto, quello di queste sere. È pazzesco, a prima vista. Ha dei colori che il cielo di solito non ha. Alcuni dicono che è una questione di polveri sottili, e a volte, in effetti, l’inquinamento è una delle cause che rendono il crepuscolo così meraviglioso. Non è sempre vero. Ho imparato a stare attento alle cose che si leggono su Facebook, specialmente quelle che riguardano l’ambiente. È nostro dovere essere aggiornati sul futuro del nostro pianeta, senza fermarsi alla prima notizia, che potrebbe essere falsa. A volte le cose sono bellissime per lo smog, o per qualche altro losco complotto. Altre volte, le cose sono semplicemente bellissime. Il tramonto è quella parte del giorno in cui hai la possibilità di accorgerti che tutto sta per finire. È bello, illuminato, dorato, caldo, rassicurante. Se hai fortuna, riesci a non pensare che tra poco arriverà la notte. Io ho avuto fortuna per molti anni. Troppi. Poi è successo che ero lì, seduto, con mia figlia in braccio e mia moglie con la testa poggiata sulla mia spalla. Stavamo guardando il tramonto, come una famiglia felice. Voglio pensare che sia stato un attimo, forse ero troppo concentrato, forse per la prima volta ho avuto sfortuna. Ma ho capito una cosa, e ho capito di averlo sempre saputo. Mi sono voltato verso mia moglie, e lei ha intuito che dovevamo parlare. Sono gay. E questo è l’ultimo momento in cui posso dirlo prima che il sole tramonti per sempre.»
#17 · Progetti di riforestazione paralleli
«Viene da me, io ero già un po’ ubriaco, e mi dice Scusa, hai uno scalpello? Il dj ha appena messo Crazy in love, e Dio solo sa quanto mi piace ballare quella canzone, è la più facile da ballare, basta girare in tondo facendo finta di tastare il soffitto con la mano, ma insomma questo sconosciuto arriva e mi chiede se ho uno scalpello, e chissà come mai non penso al fatto che sarebbe assurdo portarsi dietro uno scalpello in discoteca. Neanche il tempo di rispondergli, che subito aggiunge: Così rompiamo il ghiaccio. Lo ammetto: ho riso per pura cortesia, ma dopo circa quindici minuti siamo già in bagno a limonare. È stato solo dopo, una volta tornato a casa, che mi è venuto in mente che avrei potuto prendere la gonorrea. E forse l’ho presa. Panico. Mi alzo dal letto, cerco a tentoni il computer e inizio a googlare. Perché gli attacchi di ipocondria mi vengono mentre sono ubriaco? Vado su Ecosia, che è un motore di ricerca che dona l’80% dei ricavi ai progetti di riforestazione. Significa che mentre cerco di capire quanti mesi di vita mi rimangono su un forum di motociclismo del 2008, intanto pianto qualche albero in Brasile. Alla fine concludo che l’unico modo di scoprire come sto è andare da un medico. E che le prossime volte, se il dj mette Crazy in love e un ragazzo ci sta provando, la priorità ce l’ha sempre Beyoncé.»
Domande, dubbi, proposte?
Se c’è qualcosa che non ti torna, se hai un’idea, se vuoi propormi di diventare ricco e famoso, se mi vuoi raccontare la tua storia, cosa ne pensi o anche soltanto una barzelletta: scrivimi. Con calma, rispondo sempre.
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