Nessuno guarderà mai una lesbica di giorno. È quello che un produttore televisivo disse a Ellen DeGeneres prima che andasse in onda la prima puntata di The Ellen Show, che oggi è uno dei talk show più famosi e seguiti del mondo.
In Relatable, il comedy special da qualche giorno disponibile su Netflix, Ellen dimostra che di cose da raccontare ne ha ancora molte. Parla del regalo che sua moglie Portia le ha fatto per il sessantesimo compleanno, del veganesimo, di come si balla quando in discoteca parte la tua canzone preferita e, soprattutto, parla del giorno in cui ha deciso di fare coming out.
Lo riporto, perché descrive perfettamente quelli che sono stati i miei sentimenti nel periodo del coming out. Ogni coming out è diverso. Non solo cambia da persona a persona, ma cambia da volta a volta anche per una stessa persona. Ma il primo coming out, quello che si fa a sé stessi, ha un denominatore comune per tutti.
«E comunque siamo tutti in cammino, ognuno sul suo percorso individuale. Nessuno dovrebbe seguire il percorso di altri, bisogna percorrere il proprio. A meno che non si sia perso nei boschi, in quel caso sì ma… Penso che i segni ci aiutino, che se prestiamo loro attenzione ci facciano davvero da guida. E alcuni sono più semplici di altri da individuare. Mi è capitato qualcosa di molto significativo e… Non sapevo nemmeno di stare soffrendo per il coming out. Intendo che quando non ti dichiari sei sempre lì a pensarci. È un pensiero fisso perché hai paura che lo scoprano. Ti preoccupa che qualcuno venga a saperlo, quindi è nella tua testa, inconsciamente lo sai. Ma io non me ne resi conto finché non feci un sogno. Sognai che avevo un piccolo adorabile uccellino e che lo rimettevo in gabbia, una bella gabbia di bambù a più livelli. E una volta rimesso in gabbia, io diventavo quell’uccello e tutto a un tratto mi vidi di fronte alla finestra, da sempre con la finestra aperta e le sbarre larghe abbastanza da far uscire l’uccellino. Era sempre stato così. Guardai l’uccellino dicendo: “Non andare, sei al sicuro qui.” Lui mi guardò e disse: “Il mio posto non è qui.” E volò via. Il mattino dopo, risvegliandomi dissi: “Mi dichiaro.” E prima di fare quel sogno non avevo capito di essere in gabbia, non ne avevo proprio idea. La mia vita era buona. Avevo una sitcom di successo. Avevo fama, soldi, tutto quello che consideravo fosse importante. Ma stavo celando una parte di me e ogni volta che nascondiamo qualcosa a qualcuno è perché ci preoccupa ciò che penseranno di noi. E anche se sarebbe stata difficile ero arrivata al punto in cui mi importava più sentirmi orgogliosa di me stessa e vivere nella verità piuttosto che preoccuparmi del giudizio altrui. E quel periodo dopo il coming out è stato davvero uno dei più duri della mia vita. Ma è stata la parte migliore del viaggio. Lì ho capito quanto sono forte. Ho scoperto la compassione. Ho imparato che la verità vincerà sempre. È così che si cresce. Tutti abbiamo una paura, tutti hanno timore di qualcosa. Ma finché non affronti direttamente tale paura, non capisci la forza che hai. Con queste prove si cresce, ed è questo che vogliamo tutti. Crescere, stare bene con noi stessi, sentirci fieri di chi siamo. Siamo tutti così. Quindi, che col tappetino da bagno tu debba fare 50 passi o solo 3 per arrivare all’asciugamano, che tu sia gay o con la sindrome dell’occhio secco, siamo tutti uguali e abbiamo tutti qualcosa da raccontare.»
Roba affine
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Mi viene da piangere.
Lei è davvero una grande. Una grandissima.