Buongiornissimo a tutti. Da qualche giorno, quando non ho nient’altro da pensare, ragiono su un modo di fare che non ho ancora ben compreso, ma che nonostante questo si è insinuato in me contagiandomi come quando guardando Friends cercavo di imitare le espressioni di sconcerto di Jennifer Aniston perché ero ammaliato dal loro potenziale comico.
Questo modo di fare consiste nel rispondere “A te” quando qualcuno ci dice “Grazie”.
Vi riporto un esempio di dialogo, per permettervi di immergervi completamente nella situazione.
“Clarannuccia, potresti farmi cinquecento fotocopie del nuovo documento?”
“Ma certo, Euforbio”
“Grazie”
“A te”
Ora, non so se questo modo di fare sia comune solo a Milano, dove ho registrato l’esistenza di una modalità di relazionarsi molto legata all’apparire, che se da una parte è un po’ ipocrita dall’altra risulta accogliente e inclusiva.
Tuttavia, non posso fare a meno di notare che quando si dice “A te” si ringrazia implicitamente chi ha pronunciato il primo “grazie”. Come a dire che non sei tu, Euforbio, a dovermi ringraziare per averti fatto cinquecento fotocopie, ma sono io, Clarannuccia, che onorata di questo compito che tu mi hai generosamente richiesto, sento financo il dovere di esprimere riconoscenza.
Sia chiaro che ci sono alcune situazioni in cui il “Grazie a te” è utile. Per esempio, se Euforbio invita a cena Clarannuccia, alla fine della serata le dirà “Grazie” sottintendendo la compagnia: alché Clarannuccia, non essendo presuntuosa considerato anche tutte le fotocopie che fa, risponderà con un “A te!”, in quanto riconoscente del cortese invito di Euforbio.
Ma se sono io ad averti fatto il favore, perché caspita dovrei anche ringraziarti? Il grazieateismo è una pratica che non riguarda solo la stagista Clarannuccia: credo sia trasversale a quasi ogni classe sociale, gradino gerarchico, orientamento sessuale e zona di Milano in cui si ha il domicilio. “A te”, invece di essere soltanto una discutibile canzone di Jovanotti, è diventata la risposta automatica a tutti i “Grazie” ricevuti da Clarannuccia, Astolfo, Euforbio, Ciriaca, Vitruvio, eccetera.
L’importante è capire di avere un problema. Una volta raggiunta questa consapevolezza, si può pensare a una soluzione. Come dire “Non c’è di che”, “Figurati”, o il classico, buon vecchio “Prego”.
Roba affine
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!
Sempre un piacere leggerti. Ma ‘sta faccenda del “A te” ti confermo che dev’essere roba di Milano, perché qui a Bologna siamo fermi al buon vecchio “prego”, come dici. Anche se, a ben pensarci, usiamo rispondere anche con un genersoso “E di che?”, che mi piace assai in verità, perché sottintende un “Ma scherzi? non c’è bisogno di ringraziarmi, lo faccio con piacere”. Carino no?
Infatti “E di che?” è una bella alternativa al “Figurati”, da tenere in considerazione 🙂
Da ex commessa… c’era il Grazie a lei… dato al cliente che ti ringraziava e tu dovevi dire per specificare bene che gli eri grata per aver fatto la spesa da te.
Imprinting da 14enne… a volte quando mi dicono grazie, e son passati oltre trent’anni, mi viene l’input di rispondere a lei… poi viro sul di niente(o nulla), o prego. 😉
All’ultimo.
E non ti dico che figurine marroni quando andando io a prendere qualcosa al grazie datomi perché magari avevo la moneta e non mi facevo dare il resto… replicavo: a lei.
Pure se io avevo già passato i trenta e la commessa ne aveva 16.
Sì… devo cercarne uno bravo. Assai bravo.
Ciao.