«Siamo sinceri. Se finora avete pensato che avessi anche una sola possibilità con Thomas, siete più ingenui di Tamara. E Tamara è una che crede ancora che il prossimo Star Wars sarà bello. Sono stata respinta tante volte, per questo so quello che dico. Ma se sono stata respinta tante volte, è solo perché sono stata innamorata tante volte. Mi piace, innamorarmi. Mi piace, pensare a qualcuno di speciale, che mi faccia battere il cuore. Ma alla fine, arriva sempre il momento di chiudere. Altrimenti impazzisci. Per questo voglio essere bellissima. Perché, se nessuno mi ama, voglio farlo io.»
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Ho una lunga premessa da fare, probabilmente più lunga di ciò che voglio commentare, e la inizierei così: non penso che a scrivere storie di personaggi trans siano autorizzate soltanto persone trans, così come in generale non penso che a scrivere personaggi LGBTQ debbano essere per forza e solamente persone LGBTQ, così come non penso che le storie di migranti debbano essere realizzate solo da persone afrodiscendenti o le storie di donne da scrittrici, registe, sceneggiatrici donne. Eccetera.
Il motivo è che, se così fosse, nessuno potrebbe più raccontare niente. Io potrei scrivere solo una storia sulla mia vita, voi una storia sulla vostra e il risultato sarebbe un’enorme produzione di narrazioni noiosissime.
Dopodiché, penso anche che le storie di personaggi LGBTQ scritte da persone della comunità LGBTQ, le storie di afrodiscendenti scritte da afrodiscendenti, le storie di donne scritte da donne, debbano esistere. È estremamente importante che ci siano ed è estremamente importante che il pubblico che si approccia a un’opera sappia se questa sia stata pensata da un autore o un’autrice che conosce bene ciò che sta raccontando.
Nessuno sa com’è essere donna quanto una donna. Nessuno sa com’è essere gay quanto un gay. Nessuno sa com’è essere nero quanto un nero. Invece, purtroppo, siamo abituati ad avere una rappresentazione della società falsata, o meglio: filtrata, dal solito sguardo del maschio, bianco, etero, cisgender, occidentale. Non mi sembra di aver detto niente di rivoluzionario, no?
Fine della premessa. La premessa mi serviva per spiegare la mia diffidenza nell’approcciarmi a Cinzia, di Leo Ortolani (Bao Publishing, 2018). Cinzia è la storia di una donna transessuale, e Leo Ortolani è un uomo cisgender.
Mi chiedo: è giusto che un autore cisgender faccia battute sui genitali del proprio personaggio transgender? è giusto che faccia ironia sulle incoerenze del movimento LGBTQ? è giusto che cerchi di trasmettere al suo pubblico delle sensazioni che non può aver provato sulla propria pelle?
Una prima risposta è: se sia giusto o sbagliato non sono io a doverlo dire, perché anch’io sono un uomo cisgender. Mi piacerebbe leggere la testimonianza delle persone trans. Probabilmente alcune di loro avranno apprezzato il libro di Ortolani, altre avranno delle riserve. Io vorrei ascoltarle tutte.
La mia personale risposta, da semplice lettore attento a questi aspetti di una storia, è: dipende, ma in questo caso sì, è stato giusto. È evidente che l’autore di questo libro abbia fatto un enorme lavoro per comprendere la psicologia del suo personaggio, e non mi sorprenderebbe se avesse chiesto una mano proprio a qualche rappresentante della comunità T.
Trovo che la costruzione di Cinzia, da semplice macchietta ricorrente negli episodi di Rat Man a unica protagonista, sia fatta con una sensibilità e un’intelligenza che mi sono sempre aspettato da questo tipo di narrazioni, e che, purtroppo, raramente ho trovato.
Ovviamente, il genio di Ortolani non è in discussione, e chi ha avuto modo di apprezzarlo negli altri suoi lavori ritroverà qui, oltre al tratto grafico, anche l’ironia e l’acume che contraddistinguono le sue opere. C’è qualcosa di più, però. C’è l’urgenza di dare dignità a un sacco di esseri umani, c’è la volontà di farlo con l’arma dell’ironia, c’è la voglia di passare un messaggio. L’amore non si misura in centimetri.
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