Partiamo da una cosa completamente diversa: qualche settimana fa è stato annunciato che Scarlett Johansson avrebbe interpretato il gangster Dante “Tex” Gill nel film Rub and Tug, per la regia di Rupert Sanders. La trama ruota attorno alla vita di un criminale di Pittsburgh che negli anni Settanta gestiva un salone di massaggi, in realtà una copertura per affari mafiosi e prostituzione. Tex Gill è nato donna col nome di Lois, ma ha vissuto gran parte della sua vita da uomo, si vestiva da uomo, usava per sé stesso pronomi al maschile (nonostante la stampa dell’epoca si riferisse a lui come una donna), e nel suo certificato di matrimonio, contratto insieme alla moglie Cynthia, figura come marito. Insomma, Tex Gill è stato a tutti gli effetti quello che oggi definiamo un uomo transgender, anche se probabilmente questo termine non era molto comune nella società in cui viveva.
La scelta di affidare a Scarlett Johansson il ruolo di un uomo transgender ha sollevato diverse polemiche, sia all’interno sia all’esterno della comunità LGBT+. Gli attivisti trans rivendicano la necessità di ruoli per gli attori trans, che non vengono e non verranno mai scritturati in parti di personaggi cisgender; d’altra parte, intellettuali come Bret Easton Ellis desidererebbero semplicemente dei prodotti artistici al meglio delle loro possibilità, indipendentemente dal genere degli attori; e altre voci sostengono di come la recitazione consista proprio nell’interpretare qualcuno di diverso da sé.
Johansson in un primo momento ha cercato di spostare l’attenzione su tutti gli attori cisgender che nella storia del cinema sono stati chiamati a interpretare personaggi trans (l’attrice ha ricordato Jeffrey Tambor in Transparent, Jared Leto premio Oscar in Dallas Buyers Club, Felicity Huffman in Transamerica). Poi ha scelto di fare un passo indietro. “Provo ammirazione per la comunità trans e sono felice che la discussione sull’inclusione ad Hollywood continui. Nonostante sarei stata felice di portare la storia di Dante e della sua transizione sullo schermo, comprendo il motivo per cui secondo molti a farlo dovrebbe essere un transessuale e sono contenta che questa discussione sul casting abbia aperto il dibattito sulla diversità e la rappresentanza nei film”, ha dichiarato Scarlett Johansson nel rifiutare la parte. E ha fatto benissimo.
All’inizio di giugno, circa un mese prima che partisse la polemica, viene trasmesso il primo episodio di una nuova produzione FX creata dal genio di Ryan Murphy (noto per Glee, American Horror Story, American Crime Story, prodotti che hanno come elementi in comune una certa estetica pop molto curata, delle trame fantasiose e un’attenzione particolare ai personaggi e alle questioni LGBT+), insieme allo sceneggiatore Steven Canals e al socio di sempre Brad Falchuk. Nella writers room e nella squadra dei registi figurano anche le autrici trans Janet Mock e Our Lady J. La serie si intitola Pose ed è ambientata in quei quartieracci della New York anni Ottanta in cui andavano in scena i ball, ovvero competizioni in cui lo scopo era rappresentare al meglio, attraverso il look e l’atteggiamento, una certa categoria. A partecipare erano principalmente trans e checche, soprattutto afroamericane, riunite in gruppi, le house, che non fungevano soltanto da squadre durante la gara, ma costituivano anche all’esterno una vera e propria famiglia adottiva, governata dalla capofamiglia: la madre.
Il gergo dei ball (“madre”, “house”, “category”, “realness”, “voguing”, “ten across the board”, …) è ancora utilizzato all’interno della comunità LGBT+, spesso perfino da gay bianchi cisgender che probabilmente non sanno da dove esso derivi. Gran parte della cultura gay viene direttamente da questo tipo di competizione, nata negli ambienti poveri dei trans di colore, che perfino molti omosessuali dell’epoca discriminavano.
La storia di Pose si snoda attorno alla rivalità tra due case: la House of Abundance e la House of Evangelista. La madre della prima, Elektra (interpretata dalla sublime Dominique Jackson) è una regina tiranna che insegue il sogno di essere una donna completa negli anni in cui le operazioni chirurgiche del cambio di sesso non erano frequenti e consolidate come lo sono oggi. A capo degli Evangelista, invece, c’è Blanca (MJ Rodriguez), una delle figlie di Elektra che ha voluto fondare una casa per proporre i propri ideali di bellezza e di famiglia. Blanca è una donna generosa, che raccoglie nella sua casa molti reietti della società, come Damon, Lil Papi e Angel (Indya Moore), una prostituta trans che si innamora di un suo cliente borghese alle prese con la scalata professionale nella Trump Tower.
Le donne transgender di Pose sono tutte interpretate da attrici transgender. Per forza. Perché altrimenti l’intera serie perderebbe di senso. In ogni scena di Pose è indispensabile notare la bellezza dei tratti dei suoi personaggi e apprezzare la differenza rispetto alle donne che siamo abituati a vedere; io sono assolutamente convinto che, a prescindere dal trucco o dal talento nella recitazione, solo un’attrice trans potrebbe restituire quell’intensità che vediamo nello sguardo di queste donne.
Pose non è solo un prodotto televisivo, ma è uno strumento di cultura. Quella che fa conoscere a tanti spettatori una realtà che prima non conoscevano. E in quanto spettatore, non voglio guardare una storia i cui dettagli siano stati una sorta di compromesso tra la verità e le aspettative di un pubblico da coccolare. Trovo che sia irrispettoso, per me fruitore e per chi di quella storia ne ha fatto parte davvero, che si modifichi una narrazione in modo che gli spettatori di riferimento (di solito quelli bianchi, etero e cisgender) la possano comprendere e digerire meglio. Non mi interessa una storia di jazzisti bianchi se il jazz è la musica che esprime il ritmo black. Non voglio capire la cultura gay attraverso una storia da cui sono state epurate le persone effeminate e di colore. Non sono sicuro di quanta cultura possa creare la storia di un uomo transgender interpretato da una donna biologica, non sono sicuro quanto fedele possa essere la sua rappresentazione.
Nel primo episodio di Pose, Elektra Abundance dice: “Focus, children. È tempo di ricordare al mondo chi siamo.”
È vero: recitare significa proprio interpretare qualcun altro, che sia un italiano, un trans o un hobbit. Ma oggi più che mai il senso di fare un film è strettamente connesso con il creare cultura. Consentire alle persone transgender di interpretare ruoli transgender che saranno visti dal pubblico mainstream significa provare a fornire la rappresentazione più vicina dell’essere transgender. Che è quella che loro vorrebbero ricordare al mondo. Che è quella che noi spettatori dovremmo voler vedere.
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