Ale le chiavi della macchina ce le hai te?
Io… io non lo so.
Mi sono svegliato così, stamani. Senza gli auguri di buon Natale. Mi sono svegliato che erano le 5:53. Mio padre non riusciva a trovare le chiavi dell’auto. Probabilmente era solo il panico che le nascondeva ai suoi occhi, perché erano nel solito posto. Mia madre urla a me e a mia sorella di vestirci e portare i vestiti al piano di sopra, mentre loro vanno a portare le macchine alla farmacia.
A quanto pare, il fiume è in piena.
Sbuffo. Non ci credo, non ci credo più a questo tipo di allarme. Abito proprio sotto l’argine del fiume, e la situazione mi sembra decisamente familiare: urli per strada, i curiosi sul ponte, mamma in preda al panico. Inoltre, tutto è intorpidito dal brusco risveglio solo dopo quattro ore di sonno. E poi è Natale! Non può straripare il fiume a Natale, abbiamo organizzato il pranzo, devono venire i parenti, c’è lo scambio dei regali. Questi, in sostanza, sono i motivi per cui non ho creduto alla preoccupazione di mia madre che iniziava a svuotarmi l’armadio.
Molto placidamente ho iniziato a mettere in ordine la scrivania, spostando tutte le cose in alto. Metto i libri e gli appunti in cartella, il regalo di Chiara, il copione della Ballata del Gran Macabro, il libretto degli esami, Alice nel Paese delle Meraviglie, il nuovo lettore mp3, il cellulare, gli album di Mika e dei Baustelle. Il libro di Architettura degli Elaboratori lo metto in uno scaffale in alto. Tolgo il computer e lo porto su dai miei nonni. E mentre facevo tutto questo, io non ci credevo. Non solo mi rifiutavo di credere a mamma, ma anche ai megafoni della protezione civile, e alle sirene, e agli urli della gente, e alle luci delle case del vicinato, stranamente accese anche a notte fonda.
E intanto mi chiedevo che cosa fosse quello strano rumore. Poi ho capito. Acqua. Era lo scrosciare dell’acqua. E’ sorprendente come un solo momento basti per rivalutare completamente la situazione. Un istante, e la nuova consapevolezza ha il tempo non solo d’insinuarsi, ma di mettere radici nel corpo e di farti provare vero e proprio terrore.
Portiamo su la televisione, due materassi, dei vestiti. Quel che ci riesce prima dell’ordine dei pompieri di raggiungere i piani superiori. Dal terrazzo, io, mia sorella, mamma, papà e nonna, sentiamo il rumore dell’acqua farsi sempre più forte. Non mi scorderò mai del momento esatto in cui l’acqua è entrata in giardino. Forte, veloce, acqua, dolcenera. Più che altro, era marrone, densa di fango. Non mi ricordo chi non ha pianto. Mi ricordo di un gatto. Invisibile, nel buio della notte. Ma non ho mai sentito un animale gridare più forte.
Aspettiamo, non possiamo fare altro. Rimaniamo inermi e osserviamo tutto quel liquido marrone che ci inonda il giardino e poi la casa. Va via la luce, non funziona più il telefono. Fortunatamente arriva il mattino, e torniamo a vedere qualcosa. Papà va giù a vedere se si può salvare ancora qualcosa. L’acqua arriva solo fino al polpaccio. Nonno era andato a portare la macchina al ponte e non è ancora tornato. Papà mi passa le giacche, i jeans, le sedie, il microonde, la televisione di cucina, l’enciclopedia, i libri di Harry Potter. Riesce a prendere anche le lasagne che sarebbero state servite al pranzo di Natale. Ma quando l’acqua ha iniziato ad arrivargli alla vita, non ha potuto far altro che tornare su.
I pompieri ci dicono che la situazione sembra essere migliorata, poi che il peggio doveva ancora arrivare. E infatti vediamo il livello dell’acqua alzarsi, sommergere interamente il nostro giardino. Le porte del garage non reggono, ed escono tutte le cianfrusaglie che erano là dentro. La palla gonfiabile di mio cugino, il tappeto della ginnastica di mia nonna, secchi e bidoni. Un odore orribile proviene dal piano di sotto. Spengiamo i cellulari per non consumare le batterie. Lavatrice, lavastoviglie, caldaia, letti, mobili, divano: tutto da rifare.
Mi rendo conto di non riuscire a fare un resoconto migliore. Mi sento freddo. In questo momento, non so se riesco a far capire ciò che stavo provando qualche ora fa. La protezione civile ha portato me e mia sorella dove l’acqua non era ancora arrivata. Il gommone non poteva entrare in giardino, così abbiamo dovuto andarci a piedi. La melma era freddissima e ci arrivava alla vita. Raggiunto il gommone, ci hanno portati all’argine dove abbiamo trovato mio nonno, e i miei zii che ci hanno portato a casa loro.
Mio zio mi ha offerto il suo pc per farmi svagare un po’, così posso raccontarvi l’accaduto. In questo momento, mia sorella sta dormendo. Mio nonno è alla finestra a tormentarsi. Il cellulare è pieno dei vostri auguri e delle vostre mani tese. Grazie.
Sto per piangere, Ale.Ti abbraccio forte forte, di nuovo.Fil